La parola e la poesia nel carcere diventano salvifiche




Grazie alla parola da cui traspare l’amore/ a chi ha saputo appartenere ai miei giorni/ a chi sa e un poco anche a me. (Patrice)


L’incontro con Patrice è avvenuto in un pomeriggio di settembre dello scorso anno, durante un laboratorio di poesia promosso da Fina Quattrocchi, docente del CPIA di Monza.  Da quel giorno e, per un anno, Patrice mi ha inviato, quasi tutte le settimane, le sue lettere intrise di versi e di vita reclusa. Lettere necessarie, lettere antidoto alla sua solitudine e allo smarrimento: qui dentro, il cuore diventa denso come pece e il sangue si rallenta. Scrivere per Patrice è stato salvifico, il suo tumulto di emozioni e di dolore ha trovato supporto nella poesia e nella parola a cui ha affidato tutto se stesso, senza risparmiarsi mai, essendo sincero, nel più profondo: non ci si può dire bugie quando si scrive. Ha cercato di mantenere la propria dignità anche nel vestire senza rinunciare mai ad indossare le sue camicie. Ma scrivere in un ambiente di cemento è difficile perché: qui si diventa come un aereo di carta, fragile, che non può nemmeno cercare di volare. Il carcere tende ad amplificare le emozioni, tutto viene percepito in modo alterato e questo può aggiungere dolore al dolore. Allora si cerca di sopravvivere, ognuno con il proprio manuale di sopravvivenza: per prima cosa è salvarsi il cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque; la seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la propria pelle; la terza è difendersi dal condizionamento che è altra cosa rispetto alla rieducazione; la quarta è trattenere la rabbia perché la galera stanca e sfianca gli animi.

La sera, quando arriva, è nera. Le voci si spengono e così anche quei pochi colori che, durante il giorno, sono fatti di ritagli di cielo. Allora il silenzio stempera il cuore che non ce la fa a trattenere la solitudine e si abbandona, inerme, senza più difese. Capita spesso di pensare, quando si viene chiusi la sera. Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia finestra riesco a intravedere un tratto di superstrada. Guardo le luci delle auto sfrecciare e immagino diverse solitudini. L’odore di un’automobile, l’odore dell’asfalto umido. E’ difficile scrivere qui perché si vive un tempo congelato e si deve imparare a trattenere le emozioni. La parola aiuta gli animi a riconciliarsi, preparandolo alla riappacificazione con quel mondo dal quale è stato momentaneamente allontanato.  La parola, qui dentro, diviene paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia, smontando i pixel di questa irrealtà. Ho il mio corpo, lo vedo, come vedo i giorni che trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola, cosa sarei? Un animale che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la inseguo, certo, ma a volte fortunatamente l’afferro. E’mia. La poesia di Patrice è vera, autentica, direi coraggiosa. Nei suoi versi c’è tutta la sua vita, l’amore, la strada, l’infanzia.

Testimonianze

La prima volta che sono entrata in un carcere da praticante, la cosa che più mi ha colpito è stato il rumore delle porte quando si chiudono, un rumore sordo, intenso quasi a sottolineare la chiusura di quel mondo verso l’esterno. Quello che si intuisce prima, e si comprende poi è che il carcere è un mondo nel mondo: con le sue regole, i suoi spazi, le sue divisioni sociali, i suoi gruppi. Nel momento in cui una persona, che vive l’esperienza carceraria, decide di mettersi in gioco, offre di sé quello spazio privato e intimo che pochi di noi offrono nella loro quotidianità se non ai loro affetti più cari. Non conoscevo Patrice quando ho steso queste righe ma dalle sue parole ho avuto molto, ancora una volta. Le ho scritte a caldo dopo aver letto le sue parole: belle, intense, capaci di trasmettere non tanto rabbia per la sua condizione quanto rammarico per un passato perduto e desiderio intenso di futuro.Leggendo le sue parole ho avuto la percezione di una persona che scrive guardando il cielo al di là delle sbarre alle finestre della cella. E guardando quel cielo sento urgente la necessità di fermarmi ad apprezzare un gesto o un respiro, anche solo un battito di ciglia. L’importanza di riflettere su un sussurro o su un attimo. Grazie Patrice.

