La parola e la poesia nel carcere diventano salvifiche
Grazie alla parola da cui traspare l’amore/ a chi ha saputo appartenere ai miei giorni/ a chi sa e un poco anche a me. (Patrice)
L’incontro con Patrice è avvenuto in un pomeriggio di settembre dello
scorso anno, durante un laboratorio di poesia promosso da Fina Quattrocchi,
docente del CPIA di Monza. Da quel
giorno e, per un anno, Patrice mi ha inviato, quasi tutte le settimane, le sue
lettere intrise di versi e di vita reclusa. Lettere necessarie, lettere antidoto alla sua solitudine e allo smarrimento: qui
dentro, il cuore diventa denso come pece e il sangue si rallenta. Scrivere per Patrice è
stato salvifico, il suo tumulto di emozioni e di dolore ha trovato supporto
nella poesia e nella parola a cui ha affidato tutto se stesso, senza
risparmiarsi mai, essendo sincero, nel più profondo: non ci si può dire bugie quando si
scrive. Ha cercato di mantenere
la propria dignità anche nel vestire
senza rinunciare mai ad indossare le sue camicie. Ma scrivere in un ambiente di cemento è difficile perché: qui si diventa come un aereo di carta,
fragile, che non può nemmeno cercare di volare. Il carcere
tende ad amplificare le emozioni, tutto viene percepito in modo alterato e
questo può aggiungere dolore al dolore. Allora si cerca di sopravvivere, ognuno
con il proprio manuale di sopravvivenza: per
prima cosa è salvarsi il
cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto
da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque; la seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa frequenza
altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la propria
pelle; la terza è difendersi
dal condizionamento che è altra cosa rispetto alla rieducazione; la quarta è trattenere la rabbia perché
la galera stanca e sfianca gli animi.
La sera, quando arriva, è
nera. Le voci si spengono e così anche quei pochi colori che, durante il
giorno, sono fatti di ritagli di cielo. Allora il silenzio stempera il cuore
che non ce la fa a trattenere la solitudine e si abbandona, inerme, senza più
difese. Capita spesso di pensare, quando
si viene chiusi la sera. Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia
finestra riesco a intravedere un tratto di superstrada. Guardo le luci delle
auto sfrecciare e immagino diverse solitudini. L’odore di un’automobile,
l’odore dell’asfalto umido. E’ difficile scrivere qui perché si vive un tempo
congelato e si deve imparare a trattenere le emozioni. La parola aiuta gli animi a riconciliarsi, preparandolo alla
riappacificazione con quel mondo dal quale è stato momentaneamente
allontanato. “La parola, qui dentro, diviene
paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia, smontando i
pixel di questa irrealtà. Ho il mio corpo, lo vedo, come vedo i giorni che
trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola, cosa sarei? Un animale
che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la inseguo, certo, ma a volte
fortunatamente l’afferro. E’mia. La poesia di Patrice è
vera, autentica, direi coraggiosa. Nei suoi versi c’è tutta la sua vita,
l’amore, la strada, l’infanzia.
Testimonianze
La prima volta che sono entrata in
un carcere da praticante, la cosa che più mi ha colpito è stato il rumore delle
porte quando si chiudono, un rumore sordo, intenso quasi a sottolineare la
chiusura di quel mondo verso l’esterno. Quello che si intuisce prima, e si
comprende poi è che il carcere è un mondo nel mondo: con le sue regole, i suoi
spazi, le sue divisioni sociali, i suoi gruppi. Nel momento in cui una persona, che
vive l’esperienza carceraria, decide di mettersi in gioco, offre di sé quello
spazio privato e intimo che pochi di noi offrono nella loro quotidianità se non
ai loro affetti più cari. Non conoscevo Patrice quando ho
steso queste righe ma dalle sue parole ho avuto molto, ancora una volta. Le ho scritte a caldo dopo aver
letto le sue parole: belle, intense, capaci di trasmettere non tanto rabbia per
la sua condizione quanto rammarico per un passato perduto e desiderio intenso
di futuro.Leggendo le sue parole ho avuto la
percezione di una persona che scrive guardando il cielo al di là delle sbarre
alle finestre della cella. E guardando quel cielo sento urgente
la necessità di fermarmi ad apprezzare un gesto o un respiro, anche solo un
battito di ciglia. L’importanza di riflettere su un
sussurro o su un attimo. Grazie Patrice.
