Monza - Il Gran Premio di Formula1 raccontato da un ex detenuto


Il Gran Premio d'Italia di Formula1 compie, quest'anno, il suo 100° anniversario. Dal 9 all'11 settembre il cuore della città di Monza batterà più forte. Vi propongo una testimonianza molto speciale, a tratti drammatica, che Gianni, oggi ex detenuto del carcere di Monza, mi aveva fatto durante la sua detenzione. Gianni di corse automobilistiche se ne intendeva davvero perché, oltre a gareggiare, le costruiva

"Nella mia carriera di preparatore prima e di pilota dopo, ho vissuto e sperimentato tutte le innovazioni tecnologiche legate alle auto da competizione che sono diventate sempre più potenti e performanti. L’impiego smisurato dell’elettronica e i regolamenti assai discutibili, costruiti in nome di una presunta diminuzione dei costi, purtroppo limitano le prestazioni dei piloti che reprimono il loro spirito da combattenti per sottostare ai consigli tecnici dei vari team. Alla luce delle mie esperienze sul campo penso, resto fedele alle competizioni automobilistiche del passato dove il pilota era il vero protagonista e faceva la differenza. Le auto da corsa venivano messe a punto su misura del pilota e non come adesso che tutto è calcolato al computer. Con questo non voglio dire che i piloti di oggi siano meno bravi di quelli di ieri, ma sono di certo molto più facilitati. Mi chiedo: l’estrema sofisticheria ingegneristica si concilia bene con l’automobilismo sportivo? I piloti oggi mi sembrano robottizzati e rendono quasi noiose le gare. La formula uno non si sta allontanando sempre di più dalla gente? Gli addetti ai lavori sembrano vivere nella loro torre dorata, è venuto meno il contatto personale fra piloti e spettatori, si punta maggiormente sui media. La Formula 1 è una giostra di lusso dove i giostrai si arricchiscono, ma continua ad affascinare il suo pubblico per il rischio e la spettacolarizzazione.  in questi ultimi tempi la ricerca tecnologica ha fatto sì che le auto siano migliorate in affidabilità e sicurezza anche grazie alla professionalità dei loro tecnici ed ingegneri.  Non nascondo che gli interessi economici che gravitano in questo mondo sono a beneficio soprattutto delle case automobilistiche che puntano esclusivamente ai loro interessi. Ma i piloti? In questo mondo di business il pilota appare come un burattino senz’anima. Mi auguro che si possa ritornare a vivere quella sana competizione fra team, e che i nuovi padroni del CIRCUS F.I.A. possano vivacizzare le gare rendendole non una banale corsa solo per raggiungere il traguardo ma incerte ed interessanti per tutti gli sportivi e i tifosi che seguono fedelmente questo meraviglioso sport. E’ vero che la Formula uno è il trionfo dell’immagine, della luce, della temerarietà. Ogni gesto assume un significato sacrale nella provvisorietà del momento. Ogni clic ferma un frammento di vita. Sono attimi fuori dal tempo, istanti densi di ansia e di passione, ma anche di tensione. La formula uno brucia le certezze e gela le speranze. Tutt’intorno il frastuono dei motori, di elicotteri, di passi. Le urla dei tifosi. Il mondiale è mille storie da raccontare. Dietro ad ogni curva c’è l’incognita, la sorpresa, la panoramica delle visioni che si allontanano e che poi ritornano. I piloti sfidano il vento fra i colori che si mischiano con l’odore degli eucalipti, delle adelaidi, delle buganville di Rio, della lavanda del Castelet, del mare di Montecarlo, del verde respiro di Monza. Un altro giorno, un’altra pagina un altro sogno, un’altra sfida, un altro anno.