(Maura Traverso Presidente della Camera Penale di Monza)




Patrice potrebbe essere un figlio, un amico, un vicino di casa, una persona che quando la incontri per strada la noti e non solo perché ha l’aria un po' bohémien, ma soprattutto perché ha uno sguardo profondo che non lascia indifferenti. Patrice è un ragazzo che scrive e sa scrivere bene. Un dono che nel luogo in cui si trova, gli ha salvato la vita. Patrice l’ho conosciuto per caso un pomeriggio in cui mi sono recata da lui per chiedergli se voleva partecipare ad un concorso letterario. Era in attesa di un colloquio e non era felice, né sereno. Mi disse che ci avrebbe pensato. Aspettai. Patrice mi scrisse qualche poesia e da lì compresi che aveva tanto da raccontare, aveva molto dolore a cui dare forma. Scrisse dei versi che mi lasciarono senza fiato, c’era lui lì dentro, senza veli. Compresi che avrei dovuto dargli coraggio e forza per credere ancora, perché nulla era andato perso. Ancora una chance. Patrice a distanza di tempo, l’ho visto tornare a sorridere, mettersi in gioco, lavorare, fare teatro. Fino all’incontro con Antonetta Carrabs che ha dato voce e spessore alla sua poetica, che merita di essere portata fuori, alla società civile. Senza buonismo o strofe romantiche, lui non è questo. Patrice quando lo vedi recarsi in biblioteca, con la sua giacca da ragazzo elegante, sai, speri, che ce la può fare perché ha saputo dare un senso alla sua detenzione con la scrittura, ma non solo. Forse lo stop che la vita gli ha messo in faccia non è stato vano. Non è ancora notte per Patrice e gli auguro che un nuovo giorno possa illuminare il suo cammino. 

(Fina Quattrocchi Docente di Laboratorio di poesia creativa) 

Cara Antonetta sfogliando un libro, ho letto il testo “Sogno di prigione” di Dino Campana.  Mi è ritornato in mente quanto io fossi appassionato alla storia d’amore che lo legò a Sibilla Aleramo e quanto sentii fortemente le sue opere legate, a doppio filo, con il suo sacrificio e la vita disperata. Nel testo, una frase semplice: non è ancora notte. E’ una frase che mi ha colpito, molto cinematografica. Una frase senza fine. La premessa di una sospensione. Non sarebbe un brutto titolo per il mio libro, credo. La parola mi ha reso sempre vigore e meraviglia. Il riuscire a dare nuovi nomi alle cose di ogni giorno, osservandone le diverse angolature, ribattezzandole, magari, in un altro modo. La parola, qui dentro, diviene paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia, smontando i pixel di questa irrealtà. Ho il mio corpo, lo vedo, come vedo i giorni che trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola, cosa sarei? Un animale che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la inseguo, certo, ma a volte fortunatamente l’afferro. E’ mia.

Non è ancora notte per l’anima mia

può darsi l’augurio o una celata speranza
non è mai arrivata fonda la notte
altrimenti, in alcuni frattempi
non è abbastanza notte.
Tremo
poi arriverà il giorno
il giorno io non l’ho mai deciso.
Vorrei poter contare le lacrime che ho pianto
ne farei fiume pieno di correnti
per trascinare via brutti ricordi.
Vorrei poterle contare
e dare ad ognuna un nome diverso.
Vorrei un fiore di lacrime
staccarne un petalo dopo l’altro
farli seccare e comporre un profumo
giaciglio per anime sgualcite
Con Antonetta ora parliamo, conversiamo con amabile ironia. Tutto ebbe inizio una mattina di febbraio dello scorso anno, quando, durante un laboratorio di poesia, la conobbi. Si riconobbero le parole, prima delle persone. Le scrissi con pudore. Poi, convinto della sua attenzione, continuai. Lei ascoltò la mia solitudine, rallentandola, rendendola intimo scambio. Ogni poesia è un regalo, appena scritta non è più mia, la lascio libera per chi sa raccoglierla. Antonetta le ha catturate ed ora siamo giunti sino a qui. Tutto è dono, ora.  (Patrice)



