"Oltre la resilienza, la trasformazione attraverso la vulnologia" di Milena Provenzi
I pazienti affetti da ferite croniche affrontano un percorso di cura lungo e complesso, segnato da dolore persistente, limitazioni funzionali e profonde ricadute psicologiche. In questo contesto, la resilienza assume un ruolo centrale: essa si manifesta come la capacità di far fronte alla sofferenza fisica e psichica, mantenendo la motivazione a seguire il piano terapeutico, adattandosi ai cambiamenti imposti dalla patologia e sviluppando strategie di coping volte a preservare o migliorare la qualità della vita. Ma la resilienza, in un’accezione più ampia, non si limita alla sfera psicologica o comportamentale: essa si configura come un’attitudine esistenziale, una forma di risposta creativa alla vulnerabilità. Dal punto di vista filosofico, la vulnologia – intesa come lo studio e la cura delle ferite – si intreccia con una concezione profonda della resilienza. La ferita, sia essa fisica che simbolica, diventa segno della nostra condizione umana, intrinsecamente fragile, esposta, ma anche aperta alla trasformazione. La resilienza, in questa chiave, non consiste nella semplice resistenza o nella negazione del dolore, ma nell’elaborazione consapevole della sofferenza come occasione di rinascita e ridefinizione del sé. In questo senso, la guarigione non coincide necessariamente con il ritorno allo stato originario, bensì con l’assunzione di un nuovo significato dell’esperienza vissuta. Anche gli operatori sanitari, in particolare gli specialisti della vulnologia, sono chiamati ad esercitare una forma di resilienza: nella gestione di casi clinici complessi, nel confronto quotidiano con la cronicità e il dolore altrui, nel rischio di burn out e nella continua tensione verso l’aggiornamento scientifico e tecnologico. Per entrambi – pazienti e curanti – la resilienza si pone come un cammino di consapevolezza e resistenza interiore, che può condurre non solo alla cura, ma alla fioritura dell’esistenza.
In questo dialogo tra medicina e filosofia, la resilienza si
configura come la possibilità di attribuire senso all’esperienza della ferita,
trasformandola da trauma a traccia. È quanto suggerisce anche il pensiero
orientale, in particolare il concetto giapponese di kintsugi, che celebra la
bellezza delle cicatrici, rendendole parte integrante della storia personale.
In questa prospettiva, le ferite non sono più qualcosa da occultare, ma da
valorizzare come segni di trasformazione, memoria e rinascita. Vulnologia e
resilienza, allora, non sono solo pratiche cliniche o categorie teoriche: sono
strumenti di lettura della condizione umana, della sua fragilità ma anche della
sua capacità di rinnovarsi. Prendersi cura delle ferite significa, in ultima
istanza, accompagnare l’altro – e sé stessi – lungo un percorso di cura che è
anche un percorso di senso.
Oltre la resilienza: La trasformazione attraverso la vulnologia e il concetto di "Io Pelle" di Didier Anzieu in psichiatria
La resilienza è un concetto che in
psichiatria ha acquisito grande rilevanza, rappresentando la capacità
dell'individuo di adattarsi e reagire positivamente alle difficoltà e ai
traumi. Non si tratta solo di una resistenza passiva alle avversità, ma di una
vera e propria risorsa interna che permette di ricostruire e trasformare se
stessi a partire dalla sofferenza. Tuttavia, in alcuni ambiti, come nella
psichiatria, è fondamentale andare oltre la resilienza e comprendere come le
esperienze traumatiche possano essere elaborate, riconciliate e integrate nel
processo di guarigione. Qui entra in gioco la vulnologia, lo studio delle
ferite, non solo fisiche, ma anche psicologiche, che si concentrano sul come le
ferite mentali possano trasformarsi in segni di crescita, piuttosto che in
cicatrici che impediscono il progresso.