Ayrton Senna

Vivendo nel mondo delle corse automobilistiche, ho conosciuto tantissimi piloti, alcuni diventati poi campioni del mondo. Questo mi ha dato la possibilità di conoscerli molto a fondo. Vi racconterò di loro svelandovi aneddoti e curiosità della loro vita. Parto con Ayrton Senna. L’ho incontrato la prima volta durante il mondiale di Kart di Parma. Ho avuto immediatamente il sentore di quanto fosse antipatico e quanto fosse un pilota “scorretto”. I nostri incontri, in principio, sia in pista che fuori, non sono stati idilliaci. Poi, dopo un chiarimento fra di noi, tutto è cambiato e ne è nata se non una vera amicizia, di sicuro un’intesa durata nel tempo. Ayrton mi ha sempre ribadito che in gara, come in battaglia, non ci sono amici ma quello che più conta è vincere. – La paura non è incontrollabile- mi ripeteva spesso – ci vuole molta forza di volontà. Se un incidente grave o mortale ti coinvolge emotivamente, se a 300 Km orari pensi che una gomma possa scoppiare o che ci possano essere problemi ai freni nella tua prossima curva, vuol dire che non stai facendo correttamente il tuo lavoro. Ricordati che devi arrivare in gara con meno emozioni possibili. Io ho in testa un deviatore posizione gara. Penso soltanto alla competizione. Quando tutto è finito ritorno “in fase normale”, torno ad essere un umano come tutti. - Abbiamo avuto modo di chiacchierare e confrontarci spesso. Ayrton era ritenuto antipatico per i suoi comportamenti in pista e per essere particolarmente sincero quando c’era da contestare la gestione della Formula1. Ayrton è arrivato in F1 giovanissimo, è normale che abbia commesso errori, ma ha avuto modo di dimostrare tutto il suo talento vincendo 3 campionati del mondo. Più diventava famoso e più acquisiva il coraggio per contestare il sistema. Era maturato in quelle torri dorate: le sue considerazioni erano rivoluzionarie per quell’ambiente. Ci siamo ritrovati spesso a parlare di volontariato. Ayrton mi ha confessato che, a differenza di molti ricchi che voltavano le spalle alla povertà, lui aveva sempre fatto beneficenza e in silenzio, senza sbandierarla ai quattro venti. Sapeva che facevo volontariato, guidavo allora l’ambulanza. Mi ripeteva sempre: - Gianni, se guidi come guidi in pista, poveri malati!-  Era nato in Brasile e conosceva molto bene le condizioni dei meninos de Rua e quanto fosse importante per loro il suo aiuto. Nel 1988, dopo il suo terribile incidente sul tracciato di Montecarlo, Ayrton si avvicina a Dio come mai aveva fatto prima. – Sono stato cattolico come tanti- mi diceva- poi qualcuno mi ha fatto capire alcune cose. Sai, leggo la Bibbia ed è lì che immancabilmente trovo le risposte ai miei tanti dubbi. Ti consiglio di farlo anche tu. – Fino a quel fatidico 1maggio del 1994, Ayrton mi aveva spesso raccontato di aver subito più volte minacce a causa della sua eccessiva onestà e trasparenza. – Ci sono stati momenti in cui alcune persone hanno cercato di distruggermi, ma non ci sono riusciti, anzi mi hanno rafforzato. E’ difficile cambiare il mondo ma sono convinto che ognuno di noi possa dare il suo contributo. Quello che faccio per la povertà non l’ho mai dichiarato. -  E per questo ho sempre rispettato questo suo desiderio di non rendere pubblica la sua grande generosità. Custodisco di lui segretamente tante cose. Non so cosa sia passato nella testa di Ayrton quel 30 aprile del 1994, giorno in cui perse la vita Ronaldo Patremerser. Sono certo che il 1 maggio del 1994 Ayrton è entrato in macchina con il deviatore sulla gara, senza emozioni, come mi ripeteva sempre. Ricordo la frase che mi ha detto prima dell’incidente e che non dimenticherò mai: Sai Gianni, dall’alto Gesù mi aiuta e mi guida. In questo mondo molti valori sono compromessi. Noi tutti abbiamo il compito di difenderli. Lo ripeto spesso in modo che coloro che hanno le orecchie aperte per ascoltare e comprendere possano capire.  Lo dico perché è un mio dovere di credente farlo. – Avrebbe potuto dare ancora molto Ayrton. Forse sarebbe stato l’unico in grado, per la sua sensibilità, di rendere la Formula1 meno arida. Ma questo non solo per la Formula1. Peccato che non ne abbia avuto il tempo

