NADINE GORDIMER in Sudafrica dove sono cresciuta ero la zingara.

 
Sfogliamo i nostri volti
leggiamo ogni occhio che guarda
…ci sono volute delle vite per farlo.
(Mongane Serote poeta sudafricano difensore della giustizia e della pace)

 
 
 
 
 
 
Sono nata e cresciuta in Sudafrica in una città in cui il razzismo era praticato con molta arroganza.
Vedevo gli operai neri delle miniere che vivevano nelle baracche e facevano gli acquisti in negozi gestiti dai bianchi affinché non avessero motivi per allontanarsi e andare in città. Vedevo come gli operai erano maltrattati e di fronte alle tante sopraffazioni a cui assistevo, mi resi conto di dove vivevo e come vivevo, anche per il fatto che la scuola che frequentavo era solo per bianchi, le lezioni, il cinema, la biblioteca e tante altre istituzioni, solo per bianchi.

Nadine Gordimer è stata fra i membri fondatori del Congress of South African Writers. Premiata con numerosi titoli onorifici, dalla laurea Honoris Causa all’università di Lovanio, in Belgio, al titolo di Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres. Ha vinto il Booker Prize nel 1974, nel gennaio 2007 il Premio Grinzane Cavour. Ha combattuto l’apartheid per oltre mezzo secolo; ha scritto racconti e romanzi tradotti in tutto il mondo. Nel 1991 ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Nadine Gordimer resterà sempre la voce femminile bianca della letteratura sudafricana di cui ci ha narrato i tormenti, le ipocrisie e le tragedie. Muore il 13 luglio 2014, a Johannesburg.
 
 
Ogni scrittore che si possa chiamare tale spera di poter rappresentare la debole luce di una piccola torcia – e di rado, grazie al talento, una accola improvvisa – nel labirinto sanguinoso ma ricco di bellezza dell’esperienza umana, dell’essere. Una volta Anthony Burgess definì sommariamente la letteratura come “l’esplorazione estetica della parola”. Io direi che questo è solo il punto di partenza dello scrivere, per esplorare qualcosa che va ben oltre, e tuttavia può essere espresso solo attraverso mezzi estetici. Credo mi si possa definire una scrittrice naturale. Non ho mai deciso di diventare tale. Non mi aspettavo, da principio, di guadagnarmi da vivere facendo leggere agli altri quello che scrivevo. Da bambina lo facevo per la gioia di cogliere la vita attraverso i sensi, attraverso l’aspetto, il profumo e il contatto delle cose; ben presto, a partire dalle emozioni che mi scon certavano, si scatenavano dentro di me e prendevano forma, trovai un po’ di luce, conforto e piacere nella parola scritta. Nella cittadina mineraria del Sudafrica dove sono cresciuta ero la zingara, armeggiavo con parole di seconda mano e aggiustavo i miei tentativi di scrittura imparando da ciò che leggevo.
 
 
La mia scuola, infatti era la biblioteca locale. Proust, Cechov e Dostoevskij, per nominare solo alcuni di coloro ai quali devo la mia esistenza come scrittrice, furono i miei maestri. In quel periodo della mia vita,devo ammetterlo, ero la dimostrazione della teoria secondo cui i libri nascono da altri libri Inconsapevolmente, cominciai a dedicarmi al tema dell’essere, che si trattasse, come miei primi racconti, di un bambino che contempla la morte e il delitto nella necessità di dare il colpo di grazia a una colomba maltrattata da un gatto, oppure dello stupore sgomento e della precoce presa di coscienza del razzismo suscitati in me da ciò che vedevo sulla via per andare a scuola. Passavo infatti davanti a negozianti i quali, benché fossero immigrati dall’Europa orientale e relegati ai gradini più bassi della società coloniale inglese, insultavano quanti stavano ancora peggio, liquidati come esseri meno che umani: i minatori neri, clienti dei loro negozi. Solo parecchi anni dopo avrei compreso che se fossi stata una bambina di quella categoria – nera – forse non sarei mai diventata una scrittrice, poiché la biblioteca che me lo ha reso possibile non era aperta ai bambini neri.

La mia istruzione formale è stata, infatti, a dir poco lacunosa. Czeslaw Milosz una volta domandò: «Che cos’è la poesia che non salva i popoli né le persone?» e Brecht scrisse di tempi in cui «discorrere di alberi è quasi un delitto». Molti di noi hanno condiviso questi pensieri disperati quando si sono trovati a vivere e a scrivere in quei momenti, in quei luoghi, e la soluzione di Sartre non ha senso in un mondo in cui gli scrittori erano, e sono ancora sottoposti alla censura e al divieto di scrivere, in cui, ben lungi dall’abbandonare la parola, mettevano, e mettono, a rischio la propria vita facendo uscire quella parola dalle prigioni, clandestinamente, su pezzi di carta.
 

Nadine Gordimer nasce a Springs, centro minerario nell’area urbana a est di Johannesburg da Isidore e Nan Gordimer, entrambi immigranti ebrei. Cresce a Johannesburg, ricevendo un’educazione di stampo cattolico. Si iscrive alla University of Witwatersrand. Poco dopo interrompe gli studi senza diplomarsi. In quegli anni entra in contatto con l’African National Congress e inizia la sua lotta contro la discriminazione razziale. Negli anni sessanta e settanta insegna in alcune università degli Stati Uniti. Nel 1954 sposa Reinhold Cassirer, un commerciante d’arte che aveva fondato la sede sudafricana di Sotheby’s e aperto, in seguito, una propria galleria. Fu il suo meraviglioso matrimonio, il secondo per lei, il terzo per il marito, che durò fino alla morte di lui nel 2001

 

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