Didier Anzieu, psicoanalista e
teorico francese, offre una prospettiva fondamentale sulla psicologia e la
percezione del sé attraverso il suo concetto di "Io Pelle", un'idea
che si inserisce perfettamente nel contesto della resilienza psichiatrica.
Anzieu esplora il corpo come una sorta di "pelle psichica", una
membrana che separa e allo stesso tempo collega l'individuo al mondo esterno,
proteggendolo, ma anche consentendo la comunicazione emotiva e affettiva con
l'ambiente. L'"Io Pelle" non è solo il corpo che vive le esperienze
traumatiche, ma una struttura psichica che può subire danni, ma anche
trasformarsi attraverso la capacità di integrare e risignificare il trauma.
In psichiatria, questo concetto offre una chiave di lettura cruciale per comprendere come i pazienti possano attraversare e trasformare i traumi psicologici, come nel caso di disturbi legati a esperienze di abuso, abbandono o deprivazione affettiva. La resilienza, in questo contesto, non è solo la capacità di "superare" o di "resistere", ma la possibilità di evolversi attraverso l'esperienza della sofferenza, modificando la propria "pelle psichica", per adattarsi e ridefinire il proprio sé. La vulnerabilità, concetto fondamentale in vulnologia, diventa così una risorsa da non temere, ma da esplorare e riconoscere come parte del percorso di crescita. L’individuo resiliente, quindi, non solo resiste alla sofferenza, ma trova la forza per “trasformare” la propria ferita, proprio come una pelle che si rigenera, adattandosi e integrando le cicatrici. In questo processo, la relazione terapeutica svolge un ruolo centrale. Il professionista in psichiatria deve diventare una guida, capace di accompagnare il paziente in questo percorso di trasformazione, utilizzando l’ascolto empatico e la comprensione profonda. L’obiettivo non è solo quello di “curare” o “riparare” la ferita psicologica, ma di offrire un contesto sicuro in cui la persona possa esplorare il proprio dolore e la propria vulnerabilità, integrandola in una nuova visione di sé, più consapevole e arricchita dalla capacità di affrontare la propria fragilità.
In sintesi, superare il concetto di
resilienza come mera sopravvivenza e abbracciare la trasformazione psicologica
attraverso la vulnologia e il concetto di "Io Pelle" di Anzieu ci
invita a vedere la sofferenza non solo come una battaglia da vincere, ma come
un’opportunità per evolvere, trovare un nuovo significato nella vita e
riscoprire una versione più forte, ma anche più fragile, di sé stessi. La
resilienza, quindi, diventa un viaggio interiore, una continua trasformazione
che abbraccia la nostra vulnerabilità come un'opportunità di crescita.
La ferita nel libro "Io
Pelle" di Anzieu e la sua relazione con la psichiatria: il concetto di
pelle psichica
Nel libro Io Pelle (1974) di Didier Anzieu, il concetto di "pelle psichica" rappresenta una metafora potente per comprendere la relazione tra la psiche umana e il mondo esterno. La pelle, come confine fisico e psichico, non solo protegge l'individuo, ma funge da contenitore delle emozioni, delle esperienze e dei traumi. Quando questa "pelle" viene danneggiata, la ferita psicologica non è solo una lesione superficiale, ma una scissione o una lacerazione che incide profondamente sul nostro senso di sé e sulla nostra capacità di interagire con il mondo. In psichiatria, questo concetto è cruciale per comprendere come i traumi psicologici – che possono essere visibili o invisibili, come nel caso di abusi, abbandoni, o esperienze di violenza – possano compromettere la "pelle psichica", alterando il nostro equilibrio psicologico ed emotivo.
