"L'incendio dell'amore" è il titolo della mia prossima pubblicazione edita da La Vita Felice. La prefazione di Francesco Ruchin.

Analizzare il corpus poetico di Antonetta Carrabs, così frastagliato che tocca sponde di luoghi e tempi così di-versi e lontani, appare impresa ardua. Ci viene però in aiuto la stessa autrice nell’incipit: “ L’incendio dell’amore racchiude in sé quel mio desiderio di contribuire alla celebrazione sublime dell’amore”. Ma con quale strumento? Sempre l’autrice: “attingendo al principio del verbo”, alla parola, al suono.

Così inizia la recherche della Carrabs nei territori dell’amore; un amore però “caldo”, “ardente”, “incendiario” (da qui il titolo dell’opera) dove fiamme e fuoco sfiorano ed avvolgono corpo e spirito; un incendio che si espande dal cuore al volto: “E tutto brucia/brucia fin dentro l’ultima goccia dischiusa”; “e tutto il resto brucia/sulla linea dei miei fianchi”; “Penetri col tuo fuoco rosso di grani nelle mie arterie”; “brucio e ti guardo perdutamente”; “incendiami delle tue parole”; sino alla “fiamma fine” sotto la cenere che tutto copre e raffredda; ma “un nuovo incendio” si avvicina, perché “nulla si è spento”; ed “il cuore trabocca prima di spegnermi”. Una inesausta e ‘tenace’ passione che cova sempre sotto la cenere (così si legge nel poema fortemente erotico del Cantico dei Cantici, poema caro all’autrice): “Tenace come gli inferi è la passione/le sue vampe son vampe di fuoco”.
La Carrabs è in questi accattivanti versi il pellegrino d’amore che vaga tra l’amor cortese e l’amor de lonh, ma il suo assetato ed insaziabile cuore tende ad andare oltre, a quello che ella definisce l’”avvicinamento al centro”, al “suo principio”, al “raggiungimento della fonte”, al magma infuocato, alla materia primordiale di cui è composto il crudo sentimento dell’amore; al nocciolo, al succo della vera passione.

La sua incandescente scrittura è tesa all’eterna decifrazione delle rune dell’anima: in apparenza freddi segni che celano in realtà un infuocato mistero; perché come il divino poeta ella può affermare: “conosco i segni de l’antica fiamma” (Purgatorio, XXX,48). Ma questo incessante e faticoso viaggio può condurre alla follia. L’innamorato è il ‘folle d’amore’, l’autre che oltrepassa i territori della ragione e sconfina nei mondi dell’out: territori nei quali solo un ‘ardente’ cuore ha accesso. Egli perde stabilità, smarrisce se stesso, ma è anche posseduto da un’eterna ed irrefrenabile pulsione che lo conduce verso qualcosa di straordinario, una esperienza unica dove la mente rifugge dal ritorno.
Il fragile viandante si tuffa così voluttuosamente nel labirinto dei sensi; un inquieto pellegrinare con la sola certezza dell’avvio, della prima parola, del gracile verso, di un esile suono che possa scaldare, bruciare la fredda e statica quotidianità: “I versi si caricano di attesa sempre inappagata, di aspirazione all’assoluto inattingibile, a quel desiderio che si tormenta e forse si compiace della sua stessa inquietudine”.
Ma l’autrice va oltre; essa è tesa verso mete inesplorate dove troverà l’atteso cibo dell’anima; come nei versi del Boccaccio:”Così si pasce, di sua fiamma ardendo,/il cuore che onestamente Amor nutrica”. Cibarsi dell’amore, riscaldarsi con la sensuale fiamma del desiderio, assetarsi alla fonte del caldo abbraccio. Il viaggio della Carrabs non si limita a circumnavigare il presente, ma passa in rassegna la poetica d’amore di tutti i tempi. In questa via crucis dell’incendio dei cuori, l’autrice si sofferma sui poeti greci, latini; attraversa la lirica dei trovatori, dei guittoniani, degli stilnovisti, soffermando poi il suo sguardo su particolari, passionali e celebri storie d’amore. Ad ognuna di queste storie la Carrabs regala un cammeo poetico che racchiude “l’acino” umido e palpitante della loro storia; che è storia cruda, nuda, senza gli orpelli di vuote parole, ma versi di fuoco che marchiano la vita dei personaggi che si narrano con le loro stesse parole.

 
Questo tuffo in arcaiche storie permette al ‘pellegrino d’amore’ di raccogliere nella sua gerla canti e fiori dal “profumo di fuoco”, fiori e parole che nel suo laboratorio alchemico tende a cristallizzare in essenze e linfa con le quali nutrire il suo cuore. Che dire ancora; se non che grazie alla leggerezza ed alla luminosità incendiaria di questi versi, l’autrice ci conduce nei territori che squarciano la penombra, le nubi, la nebbia, rivelando anatomicamente il pulsare del cuore che rosso come la ‘fiamma’, indica al pellegrino la mèta agognata: la vera immagine di sé e la ricerca del suo destino.
Francesco Ruchin





ora doloroso amore
talvolta oscuro amore
e poi subito amore.
 
Ho rotto gli ormeggi di questo mio tempo inesorabile
e vado nel sole dopo la buona pioggia
fino al prossimo gorgo che pulsa in ogni filo d’erba.
Il giorno si è appena disteso.
 
Lo dischiudo nella notte insieme alla luna
e mi raduno nel suono della tua tempesta dolce
per assaporarne il senso
nel silenzio e la sua albescenza.
 
Attendo la tua ombra che mi spinge fra le case
lungo la via
nella poca luce che si mescola ai rami bagnati
nel vento che solleva i mei capelli.
 
Il ritmo della pioggia continua
preme sui declivi erbosi
si scinde dietro agli alberi, leggero
fino al primo seme, fino al  nuovo giorno.
 
Celebro il desiderio di te nel cielo che gronda dei suoi azzurri
nel formicolio d’albe
nell'armonia del verso di un poeta
in una coppa di vino color amaranto.
E così sei qui.

Un tuo piccolo gesto mi sfiora le mani
mentre vieni incontro alle mie maree.
Siamo accanto, assottigliati
nel nembo d’aria
fino al nuovo incendio.


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