(Maura
Traverso Presidente
della Camera Penale di Monza)
Patrice potrebbe essere
un figlio, un amico, un vicino di casa, una persona che quando la incontri per
strada la noti e non solo perché ha l’aria un po' bohémien, ma soprattutto
perché ha uno sguardo profondo che non lascia indifferenti. Patrice è un
ragazzo che scrive e sa scrivere bene. Un dono che nel luogo in cui si trova,
gli ha salvato la vita. Patrice l’ho conosciuto per caso un pomeriggio in cui
mi sono recata da lui per chiedergli se voleva partecipare ad un concorso
letterario. Era in attesa di un colloquio e non era felice, né sereno. Mi disse
che ci avrebbe pensato. Aspettai. Patrice mi scrisse qualche poesia e da lì
compresi che aveva tanto da raccontare, aveva molto dolore a cui dare forma.
Scrisse dei versi che mi lasciarono senza fiato, c’era lui lì dentro, senza
veli. Compresi che avrei dovuto dargli coraggio e forza per credere ancora,
perché nulla era andato perso. Ancora una chance. Patrice a distanza di tempo,
l’ho visto tornare a sorridere, mettersi in gioco, lavorare, fare teatro. Fino
all’incontro con Antonetta Carrabs che ha dato voce e spessore alla sua
poetica, che merita di essere portata fuori, alla società civile. Senza
buonismo o strofe romantiche, lui non è questo. Patrice quando lo vedi recarsi
in biblioteca, con la sua giacca da ragazzo elegante, sai, speri, che ce la può
fare perché ha saputo dare un senso alla sua detenzione con la scrittura, ma
non solo. Forse lo stop che la vita gli ha messo in faccia non è stato vano. Non è ancora notte per Patrice e gli
auguro che un nuovo giorno possa illuminare il suo cammino.
(Fina Quattrocchi Docente di Laboratorio di poesia creativa)
Cara
Antonetta sfogliando un libro, ho letto il testo “Sogno di prigione” di
Dino Campana. Mi è ritornato in mente
quanto io fossi appassionato alla storia d’amore che lo legò a Sibilla Aleramo
e quanto sentii fortemente le sue opere legate, a doppio filo, con il suo
sacrificio e la vita disperata. Nel testo, una frase semplice: non è ancora notte. E’ una frase che mi
ha colpito, molto cinematografica. Una frase senza fine. La premessa di una
sospensione. Non sarebbe un brutto titolo per il mio libro, credo. La parola mi ha reso sempre vigore e meraviglia. Il riuscire
a dare nuovi nomi alle cose di ogni giorno, osservandone le diverse angolature,
ribattezzandole, magari, in un altro modo. La parola, qui dentro, diviene
paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia, smontando i
pixel di questa irrealtà. Ho il mio corpo, lo vedo, come vedo i giorni che
trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola, cosa sarei? Un animale
che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la inseguo, certo, ma a volte
fortunatamente l’afferro. E’ mia.
Non è ancora
notte per l’anima mia
può darsi
l’augurio o una celata speranza
non è mai arrivata fonda la notte
altrimenti, in alcuni frattempi
non è abbastanza notte.
Tremo
poi arriverà il giorno
il giorno io non l’ho mai deciso.
Vorrei poter contare le lacrime che ho pianto
ne farei fiume pieno di correnti
per trascinare via brutti ricordi.
Vorrei poterle contare
e dare ad ognuna un nome diverso.
Vorrei un fiore di lacrime
staccarne un petalo dopo l’altro
farli seccare e comporre un profumo
giaciglio per anime sgualcite
non è mai arrivata fonda la notte
altrimenti, in alcuni frattempi
non è abbastanza notte.
Tremo
poi arriverà il giorno
il giorno io non l’ho mai deciso.
Vorrei poter contare le lacrime che ho pianto
ne farei fiume pieno di correnti
per trascinare via brutti ricordi.
Vorrei poterle contare
e dare ad ognuna un nome diverso.
Vorrei un fiore di lacrime
staccarne un petalo dopo l’altro
farli seccare e comporre un profumo
giaciglio per anime sgualcite
Con Antonetta ora parliamo, conversiamo con amabile ironia.