Alcune delle lettere che ho ricevuto da Patrice

Febbraio 2016

Capita spesso di pensare, quando si viene chiusi la sera. Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia finestra riesco a intravedere un tratto di superstrada. Guardo le luci delle auto sfrecciare e immagino diverse solitudini. L’odore di un’automobile, l’odore dell’asfalto umido. E’ difficile scrivere qui perché si vive un tempo congelato e si deve imparare a trattenere le emozioni                                                 
Marzo

Rendere la propria pelle più sottile, carta velina. Non è facile in un cortile di cemento. Qui si diventa come un aereo di carta, fragile, che non può nemmeno cercare di volare. Ma non voglio perdere il mio coraggio. Non voglio smarrire le mie emozioni.                                                      

Maggio
Sto proseguendo il cammino. Qui dentro, non è facile. Ormai sono passati alcuni mesi, 7 circa, e un mondo che sembrava disgiunto in due binari paralleli, all’improvviso, coincide e da lì nasce una malinconia. Nasce un dolore.

Giugno

I miei occhi diventano grandi per le lacrime che non riescono a uscire per il magone. Gli altri lo scambiano per spinto stupore. Cerco di sorridere perché al di là di tutto il male, qui dentro a che serve? Ce n’è già abbastanza. Incontro ogni giorno storie di abbandono e di violenza, di pazzia, di solitudine. E io sorrido in questi corridoi. Lavoro con una camicetta azzurra, l’unico che lo fa. Voglio mantenere la mia dignità. E trovo anche piccoli momenti di seduzione e complicità nelle poche donne che incontro. Qualche silenzio aggiunto, qualche sguardo fugace. Con pudico affetto


Giugno

Quattro cose importanti.
Qui dentro il cuore diventa denso come pece.

La prima cosa è salvarsi il cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque. I cortili, le sbarre alle finestre, i tavoli del colloquio, le porte, o meglio il blindo chiuso. Mantenerlo vivo impegnandosi a percepire gli input che provengono dal carcere. I corsi, i pochi lavori. Improvvisare e disegnarsi una via alternativa.

La seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la propria pelle. Necessità è contenere le emozioni che non possono uscire da qui. Filtrarle ai bordi, magari. Come un lago in piena che raramente esonda, altrimenti come in un lago, ogni greve parola, sia d’amore che di rabbia, gettate, rispondono con onde senza ritorno.

La terza è difendersi dal condizionamento che è altra cosa rispetto alla rieducazione. Il condizionamento è dato dalla disciplina obbligata, il ripetersi di regole prive di senso come la conta tre volte al giorno, dove, a orari periodici, dobbiamo trovarci ognuno nella propria cella. Come se potessimo poi andare da altre parti, oltre la sezione.

La quarta è trattenere la rabbia perché la galera stanca e sfianca gli animi. Bisogna imporre la propria autorità di uomo, senza diventare una belva assetata. Non farsi schiacciare dalle tante furbizie da poco. Si deve camminare a testa alta, dimostrare di essere uomini anche se ancora non so bene il significato di questa parola.

Qui dentro il cuore diventa denso come pece e il sangue si rallenta. Uno dei ragazzi con il quale scherzo di più è tunisino, ha le braccia piene di cicatrici. E’ stato abbandonato dalla moglie e alterna un’aspra voglia di vendetta con sorrisi disincantati come un bimbo che disegna le nuvole.

Luglio

L’estate sta avanzando. La luce rallenta il tempo e specchia il cortile. L’aria: due ore la mattina, due ore il pomeriggio. Io posso solo il sabato e la domenica, dopo la messa. Tolgo la maglietta, cammino e prendo il sole, chiacchierando di crimini passati, abbandoni, spicchi di progetti, battute che grattano per un poco la solitudine dalla pelle. Solo sognare il mare. Siamo bestie in gabbia e come tali, ci osserviamo. A volte si ha uno sguardo cattivo, il silenzio bagnato nei denti che sa di rancore.