ERO UN PILOTA AUTOMOBILISTICO

Quando si parla di gare automobilistiche si pensa subito al mondo dorato dei piloti famosi e strapagati. L’automobilismo è fatto anche di piloti privati, come lo sono stato io, che condividono tutti i rischi dei loro colleghi famosi, pagando di tasca propria tutti i costi per poter partecipare alle competizioni su strada. I piloti privati, di norma, sono o benestanti e per questo possono permettersi macchine al top, oppure “fai da te” con la passione irrefrenabile per le corse e gareggiano con vetture “fatte in casa”. Proprio come è successo a me. Lavoravo come meccanico in un’officina specializzata nelle elaborazioni di auto da corsa. L’occasione mi si presenta quando un cliente decide di “appendere il suo casco al chiodo” e vendere la sua vettura con tutto il materiale: ricambi, gomme, etcc..Rimaneva soltanto il muletto, la vettura usata per le prove. Decido di comprarlo per costruire una vera auto da corsa e poter diventare un vero pilota. Era una Opel Ascona 400 gruppo 4. Un gran bel mezzo per incominciare. Contatto subito Vittoriano, un amico di vecchia data, che aveva molta esperienza avendo fatto il copilota in diversi rally. Vittoriano era un uomo divertente che amava la musica, suonava la batteria. Aveva sempre preferito fare il copilota e non aveva interesse per la guida. “Io preferisco stare seduto a destra con il mio cronometro e le note. A guidare ci pensa il pilota” gli sentivo sempre ripetere questa frase a chi magari gli chiedeva spiegazioni. Costruire una vettura da corsa non era uno scherzo sia per il costo sia per l’impegno. Di giorno dovevo lavorare e tutto il tempo libero iniziai a dedicarlo alla nostra auto. Anche di notte, il sabato, la domenica e ogni festività, compreso il Natale. Mancava poco più di un mese alla prima gara della stagione. Era il rally della Val Varaita . La macchina era pronta. Bisognava fare la ricognizione e le prove pre gara. Il legame fra me e Vittoriano si fa sempre più stretto per tutte le ore insonni passate in officina. Era il mio navigatore. Nei rally i piloti devono fidarsi ciecamente dei loro navigatori e io mi fidavo di Vittoriano perché quando ti siedi sul sedile anatomico prima dell’inizio di una gara, allacci le cinture a quattro punte e indossi il casco, macchina pilota e navigatore diventano un’unica cosa.  Arriva il giorno della gara. Portiamo la macchina per le verifiche pre-gara. Era bellissima! Blu e gialla, i nostri colori preferiti. Aveva sei adesivi dei nostri sponsor. Dopo l’ok attacchiamo sulle portiere i numeri e attendiamo la partenza. Il casco e la cintura sono allacciati, l’interfono è acceso. Il rumore del motore e degli scarichi è forte. Mancano due minuti alla partenza. Vittoriano mi informa sulle prime due curve DxS e Sx5. La sua voce mi dà sicurezza. VERDE! Partenza! Vittoriano legge le note. Perfetta sintonia. A metà gara, per un problema al motore, dobbiamo ritirarci. Io ero abbastanza contrariato ma Vittoriano mi dice: “dai non prendertela, ci faremo la prossima volta. Andiamo a farci una birra.” Poi le gare si susseguiranno fra alti e bassi. Arriviamo a fine stagione collezionando qualche ritiro, ma anche qualche soddisfazione. Prima dell’inizio della nuova stagione, mancavano alcuni mesi che ci avrebbero permesso di potenziare la macchina. Ancora notti e festivi trascorsi in officina con Vittoriano. Eravamo un’anima sola! Pronti per il primo rally Valli del Bormida. Vinciamo il raggruppamento e decimi assoluti con ottimi risultati. Arriviamo a metà stagione. Al rally della Lanterna, la gara valida per il campionato europeo, mancavano un paio di settimane. Ci contatta il responsabile della Ford France proponendoci di correre per loro con un’auto ufficiale. Era la nostra occasione. Mettiamo la “nostra bambina “a riposo sotto un telo, in officina, e incominciamo a provare. Avevamo finalmente anche noi un muletto e meccanici a disposizione. Le auto WRC sono potentissime, con circa 650 cavalli, e molto difficili da guidare. Dovevamo dimostrare alla scuderia di essere all’altezza della situazione, ma il compito era difficile. Vittoriano non perde il suo buon umore. Arriviamo a Genova il giorno prima della gara con un borsone contenente casco e tuta. -Strano, pensai. - Di solito eravamo abituati a spostarci con il furgone pieno di ricambi, di gomme, carrello e macchina. I meccanici ci fanno salire sulla macchina: è il nostro primo contatto con il mezzo. Bisogna regolare sedili, pedaliere, sterzo…secondo le nostre esigenze. Facciamo le verifiche e restiamo in attesa dell’indomani: giorno della partenza. Trascorremmo una notte insonne. La tensione era altissima. La partenza della gara era fissata alle ore 7,00. Noi eravamo, con i nostri meccanici, vigili, accanto alla macchina già dalle 5,30. Ci