Tutto ebbe inizio una mattina di febbraio dello scorso anno, quando, durante un
laboratorio di poesia, la conobbi. Si riconobbero le parole, prima delle
persone. Le scrissi con pudore. Poi, convinto della sua attenzione, continuai.
Lei ascoltò la mia solitudine, rallentandola, rendendola intimo scambio. Ogni
poesia è un regalo, appena scritta non è più mia, la lascio libera per chi sa
raccoglierla. Antonetta le ha catturate ed ora siamo giunti sino a qui. Tutto è
dono, ora. (Patrice)
Alcune delle lettere che ho ricevuto da Patrice
Febbraio 2016
Capita spesso di pensare, quando si viene chiusi la sera.
Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia finestra riesco a intravedere
un tratto di superstrada. Guardo le luci delle auto sfrecciare e immagino
diverse solitudini. L’odore di un’automobile, l’odore dell’asfalto umido. E’
difficile scrivere qui perché si vive un tempo congelato e si deve imparare a
trattenere le emozioni
Marzo
Rendere la propria pelle più sottile, carta velina. Non è
facile in un cortile di cemento. Qui si diventa come un aereo di carta,
fragile, che non può nemmeno cercare di volare. Ma non voglio perdere il mio
coraggio. Non voglio smarrire le mie emozioni.
Maggio
Sto proseguendo il cammino. Qui dentro, non è facile. Ormai
sono passati alcuni mesi, 7 circa, e un mondo che sembrava disgiunto in due
binari paralleli, all’improvviso, coincide e da lì nasce una malinconia. Nasce
un dolore.
Giugno
I miei occhi diventano grandi per le lacrime che non riescono
a uscire per il magone. Gli altri lo scambiano per spinto stupore. Cerco di
sorridere perché al di là di tutto il male, qui dentro a che serve? Ce n’è già
abbastanza. Incontro ogni giorno storie di abbandono e di violenza, di pazzia,
di solitudine. E io sorrido in questi corridoi. Lavoro con una camicetta
azzurra, l’unico che lo fa. Voglio mantenere la mia dignità. E trovo anche
piccoli momenti di seduzione e complicità nelle poche donne che incontro.
Qualche silenzio aggiunto, qualche sguardo fugace. Con pudico
affetto
Giugno
Quattro cose
importanti.
Qui dentro il cuore diventa denso come pece.
Qui dentro il cuore diventa denso come pece.
La prima cosa è salvarsi il cervello, altrimenti viene
mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto da rettangoli e cucito da
quadrati, ovunque. I cortili, le sbarre alle finestre, i tavoli del colloquio,
le porte, o meglio il blindo chiuso. Mantenerlo vivo impegnandosi a percepire
gli input che provengono dal carcere. I corsi, i pochi lavori. Improvvisare e
disegnarsi una via alternativa.
La seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa
frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la
propria pelle. Necessità è contenere le emozioni che non possono uscire da qui.
Filtrarle ai bordi, magari. Come un lago in piena che raramente esonda,
altrimenti come in un lago, ogni greve parola, sia d’amore che di rabbia,
gettate, rispondono con onde senza ritorno.
La terza è difendersi dal condizionamento che è altra
cosa rispetto alla rieducazione. Il condizionamento è dato dalla disciplina
obbligata, il ripetersi di regole prive di senso come la conta tre volte al
giorno, dove, a orari periodici, dobbiamo trovarci ognuno nella propria cella.
Come se potessimo poi andare da altre parti, oltre la sezione.
La quarta è trattenere la rabbia perché la galera
stanca e sfianca gli animi. Bisogna imporre la propria autorità di uomo, senza
diventare una belva assetata. Non farsi schiacciare dalle tante furbizie da
poco. Si deve camminare a testa alta, dimostrare di essere uomini anche se ancora
non so bene il significato di questa parola.
Qui dentro il cuore diventa denso come pece e il sangue si
rallenta. Uno dei ragazzi con il quale scherzo di più è tunisino, ha le braccia
piene di cicatrici. E’ stato abbandonato dalla moglie e alterna un’aspra voglia
di vendetta con sorrisi disincantati come un bimbo che disegna le nuvole.