Luglio

Cara Antonetta, ieri sono uscito ancora in permesso. Ho scritto delle canzoni rap e, con altri detenuti, abbiamo cantato in un circolo Arci, qui vicino Monza. E’ stato bello vedere, dopo tanti mesi, la realtà. La sera, in un bar, con ragazze, uomini, coppie che ridono e che bevono insieme qualcosa o stanno in silenzio.

Luglio

Come nella vita reale, un po' la fortuna la si deve cercare. Lavoro e mantengo, con lo stipendio attuale, le mie spese settimanali. Non fumando, i costi sono ridotti. Francobolli, pile per il lettore cd, per la macchinetta dei capelli. Qualche sfizio, come una bustina di miele, i prodotti per la cura personale, l’acquisto del cibo in comune per la cena. Ho rivisto mia moglie e ho riconosciuto il mio amore nell’espressione del viso; le sopracciglia un po' marcate, il naso irregolare e quelle labbra che mi hanno sempre aperto un mondo. E’ lì, una bimba dagli occhi pieni di marrone e la voce roca, lì, pazza e bugiarda. Ma è lì che sbaglia come una bambina. Vorrei tanto difenderla, anche se ora, ho solamente uno scudo di cartone. Con stima e affetto

Luglio

Speranze, promesse, un lavoro, sì necessario, ma che psicologicamente tradiscono il pensiero. Altrimenti fermo perché, se dovessimo solo essere sinceri e lucidi, non saremmo più carne, ma quasi ricordi. Un cimitero vivente. Tutto questo finirà e anche questo sarebbe argomento di discussione. Quanta malattia è unica e giusta? Ci sono persone adeguate alla realtà e persone che inevitabilmente non lo saranno mai. La mia vita, la mia storia, ne sono affollate. Allora diventeremo sassi scagliati, pietre nude lanciate nel buio. E qui mi sono ispirato a Celan. Continuo a scrivere e provare poesia, che è un modo di intendere. Lo può essere un silenzio, uno sguardo, una carezza. Anche un insulto? Se futurista. Ora la lascio al suo mare, immaginando il frigolìo della schiuma che si infrange sulla riva. E la brezza che accompagna un sonno dolce, il pomeriggio. La ringrazio per la stima e l’avermi ridato una dignità mancata.

Luglio

E’inevitabile che la detenzione abbia anche il compito di lasciarti dei lividi dentro dai quali provo a salvarmi. Mi curo di più di difendere la mia testa. Per fortuna, oltre le mie carenze affettive, ho una stabilità, anche se compromessa. Non sono stato abbandonato come altri. Sto passando delle settimane un po' difficili. Anche qui, come nei posti di lavoro, al di fuori ci sono dinamiche simili. Si gioca sporco per l’illusione di avere qualche beneficio e la mia educazione e la mia gentilezza sono state travisate da altri detenuti come malizia. Le mando un grande sorriso.

Luglio

Si, la poesia è salvifica, ma, usata nel modo più sincero, diviene anche un’arma tagliente perché diventa sintesi estrema della verità emotiva e non. Non ci si può dire bugie quando si scrive e non vi ho mai trovato consolazione. Sono sempre andato oltre, giocando e mescolando le parole, più e più volte, cercando la formula giusta. L’estate qui è un po' più dura perché i giorni si allungano e paiono non finire mai.