allineiamo per la partenza. Il semaforo è rosso. Dopo aver allacciato le cinture, i caschi, e collegato l’interfono, ci stringiamo la mano come facevamo sempre. E’verde! Via. Accellero e chilometro, dopo chilometro, prendo sempre più confidenza con la vettura. Andiamo fortissimi. Vittoriano non sbaglia una nota. Nell’auto la temperatura è elevatissima. Dopo la quarta prova speciale siamo terzi assoluti. Non male, ma potevamo fare ancora meglio. Nella prova successiva il cambio di velocità ci crea dei problemi e ci costringe al ritiro. Vittoriano impreca, io sono scuro in volto. Non l’avevamo presa bene, ma Vittoriano ancora una volta non perde il suo buonumore: “corriamo con i migliori, Gianni. Ce la possiamo ancora fare a vincere il campionato.” Al parco assistenza i responsabili del team ci incoraggiano, confermandoci la loro fiducia. La gara successiva è il rally del Bormida. E’ la nostra preferita. Conosciamo le prove speciali a memoria. “ è la prova speciale dello Scravaion dove tu vai fortissimo- mi dice Vittoriano- possiamo vincere.” Arriva il giorno della gara. E’ sabato, sono le 7,00 circa. Siamo in posizione e pronti per la partenza. Il pubblico è con noi, con striscioni e scritte. Eravamo a casa. Tutto è perfetto. Tutto sembra andare per il meglio. Siamo secondi assoluti. Andiamo fortissimo. E’ quasi notte. I fari supplementari illuminano la strada. Stiamo arrivando in cima. E’ il tragitto che preferisco. Il tratto è quasi in piano con una sequenza di curve da fare in pieno per poi affrontare la discesa. Siamo all’ultimo tornante. Incomincio ad accellerare:2-3-4-5-6-7 dentro tutte le marce. Il display indica con il rosso la massima velocità: 230 km orari, circa. Le note scorrono veloci. Vittoriano mi incita: “vai, bravo, così” All’improvviso il dramma. La macchina scarta sulla destra. L’urto è violento. Poi il volo nella scarpata. La macchina rotola molte volte. Vedo le spie sul cruscotto e i display che girano. Poi si ferma. Il silenzio è totale. Riesco a sentire il rumore del vento del bosco. Chiamo il mio amico. “Stai bene?” - gli chiedo- Nessuna risposta. E’ buio, non riesco a vedere nulla. Ci sono dei rami dentro la vettura, c’è del fumo. Aziono l’interruttore per disattivare l’impianto elettrico. Quando sei bloccato in macchina la cosa più pericolosa è il fuoco. Sento le voci dei soccorritori che si avvicinano. Non riescono ad aprire la portiera, poi la forzano con una leva e mi fanno uscire. Sono frastornato. Vedo tanta gente intorno che, nel frattempo era accorsa. Risaliamo la scarpata con fatica. Chiedo con insistenza del mio copilota. Mi ripetono che sta salendo anche lui. Non sono affatto tranquillo. Mi dicono che è sull’altra ambulanza, c’è il medico con lui. Nel frattempo arriva un’automedica. Io sto abbastanza bene, a parte lo spavento, non ho nulla di rotto. Il portellone dell’ambulanza si apre. Il medico mi viene incontro e mi comunica che il mio amico non ce l’ha fatta. Sono disperato. Continuo ad interrogarmi se quello che è successo sia stato causato da un mio errore, se si è rotto qualcosa nel motore, se ne valeva poi la pena rischiare la vita così. Ho trascorso da allora giorni e notti insonni. Avevo deciso di lasciare le corse. I responsabili del team, i meccanici mi ripetono che, per superare questo strazio devo andare avanti, devo risalire al più presto sulla macchina. Mi ripetono che l’incidente è avvenuto per la rottura di una sospensione posteriore, ma il senso di colpa rimane dentro. Avevo perso un amico. Correre con un altro copilota mi sembrava una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Ma c’erano i contratti, gli sponsor. E così riprendo a correre con un altro copilota. Ci prepariamo per il rally delle Palme. Alla partenza della gara sento nell’interfono la sua voce. E’ fredda. Era la prima gara senza Vittoriano. Le prove speciali si susseguono. Andiamo molto bene con la classifica. Mi sto abituando al nuovo navigatore, ma la mia guida non è tranquilla. Mancano ancora alcune prove speciali. Non vedo l’ora che il rally finisca. E’ sera. Mancano pochi minuti alla partenza della prova speciale. Allaccio il casco e la cintura. Guardo distrattamente il commissario e vedo una luce fortissima. E’ Vittoriano. Ha la tuta e due grandi ali. Mi sorride. Mi fa segno di andare e mi batte le mani. Il semaforo è verde. Via! Non riesco a partire subito. Il copilota mi urla nell’interfono: “E’ verde, andiamo!” gli rispondo: “tranquillo, vedrai che rimontiamo. Vittoriano è con noi.” Da quel giorno ho ripreso a guidare con la forza di prima perché sapevo che il mio amico era con me. Sono certo che gareggerà felicemente fra le nuvole. Ogni tanto viene a salutarmi e fa il tifo per me. So che mi proteggerà sempre.
 

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