Luglio
L’estate sta avanzando. La luce rallenta il tempo e specchia
il cortile. L’aria: due ore la mattina, due ore il pomeriggio. Io posso solo il
sabato e la domenica, dopo la messa. Tolgo la maglietta, cammino e prendo il
sole, chiacchierando di crimini passati, abbandoni, spicchi di progetti,
battute che grattano per un poco la solitudine dalla pelle. Solo sognare il
mare. Siamo bestie in gabbia e come tali, ci osserviamo. A volte si ha uno
sguardo cattivo, il silenzio bagnato nei denti che sa di rancore.
Luglio
Cara Antonetta, ieri sono uscito ancora in permesso. Ho
scritto delle canzoni rap e, con altri detenuti, abbiamo cantato in un circolo
Arci, qui vicino Monza. E’ stato bello vedere, dopo tanti mesi, la realtà. La
sera, in un bar, con ragazze, uomini, coppie che ridono e che bevono insieme
qualcosa o stanno in silenzio.
Luglio
Come nella vita reale, un po' la fortuna la si deve cercare.
Lavoro e mantengo, con lo stipendio attuale, le mie spese settimanali. Non
fumando, i costi sono ridotti. Francobolli, pile per il lettore cd, per la
macchinetta dei capelli. Qualche sfizio, come una bustina di miele, i prodotti
per la cura personale, l’acquisto del cibo in comune per la cena. Ho rivisto
mia moglie e ho riconosciuto il mio amore nell’espressione del viso; le
sopracciglia un po' marcate, il naso irregolare e quelle labbra che mi hanno
sempre aperto un mondo. E’ lì, una bimba dagli occhi pieni di marrone e la voce
roca, lì, pazza e bugiarda. Ma è lì che sbaglia come una bambina. Vorrei tanto
difenderla, anche se ora, ho solamente uno scudo di cartone. Con stima e
affetto
Luglio
Speranze, promesse, un lavoro, sì necessario, ma che
psicologicamente tradiscono il pensiero. Altrimenti fermo perché, se dovessimo
solo essere sinceri e lucidi, non saremmo più carne, ma quasi ricordi. Un
cimitero vivente. Tutto questo finirà e anche questo sarebbe argomento di
discussione. Quanta malattia è unica e giusta? Ci sono persone adeguate alla
realtà e persone che inevitabilmente non lo saranno mai. La mia vita, la mia
storia, ne sono affollate. Allora diventeremo sassi scagliati, pietre nude
lanciate nel buio. E qui mi sono ispirato a Celan. Continuo a scrivere e
provare poesia, che è un modo di intendere. Lo può essere un silenzio, uno
sguardo, una carezza. Anche un insulto? Se futurista. Ora la lascio al suo
mare, immaginando il frigolìo della schiuma che si infrange sulla riva. E la
brezza che accompagna un sonno dolce, il pomeriggio. La ringrazio per la stima
e l’avermi ridato una dignità mancata.
Luglio
E’inevitabile che la detenzione abbia anche il compito di
lasciarti dei lividi dentro dai quali provo a salvarmi. Mi curo di più di
difendere la mia testa. Per fortuna, oltre le mie carenze affettive, ho una
stabilità, anche se compromessa. Non sono stato abbandonato come altri. Sto
passando delle settimane un po' difficili. Anche qui, come nei posti di lavoro,
al di fuori ci sono dinamiche simili. Si gioca sporco per l’illusione di avere
qualche beneficio e la mia educazione e la mia gentilezza sono state travisate
da altri detenuti come malizia. Le mando un
grande sorriso.
Luglio
Si, la poesia è salvifica, ma, usata nel modo più sincero,
diviene anche un’arma tagliente perché diventa sintesi estrema della verità
emotiva e non. Non ci si può dire bugie quando si scrive e non vi ho mai
trovato consolazione. Sono sempre andato oltre, giocando e mescolando le
parole, più e più volte, cercando la formula giusta. L’estate qui è un po' più
dura perché i giorni si allungano e paiono non finire mai.