Agosto

Le parole macerano nella testa e, mature, appaiono. Io le raccolgo. A volte faccio in tempo, a volte meno. Non è tanto la detenzione in sé che mi dà pena, ma l’abitudine ad una vita misera. E’ difficile confrontarsi con i miei “colleghi” detenuti. La diversità stona. I modi gentili, le parole forbite, non vengono comprese. Una cosa che mi dà parecchio fastidio è com’è vista la donna qui dentro: una specie di sport. Io non corrompo le mie parole, la mia intimità, con qualsiasi donna che abbia incontrato, anche solo per qualche ora. E’ un nostro segreto. Tutti vantano sfrontate conquiste. Io ho ribadito che la donna non è un contorno. Sì, la sessualità istintivamente manca, ma forse, per mia fortuna, ne sono stato ben saziato perciò a me manca la femminilità. M’innamoro anche di uno sguardo e osservo le poche donne che incontro con discreta attenzione, con riserbo. Quando vengo rapito, m’incanto. Ho sempre cercato nelle donne che ho incontrato, il segreto che possiedono perché ognuna di loro ne ha uno diverso.

Agosto

L’agognata libertà diventa malevolenza altrui. Chiunque attende la sofferenza del più debole per riempirla di frustrazione, ma io non sono un animale. Il cuore è duro e il cervello è sano e, in ogni persona che incontro, scopro i nervi tesi dell’ipocrisia. Inevitabili gli scontri.

Agosto

Ho preso l’abitudine di recitare una preghiera da me scritta che cambia di volta, in volta. Mando dei segni, valore alle parole e alle emozioni che proviamo e usiamo.  Confido in una sua risposta. Un grande sorriso. P.S. Spero un giorno di poterti rivedere


Agosto

Ho azzerato una sessualità fisica, l’ho sublimata nei rari momenti quando qui dentro incontro una femmina. Guardo le donne come guardare un colore mai visto. Mi mancano perché ho passato una vita a naufragare nel loro mistero.Un abbraccio caloroso


Agosto

Poi all’improvviso ti viene voglia di scrivere e dimentichi il tempo aiutato dalla musica. Sposto il tavolo accanto alla porta a sbarre, chiusa dalle 20,00. Alla luce del corridoio, per non accendere quella della cella, evitando disturbi e zanzare. Poi all'improvviso lenire la malconcia solitudine e quasi stare bene.


Settembre

Ho il timore che il mio cuore invecchi qui dentro. Ho capito che la mia educazione viene recepita come diversità mal tollerata nella meschinità e nella volgarità che regna. La sera continuo a scrivere e, come un protagonista di Conrad, sono di fronte alla folle caccia di catturare nuove parole. Le invio altri testi, sperando, sono sincero, in una sua risposta che mi possa fare compagnia almeno per qualche ora. 

Settembre

Bisogna avere un forte coraggio per scrivere, soprattutto per scrivere poesia perché è vietato dire bugie. Ci sono ancora alcune cose che non ho salvato fino in fondo perché sarebbe come tirarmi fuori il cuore e scagliarlo contro un duro muro. A volte non sono pronto a sanguinare affatto

Ottobre

Scrivo la sera sul tardi quando gli altri dormono e, a parte il russare di qualcuno, qui domina il silenzio. Ed è nell’aria di questi momenti, che a volte, accade l’intuizione. Allora l’afferro e cerco di spiegarla al meglio sulla pagina. Alcune di queste parole sono scomode e crude, ma così vere. Ed è quello che ho sempre cercato negli altri, ferendomi di più. Siamo vivi per raccontare, ed è vita quello che dobbiamo raccontare.


Ottobre

Nella sera che tarda a farmi prendere sonno, le scrivo. Vorrei che le parole costruissero un arcobaleno che mi faccia scivolare via di qui. Non sarà così. Come il cielo a scacchi che disegna le finestre della cella. Nella privazione, non ho lasciato, o almeno ci ho provato, scappare le persone a me care. Di più ho cercato chi ha cambiato la mia storia, le donne che hanno deviato il corso del mio destino. Mi ritengo fortunato, sa. Ho amato molto e sono stato ricambiato. Forse in una comunione differente, ma ho mischiato la mia carne e il mio sangue. Senza di loro che sarei? Mia madre mi raccomanda di non dare pubblicità al mio vissuto qui, ma io non me ne vergogno. Ho la mia dignità e, con dignità, pago la mia pena. Sono abbastanza soddisfatto di come sono. A volte riesco pure a sorprendermi. Batte il mio cuore e ribatte silente ma furioso, leggero ed elegante come il volo di una farfalla apparentemente disordinato. Cosa dovrò cercare? Una tregua che molti scambiano per vita? Non so, non voglio fare pensieri assoluti nella penombra di una porta serrata. Piovono ricordi. Le emozioni infioriscono d’improvviso, un manto di margherite piccole o quei fiorellini minuscoli azzurri che qui chiamano occhi della Madonna. Sono stato fortunato, ho amato donne mai banali, persino cattive, ma ho preso fuoco al loro respiro. E quando cammino nel cortile di cemento, in tasca non ho nulla, ma se sono solo, forse è un inganno. Solo, non lo sarò mai. Non sono più io, da un pezzo, sono ricco di vita altrui.Ti ringrazio per la compagnia

