WISŁAWA SZYMBORSKA, nel centenario della nascita

 




In attesa delle celebrazioni per il centesimo anno della nascita della grande poetessa polacca Wisława Szymborska, si programmano le iniziative per ricordarla. La Casa della Poesia di Monza le dedica la XIII edizione del Premio di Poesia di Monza, suggellando una collaborazione con l’ambasciata Polacca di Milano. WISŁAWA SZYMBORSKA nasce a Kórnik, in Polonia, il 2 luglio 1923, cresce in una famiglia con tradizioni patriottiche e insurrezionali, frequenta la scuola elementare delle migliori famiglie di Cracovia. E’ il 1931 Wislawa ha otto anni quando si prepara a cambiare casa e città: da Kornik si trasferisce a Cracovia.  Di lì a poco scoppia la guerra e la Polonia diviene tragico terreno di antisemitismo e di olocausto. Le violente tensioni sociali dovute alla crisi economica e finanziaria, rimettono al centro del discorso politico l’identità e lo spirito nazionale polacco, riconquistato dopo un lungo periodo di vessazione. Nel 1935 nasce la Falange nazional-radicale (ONR), un gruppo politico nazionalista centrato sull’integralismo cattolico, critico nei confronti del capitalismo “giudaico-massonico”, colpevole di aver gettato milioni d’individui nel baratro e, quindi, ferocemente antisemita. In quel momento, la Polonia è il Paese europeo con la più alta concentrazione di ebrei, e la comunità ebraica è la più cospicua di tutte le comunità di minoranza presenti sul suo territorio: tra il 1919 e il 1939, gli ebrei costituiscono circa il 10% della popolazione. Nel 1935 sono circa 3.500.000 su 35 milioni di abitanti. La dittatura socialista impose scelte precise: ogni scrittore, in Polonia, dovette farci presto i conti. La censura bollava come sovversive tutte le manifestazioni di idee che sembrassero anche solo lontanamente non in linea con l’ideologia del governo: trovare una mediazione divenne questione di sopravvivenza artistica, come il rinunciare a un pezzetto di libertà per continuare liberamente a fare quello per cui si era nati. La libertà mutilata era sempre libertà? Oppure perso un pezzetto era persa del tutto?


E’ il 1935 quando la poetessa si iscrive al liceo delle Orsoline, da quel momento cominciano i suoi primi dubbi: «Per un periodo sono stata molto credente. Adesso si sente dire che la perdita della fede ha aperto la strada al comunismo. Nel mio caso le due cose non hanno avuto niente in comune. La mia crisi religiosa non nasce dal sapere che il parroco va a letto con la perpetua. I miei dubbi sono di natura razionale. Non sono assolutamente d’accordo con l’opinione di Dostoevskij che se Dio non esistesse tutto sarebbe ammesso. E’ un pensiero ripugnante. Esiste un’etica laica, che è nata attraverso lunghi secoli e grandi sofferenze e che naturalmente deve molto al decalogo. La fede non dovrebbe essere concepita in modo dogmatico. Nessuno può dirsi completamente non credente». Fu costretta a portare avanti gli studi clandestinamente; il suo nome era nella lista delle persone da deportare in Germania.

Per fortuna le cose per lei andarono diversamente: il posto di lavoro nelle ferrovie fu il suo lasciapassare per la libertà. Superato lo stallo della guerra e lasciatosi alle spalle il pericolo della deportazione, la poetessa incominciò a disegnare e a illustrare libri e a dedicarsi alla prosa e alla poesia. Il suo stile poetico, sempre più separato dalla politica, pungente a tratti, e a tratti dolce, è semplice, ma preciso. Versi liberi che danno estrema fluidità e scorrevolezza al testo. Ogni parola è importante, nessuna vale più delle altre. Amore, gatto, valigia, vita, morte, cipolla, corpo. Chi dice che il primo amore è più importante del rancore di un gatto che aspetta dinanzi alla porta il padrone che mai più farà ritorno? La Szymborska canta la bellezza e il dolore dei sentimenti piccoli o di quelli grandi che diventano uguali agli altri se riportati nello spazio minuscolo che contiene un uomo qualunque, nella sua limitata essenza. 

«Mi sono resa conto di quanto la mia vita sia priva di elementi drammatici. – dirà in più occasioni - Come se avessi vissuto la vita di una farfalla, come se la vita mi avesse semplicemente accarezzato la testa. Questo è il mio ritratto. Ma sono veramente io? Effettivamente nella vita sono stata fortunata, anche se non sono mancati morti e numerose disillusioni. Ma dei fatti personali non voglio parlare. Allo stesso modo non amo che lo facciano altri. Dopo la mia morte sarà tutta un’altra cosa». 

 La sua poesia è la naturalezza. Vedere l’infinito in una cucina. Vedere l’infinito in un corpo. L’unità di tutto il creato splende in silenzio sulla terra, fra le pietre, sulle rocce, sul melo, su di un insetto: una poesia “universale” nel senso più potente e comprensivo. Questo perché anche ciò che è umano ci rimane comunque sconosciuto: “Conosciamo noi stessi solo fin dove / siamo stati messi alla prova. / Ve lo dico / dal mio cuore sconosciuto” e ancora: “Solo ciò che è umano può essere davvero straniero. / Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento”. La Szymborska è tradotta e letta in decine di lingue nel mondo. Ha ricevuto importanti premi: il Goethe in Germania (1991), il Premio Herder in Austria (1995) ed infine Premio Nobel (1996) per la Letteratura. Non se l’aspettava nessuno, pochi la conoscevano e la reputavano così importante per il mondo letterario. Ma il premio è stata una sorpresa soprattutto per lei. Queste le motivazioni degli accademici svedesi: «E’ autrice di una poesia che, con una precisione ironica, permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di verità umana. Si rivolge al lettore combinando in modo sorprendente lo spirito, la ricchezza inventiva e l’empatia, ciò che fa pensare talvolta al secolo dei Lumi, talvolta al Barocco» Il 7 dicembre 1996, durante la premiazione, tenne un discorso mirabile per la forma ed il contenuto: sottile, delicato, conciso. Affrontò il tema del poeta e del suo rapporto col mondo: “Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e forse soprattutto - nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta - quasi se ne vergognasse un po'. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo... In questionari o in conversazioni occasionali, quando il poeta deve necessariamente definire la propria occupazione, egli indica un genere “letterato” o nomina l'altro lavoro da lui svolto…. La notizia di avere a che fare con un poeta viene accolta dagli impiegati o dai passeggeri che sono con lui sull'autobus con una leggera incredulità e inquietudine, Suppongo che anche un filosofo susciti un eguale imbarazzo. Egli si trova tuttavia in una situazione migliore, perché per lo più ha la possibilità di abbellire il proprio mestiere con un qualche titolo scientifico, Professore di filosofia – suona molto più serio. Ma non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro. …Fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.

 - Il mio articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio 2023 di LEIStyle 

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