Agosto
Le parole macerano nella testa e, mature, appaiono. Io le
raccolgo. A volte faccio in tempo, a volte meno. Non è tanto la detenzione in
sé che mi dà pena, ma l’abitudine ad una vita misera. E’ difficile confrontarsi
con i miei “colleghi” detenuti. La diversità stona. I modi gentili, le parole
forbite, non vengono comprese. Una cosa che mi dà parecchio fastidio è com’è
vista la donna qui dentro: una specie di sport. Io non corrompo le mie parole,
la mia intimità, con qualsiasi donna che abbia incontrato, anche solo per
qualche ora. E’ un nostro segreto. Tutti vantano sfrontate conquiste. Io ho ribadito
che la donna non è un contorno. Sì, la sessualità istintivamente manca, ma
forse, per mia fortuna, ne sono stato ben saziato perciò a me manca la
femminilità. M’innamoro anche di uno sguardo e osservo le poche donne che
incontro con discreta attenzione, con riserbo. Quando vengo rapito, m’incanto.
Ho sempre cercato nelle donne che ho incontrato, il segreto che possiedono
perché ognuna di loro ne ha uno diverso.
Agosto
L’agognata libertà diventa malevolenza altrui. Chiunque
attende la sofferenza del più debole per riempirla di frustrazione, ma io non
sono un animale. Il cuore è duro e il cervello è sano e, in ogni persona che
incontro, scopro i nervi tesi dell’ipocrisia. Inevitabili gli scontri.
Agosto
Ho preso l’abitudine di recitare una preghiera da me scritta
che cambia di volta, in volta. Mando dei segni, valore alle parole e alle
emozioni che proviamo e usiamo. Confido
in una sua risposta. Un grande sorriso. P.S. Spero un giorno
di poterti rivedere
Agosto
Ho azzerato una sessualità fisica, l’ho sublimata nei rari
momenti quando qui dentro incontro una femmina. Guardo le donne come guardare
un colore mai visto. Mi mancano perché ho passato una vita a naufragare nel
loro mistero.Un abbraccio
caloroso
Agosto
Poi all’improvviso ti viene voglia di scrivere e dimentichi
il tempo aiutato dalla musica. Sposto il tavolo accanto alla porta a sbarre,
chiusa dalle 20,00. Alla luce del corridoio, per non accendere quella della
cella, evitando disturbi e zanzare. Poi all'improvviso lenire la malconcia solitudine
e quasi stare bene.
Settembre
Ho il timore che il mio cuore invecchi qui dentro. Ho capito
che la mia educazione viene recepita come diversità mal tollerata nella
meschinità e nella volgarità che regna. La sera continuo a scrivere e, come un protagonista di
Conrad, sono di fronte alla folle caccia di catturare nuove parole. Le invio
altri testi, sperando, sono sincero, in una sua risposta che mi possa fare
compagnia almeno per qualche ora.
Settembre
Bisogna avere un forte coraggio per scrivere, soprattutto per
scrivere poesia perché è vietato dire bugie. Ci sono ancora alcune cose che non
ho salvato fino in fondo perché sarebbe come tirarmi fuori il cuore e
scagliarlo contro un duro muro. A volte non sono pronto a sanguinare affatto
Ottobre
Scrivo la sera sul tardi quando gli altri dormono e, a parte
il russare di qualcuno, qui domina il silenzio. Ed è nell’aria di questi
momenti, che a volte, accade l’intuizione. Allora l’afferro e cerco di
spiegarla al meglio sulla pagina. Alcune di queste parole sono scomode e crude,
ma così vere. Ed è quello che ho sempre cercato negli altri, ferendomi di più.
Siamo vivi per raccontare, ed è vita quello che dobbiamo raccontare.
Ottobre
Nella sera che tarda a farmi prendere sonno, le scrivo.
Vorrei che le parole costruissero un arcobaleno che mi faccia scivolare via di
qui. Non sarà così. Come il cielo a scacchi che disegna le finestre della
cella. Nella privazione, non ho lasciato, o almeno ci ho provato, scappare le
persone a me care. Di più ho cercato chi ha cambiato la mia storia, le donne
che hanno deviato il corso del mio destino. Mi ritengo fortunato, sa. Ho amato
molto e sono stato ricambiato. Forse in una comunione differente, ma ho
mischiato la mia carne e il mio sangue. Senza di loro che sarei? Mia madre mi
raccomanda di non dare pubblicità al mio vissuto qui, ma io non me ne vergogno.