Ottobre

Oggi hanno acceso i caloriferi e posso asciugare i panni. Ho imparato brutte parole in arabo, così sorrido cattivo quando le ascolto. Mentre pulisco i tetti, una volta alla settimana, sento le grida dei gabbiani. Lo sguardo un poco si è incupito e più spesso la solitudine, che è una bestia feroce, mi toglie il respiro con il suo fetore. Miro i corridoi e questi scacchi che sono una finestra. Non guardo né avanti, né indietro. Il tempo è un pozzo scuro.

Ottobre

I giorni proseguono, si allungano, si accorciano. Il tempo pare davvero un elastico. Riesco a controllare le mie emozioni, per lo più. A volte tremo. Il sonno scopre le mie fragilità durante i risvegli improvvisi dove cerco un corpo caldo al quale stringermi che non c’è. Vi trovo solo coperte arricciate. Questa è un’esperienza che segnerà la mia vita. Ma non ho più paura.

Novembre

Non è un periodo molto sereno questo che sto passando. Vi è un’inevitabile stanchezza. La noto anche sul mio volto, rischio di perdere molto rimanendo qui.

Dicembre

Questo luogo non serve a cambiare. Dentro se stessi ci si prova, ma qui vige la menzogna. Senza la menzogna non si riuscirebbe a sopravvivere. La prima cosa da imparare è ingannarsi nel tempo. 

Dicembre

A volte decollo nelle emozioni, altre preferisco scrivere di cose accadute. A volte desidererei un bacio, una carezza. In questi giorni che si ripetono continuamente dove si è obbligati a convivere con perfetti sconosciuti. Bisogna limare il proprio carattere, ubriacarsi di sottili compromessi. Non è mai stata la menzogna la mia vita. Ho sbagliato scambiando i miei alibi con il facile denaro.

Dicembre

Ultimamente ho riscontrato notevoli ritardi nella posta. Spero che le mie, ti siano arrivate puntuali. Ti auguro, con il mio respiro più gentile, di passare un sereno Natale con i tuoi affetti più cari. Io sono sempre stato me stesso nel rovescio di delusioni, troppe. Nel brillio dei successi, pochi. Ti lascio una piccola cosa che ho appena scritto. E’ sabato, viene sera. Magari scriverò altro.



Dicembre

Ho sempre cercato di scrivere. A casa, ho delle cose che ho scritto quando avevo 20 anni, in una cartelletta verde. Ero affascinato dai poeti futuristi, da Majokowsky, dai Beat americani. Cercavo le formule della verità emotiva tramite le parole. Quasi a cercare una formula chimica. Mi ricordo i miei tentativi con il Cut Up, i pomeriggi pigri passati nelle biblioteche della zona, o le mattine quando bigiavo furiosamente la scuola e andavo in Duomo, a Milano. Mangiavo un trancio di pizza, poi sfogliavo e cercavo libri alla Rizzoli, alla Mondadori, alla Feltrinelli, a Monza. E quando non avevo abbastanza soldi in tasca, stavo lì a leggere pagine a scrocco. Poi sono successe tante cose. Molto ho provato con il cuore e con il corpo perché se non si ha da vivere, si ha poco da raccontare, a meno che non sia Proust. Le parole sono rimaste lì a riposare, a crescere come piccoli semi. Mi sono interessato di arte, di fotografia, di moda. Poi sono arrivati i rovesci della vita. Forse anche il dolore mi ha portato qui. Tante cose brutte sono accadute e il dolore, da un certo tipo di dolore, non si può guarire, lo si può solo ammansire. Ora sono qui, in carcere. Lo scrivere è una terapia, è una cura, è anche ambizione. L’ambizione di cercare sempre una parola nuova. Ti ringrazio per il calore, la tua attenzione: mi hanno ridato quella dignità che mi spinge ogni giorno ad avere fiducia. E’ stata una fortuna. Un bacio gentile