La pelle psichica: un contenitore e
una barriera
Secondo Anzieu, la pelle psichica è un meccanismo psicologico che agisce come una membrana tra l'individuo e l’ambiente esterno, ma che permette anche l'interazione e la comunicazione affettiva. Essa è fondamentale per l'integrità del nostro senso di sé e per la gestione delle emozioni. Quando questa pelle viene ferita, ad esempio a causa di un trauma, la persona può sentirsi vulnerabile, fragile e incapace di difendersi dalle difficoltà emotive o dal dolore. Le ferite psicologiche alterano quindi la nostra percezione di sé e la capacità di relazionarci con gli altri, perché compromettono il confine protettivo che ci mantiene in equilibrio. In psichiatria, questo fenomeno viene esplorato per comprendere come le esperienze traumatiche influiscano sul benessere mentale e sulla percezione corporea di sé.
La ferita come trauma e l'impatto
sulla pelle psichica
Il concetto di ferita psicologica è al centro della psichiatria, in quanto molte condizioni mentali derivano da esperienze di trauma che danneggiano la pelle psichica. Le ferite psicologiche non sono sempre evidenti come quelle fisiche, ma si manifestano in modi più sottili: attraverso ansia, depressione, disturbi post-traumatici e difficoltà relazionali. Queste ferite, analoghe a un danno fisico, mettono a rischio l’integrità dell’individuo, che perde il suo senso di confine psichico e si sente vulnerabile, come se fosse esposto al mondo senza protezione. Quando la pelle psichica è danneggiata, il confine tra il sé e l'altro diventa fragile, e ciò può compromettere l’autonomia emotiva e relazionale. In psichiatria, la comprensione di queste ferite è fondamentale per sviluppare trattamenti che non solo alleviano il dolore psicologico, ma che aiutano anche l'individuo a ricostruire il proprio confine psichico, a guarire dalla ferita e a integrare il trauma nella propria identità.
La guarigione della pelle psichica
La resilienza, in psichiatria, va oltre la semplice resistenza al trauma e si collega alla trasformazione psicologica che l'individuo può sperimentare durante il processo di guarigione. La ferita alla pelle psichica non deve essere vista come un punto di non ritorno, ma come una possibilità di rielaborazione e crescita. Anzieu suggerisce che, così come la pelle fisica può rigenerarsi, anche la pelle psichica ha la capacità di guarire, ma solo se viene supportata da un ambiente sicuro, da relazioni significative e da una comprensione profonda del dolore. In questo senso, la psichiatria diventa un luogo di trasformazione. I pazienti non sono visti solo come persone che subiscono una sofferenza psicologica, ma come individui che possono integrare il trauma e usarlo come parte della loro evoluzione. La ferita psicologica, come una cicatrice, diventa un segno di crescita, non solo di dolore. L’accompagnamento terapeutico si concentra proprio sulla rielaborazione e sull'integrazione della ferita nella storia dell'individuo, permettendo alla "pelle psichica" di guarire, adattarsi e diventare più forte.
Conclusioni: La ferita come
opportunità di trasformazione
Il concetto di pelle psichica, come
sviluppato da Anzieu, ci invita a vedere la ferita non come una cicatrice
permanente, ma come un’opportunità di trasformazione. La resilienza non
riguarda solo la resistenza alla sofferenza, ma la capacità di rielaborarla,
integrarla e di crescere attraverso di essa. In psichiatria, questo processo di
guarigione psicologica porta a un nuovo equilibrio, in cui la pelle psichica
danneggiata non solo si ripara, ma diventa più forte e più consapevole. Le
cicatrici psicologiche non devono essere viste come qualcosa da nascondere, ma
come parte di una narrazione più complessa e profonda, che segna la capacità
dell’individuo di affrontare la propria vulnerabilità e trasformarla in forza.
La psichiatria, dunque, ha un ruolo cruciale nell’accompagnare i pazienti
attraverso questo processo di trasformazione, riconoscendo la ferita come
un’occasione per evolversi e ridefinire il proprio sé, più ricco e consapevole
delle proprie fragilità.
Intervento del medico psichiatra dott.ssa Milena Provenzi
mercoledì 23 aprile 2025 Auditorium Pogliani per "Medicina e Filosofia in dialogo" II edizione
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