Ho la mia dignità e, con dignità, pago la mia pena. Sono abbastanza soddisfatto
di come sono. A volte riesco pure a sorprendermi. Batte il mio cuore e ribatte
silente ma furioso, leggero ed elegante come il volo di una farfalla
apparentemente disordinato. Cosa dovrò cercare? Una tregua che molti scambiano
per vita? Non so, non voglio fare pensieri assoluti nella penombra di una porta
serrata. Piovono ricordi. Le emozioni infioriscono d’improvviso, un manto di
margherite piccole o quei fiorellini minuscoli azzurri che qui chiamano occhi
della Madonna. Sono stato fortunato, ho amato donne mai banali, persino
cattive, ma ho preso fuoco al loro respiro. E quando cammino nel cortile di
cemento, in tasca non ho nulla, ma se sono solo, forse è un inganno. Solo, non
lo sarò mai. Non sono più io, da un pezzo, sono ricco di vita altrui.Ti ringrazio
per la compagnia
Ottobre
Oggi hanno acceso i caloriferi e posso asciugare i panni. Ho
imparato brutte parole in arabo, così sorrido cattivo quando le ascolto. Mentre
pulisco i tetti, una volta alla settimana, sento le grida dei gabbiani. Lo
sguardo un poco si è incupito e più spesso la solitudine, che è una bestia
feroce, mi toglie il respiro con il suo fetore. Miro i corridoi e questi
scacchi che sono una finestra. Non guardo né avanti, né indietro. Il tempo è un
pozzo scuro.
Ottobre
I giorni proseguono, si allungano, si accorciano. Il tempo
pare davvero un elastico. Riesco a controllare le mie emozioni, per lo più. A
volte tremo. Il sonno scopre le mie fragilità durante i risvegli improvvisi
dove cerco un corpo caldo al quale stringermi che non c’è. Vi trovo solo coperte
arricciate. Questa è un’esperienza che segnerà la mia vita. Ma non ho più
paura.
Novembre
Non è un periodo molto sereno questo che sto passando. Vi è
un’inevitabile stanchezza. La noto anche sul mio volto, rischio di perdere
molto rimanendo qui.
Dicembre
Questo luogo non serve a cambiare. Dentro se stessi ci si
prova, ma qui vige la menzogna. Senza la menzogna non si riuscirebbe a
sopravvivere. La prima cosa da imparare è ingannarsi nel tempo.
Dicembre
A volte decollo nelle emozioni, altre preferisco scrivere di
cose accadute. A volte desidererei un bacio, una carezza. In questi giorni che
si ripetono continuamente dove si è obbligati a convivere con perfetti
sconosciuti. Bisogna limare il proprio carattere, ubriacarsi di sottili
compromessi. Non è mai stata la menzogna la mia vita. Ho sbagliato scambiando i
miei alibi con il facile denaro.
Dicembre
Ultimamente ho
riscontrato notevoli ritardi nella posta. Spero che le mie, ti siano arrivate
puntuali. Ti auguro, con il mio respiro più gentile, di passare un sereno
Natale con i tuoi affetti più cari. Io sono sempre stato me stesso nel rovescio
di delusioni, troppe. Nel brillio dei successi, pochi. Ti lascio una piccola
cosa che ho appena scritto. E’ sabato, viene sera. Magari scriverò altro.