Natale

Ho passato tutto il giorno a letto. Un raffreddore forte e un po' di malinconia. Sulla pagina bianca, che più o meno si colora, rivedo la mia vita. Una vita di continui e violenti rovesci. Mi nascondo fra le coperte, oggi, al riparo, cercando di smarrire nel sonno, fra il tepore, le mie parole. Le mie scelte, in questi ultimi anni, sono state relative a una donna che è peggio di un quadro cubista. Sono stati anni di errori, a ripetizione. Passare un altro anno qui, un po' mi spaventa. Ad ogni colloquio vedo sul viso dolce di mia madre un fiorir di lacrime come fosse il ripetersi di un lutto. Fra poco proverò a dormire e, se ce la faccio, un sonno senza sogni. Buonanotte

31 dicembre

Inganno la mia mente in questo pomeriggio freddo, la galera è fredda per antonomasia. E’ vero che cade l’ultimo dell’anno, di sabato. Questo mio, è il secondo che passo fra le mura. Questo mese è stato più duro del solito. Accade, perché, a volte, l’onda lunga di qualche pensiero sfuggito al controllo, si infrange su un cuore privo di riparo. Ho amato, tradito e sono stato tradito molto. Ho mantenuto un amore tradito anche qui. Ma è cosa crudele perché qui dentro non si può credere a certe bugie come lì fuori. La verità si fa e ha i limiti della carne, la propria. E’ doloroso, molto. Ti auguro di iniziare l’anno nuovo con gioia, insieme ai tuoi cari.

Gennaio

Sono giorni che dormo poco. Mi sveglio durante la notte. Sto pensando parecchio a mia moglie, una persona afflitta da lacune profonde. Ho avuto le mie responsabilità. L’ho tradita. Io, che rappresentavo un filo sottile che la teneva legata alla realtà, l'ho spezzato con una doppia vita nella quale mi rifugiavo per le sue assenze. Ora lei c’è e non c’è per me. E’ come una luce ad intermittenza. Come quelle luci degli aerei che solcano i cieli e scompaiono chissà dove. Sono in pensiero. Dov’è il limite fra l’amore e il sacrificio? Sono consapevole che, se la lascerò andare, sarà una foglia secca spazzata via. E pure che, se la seguirò, sarà una vita di sacrifici. Una vita avvelenata.

Gennaio

Cara Antonetta

sistemando le mie cose, ho curiosato fra le copie in brutta di alcuni scritti che ti ho inviato. Si, c’è bisogno di una ristesura di qualcosa, ma sono felice di aver scovato, in alcune immagini, delle forti luci come quando nella sabbia del mare, mentre cammini con i piedi a mollo, scostando frammenti di conchiglie e sciami di sassolini levigati, trovi qualcosa che riluce forte.

Cordiali saluti

Gennaio

Antonetta, la galera, almeno la prima volta che la fai, funziona così: i primi mesi ti spaventa, i successivi li regoli abituandoti, poi subentra la stanchezza che ti erode, mastica quello che sei e quello che possiedi fuori. E’ in quest’ultima fase che capisci il significato della parola galera. Dovrebbero farla ad esami, come a scuola, che se li passi, vai ad un altro livello.Grazie della compagnia.


Febbraio

Ciao Antonetta

questo pomeriggio, prima di vederti, ero preoccupato del tuo ritardo. Credevo non venissi. Sono felice di averti vista e ho avuto anche il piacere di sorridere. Grato del tempo che mi dedichi. A presto.

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