Dicembre
Ho sempre cercato di scrivere. A casa, ho delle cose che ho
scritto quando avevo 20 anni, in una cartelletta verde. Ero affascinato dai
poeti futuristi, da Majokowsky, dai Beat americani. Cercavo le formule della
verità emotiva tramite le parole. Quasi a cercare una formula chimica. Mi
ricordo i miei tentativi con il Cut Up, i pomeriggi pigri passati nelle
biblioteche della zona, o le mattine quando bigiavo furiosamente la scuola e
andavo in Duomo, a Milano. Mangiavo un trancio di pizza, poi sfogliavo e
cercavo libri alla Rizzoli, alla Mondadori, alla Feltrinelli, a Monza. E quando
non avevo abbastanza soldi in tasca, stavo lì a leggere pagine a scrocco. Poi
sono successe tante cose. Molto ho provato con il cuore e con il corpo perché
se non si ha da vivere, si ha poco da raccontare, a meno che non sia Proust. Le
parole sono rimaste lì a riposare, a crescere come piccoli semi. Mi sono
interessato di arte, di fotografia, di moda. Poi sono arrivati i rovesci della
vita. Forse anche il dolore mi ha portato qui. Tante cose brutte sono accadute
e il dolore, da un certo tipo di dolore, non si può guarire, lo si può solo
ammansire. Ora sono qui, in carcere. Lo scrivere è una terapia, è una cura, è
anche ambizione. L’ambizione di cercare sempre una parola nuova. Ti ringrazio
per il calore, la tua attenzione: mi hanno ridato quella dignità che mi spinge
ogni giorno ad avere fiducia. E’ stata una fortuna. Un bacio
gentile
Natale
Ho passato tutto il giorno a letto. Un raffreddore forte e un
po' di malinconia. Sulla pagina bianca, che più o meno si colora, rivedo la mia
vita. Una vita di continui e violenti rovesci. Mi nascondo fra le coperte,
oggi, al riparo, cercando di smarrire nel sonno, fra il tepore, le mie parole.
Le mie scelte, in questi ultimi anni, sono state relative a una donna che è
peggio di un quadro cubista. Sono stati anni di errori, a ripetizione. Passare
un altro anno qui, un po' mi spaventa. Ad ogni colloquio vedo sul viso dolce di
mia madre un fiorir di lacrime come fosse il ripetersi di un lutto. Fra poco
proverò a dormire e, se ce la faccio, un sonno senza sogni. Buonanotte
31 dicembre
Inganno la mia mente in questo pomeriggio freddo, la galera è
fredda per antonomasia. E’ vero che cade l’ultimo dell’anno, di sabato. Questo
mio, è il secondo che passo fra le mura. Questo mese è stato più duro del
solito. Accade, perché, a volte, l’onda lunga di qualche pensiero sfuggito al
controllo, si infrange su un cuore privo di riparo. Ho amato, tradito e sono
stato tradito molto. Ho mantenuto un amore tradito anche qui. Ma è cosa crudele
perché qui dentro non si può credere a certe bugie come lì fuori. La verità si
fa e ha i limiti della carne, la propria. E’ doloroso, molto. Ti auguro di
iniziare l’anno nuovo con gioia, insieme ai tuoi cari.
Gennaio
Sono giorni che dormo poco. Mi sveglio durante la notte. Sto
pensando parecchio a mia moglie, una persona afflitta da lacune profonde. Ho
avuto le mie responsabilità. L’ho tradita. Io, che rappresentavo un filo
sottile che la teneva legata alla realtà, l'ho spezzato con una doppia vita
nella quale mi rifugiavo per le sue assenze. Ora lei c’è e non c’è per me. E’
come una luce ad intermittenza. Come quelle luci degli aerei che solcano i
cieli e scompaiono chissà dove. Sono in pensiero. Dov’è il limite fra l’amore e
il sacrificio? Sono consapevole che, se la lascerò andare, sarà una foglia
secca spazzata via. E pure che, se la seguirò, sarà una vita di sacrifici. Una
vita avvelenata.
Gennaio
Cara Antonetta
sistemando le mie cose, ho curiosato fra le copie in brutta
di alcuni scritti che ti ho inviato. Si, c’è bisogno di una ristesura di
qualcosa, ma sono felice di aver scovato, in alcune immagini, delle forti luci
come quando nella sabbia del mare, mentre cammini con i piedi a mollo,
scostando frammenti di conchiglie e sciami di sassolini levigati, trovi
qualcosa che riluce forte.
Cordiali saluti
Gennaio
Antonetta, la galera, almeno la prima volta che la fai,
funziona così: i primi mesi ti spaventa, i successivi li regoli abituandoti,
poi subentra la stanchezza che ti erode, mastica quello che sei e quello che
possiedi fuori. E’ in quest’ultima fase che capisci il significato della parola
galera. Dovrebbero farla ad esami, come a scuola, che se li passi, vai ad un
altro livello.Grazie della
compagnia.
Febbraio
Ciao
Antonetta
questo pomeriggio, prima di vederti, ero preoccupato del tuo
ritardo. Credevo non venissi. Sono felice di averti vista e ho avuto anche il
piacere di sorridere. Grato del tempo che mi dedichi. A presto.
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