L'incendio dell'AMORE

 



L’incendio dell’amore di Antonetta Carrabs, LVF, 2017


Analizzare il corpus poetico di Antonetta Carrabs, così frastagliato che tocca sponde di luoghi e tempi così di-versi e lontani, appare impresa ardua. Ci viene però in aiuto la stessa autrice nell’incipit: “ L’incendio dell’amore racchiude in sé quel mio desiderio di contribuire alla celebrazione sublime dell’amore”. Ma con quale strumento? Sempre l’autrice: “attingendo al principio del verbo”, alla parola, al suono.

Così inizia la recherche della Carrabs nei territori dell’amore; un amore però “caldo”, “ardente”, “incendiario” (da qui il titolo dell’opera) dove fiamme e fuoco sfiorano ed avvolgono corpo e spirito; un incendio che si espande dal cuore al volto: “E tutto brucia/brucia fin dentro l’ultima goccia dischiusa”; “e tutto il resto brucia/sulla linea dei miei fianchi”; “Penetri col tuo fuoco rosso di grani nelle mie arterie”; “brucio e ti guardo perdutamente”; “incendiami delle tue parole”;  sino alla “fiamma fine” sotto la  cenere che tutto copre e raffredda; ma “un nuovo incendio” si avvicina, perché “nulla si è spento”; ed “il cuore trabocca prima di spegnermi”. Una inesausta e ‘tenace’ passione che cova sempre sotto la cenere (così si legge nel poema fortemente erotico del Cantico dei Cantici, poema caro all’autrice): “Tenace come gli inferi è la passione/le sue vampe son vampe di fuoco”.

La Carrabs è in questi accattivanti versi il pellegrino d’amore che vaga tra l’amor cortese e l’amor de lonh, ma il suo assetato ed insaziabile cuore tende ad andare oltre, a quello che ella definisce l’”avvicinamento al centro”, al “suo principio”, al “raggiungimento della fonte”, al magma infuocato, alla materia primordiale di cui è composto il crudo sentimento dell’amore; al nocciolo, al succo della vera passione.

La sua incandescente scrittura è tesa all’eterna decifrazione delle rune dell’anima: in apparenza freddi segni che celano in realtà un infuocato mistero; perché come il divino poeta ella può affermare: “conosco i segni de l’antica fiamma” (Purgatorio, XXX,48). Ma questo incessante e faticoso viaggio può condurre alla follia. L’innamorato è il ‘folle d’amore’, l’autre che oltrepassa i territori della ragione e sconfina nei mondi dell’out: territori nei quali solo un ‘ardente’ cuore ha accesso. Egli perde stabilità, smarrisce se stesso, ma è anche posseduto da un’eterna ed irrefrenabile pulsione che lo conduce verso qualcosa di straordinario, una esperienza unica dove la mente rifugge dal ritorno.

Il fragile viandante si tuffa così voluttuosamente nel labirinto dei sensi; un inquieto pellegrinare con la sola certezza dell’avvio, della prima parola, del gracile verso, di un esile suono che possa scaldare, bruciare la fredda e statica quotidianità: “I versi si caricano di attesa sempre inappagata, di aspirazione all’assoluto inattingibile, a quel desiderio che si tormenta e forse si compiace della sua stessa inquietudine”.

Ma l’autrice va oltre; essa è tesa verso mete inesplorate dove troverà l’atteso cibo dell’anima; come nei versi del Boccaccio:”Così si pasce, di sua fiamma ardendo,/il cuore che onestamente Amor nutrica”. Cibarsi dell’amore, riscaldarsi con la sensuale fiamma del desiderio, assetarsi alla fonte del caldo abbraccio.

Il viaggio della Carrabs non si limita a circumnavigare il presente, ma passa in rassegna la poetica d’amore di tutti i tempi. In questa via crucis dell’incendio dei cuori, l’autrice si sofferma sui poeti greci, latini; attraversa la lirica dei trovatori, dei guittoniani, degli stilnovisti, soffermando poi il suo sguardo su particolari, passionali e celebri storie d’amore. Ad ognuna di queste storie la Carrabs regala un cammeo poetico che racchiude “l’acino” umido e palpitante della loro storia; che è storia cruda, nuda, senza gli orpelli di vuote parole, ma versi di fuoco che marchiano la vita dei personaggi che si narrano con le loro stesse parole.

Questo tuffo in arcaiche storie permette al ‘pellegrino d’amore’ di raccogliere nella sua gerla canti e fiori dal “profumo di fuoco”, fiori e parole che nel suo laboratorio alchemico tende a cristallizzare in essenze e linfa con le quali nutrire il suo cuore.

Che dire ancora; se non che grazie alla leggerezza ed alla luminosità incendiaria di questi versi, l’autrice ci conduce nei territori che squarciano la penombra, le nubi, la nebbia, rivelando anatomicamente il pulsare del cuore che rosso come la ‘fiamma’, indica al pellegrino la mèta agognata: la vera immagine di sé e la ricerca del suo destino.

 Francesco Ruchin


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Versi, luoghi intimi, sonorità sono gli elementi portanti che costituiscono la raccolta poetica di Antonetta Carrabs dal titolo L’incendio dell’amore, LVF, 2017. La messa a fuoco del sentimento più nobile, l’Amore, segnala il bisogno di considerarlo come un valore sociale, etico, eterno. È la coscienza di tutti i tempi che si mette al servizio del corpo e viceversa per favorire il massimo grado di concentrazione sull’interno/esterno, divino/materia, un circuito che avvampa e si prende cura, in versione poetica, delle stagioni che fioriscono e rifioriscono grazie alla fiammata dell’illuminazione/ispirazione. Questi versi sono torce analogiche in cerca di struggimento e passione, in continuo cammino verso luoghi e atmosfere emozionali. Il vessillo del sangue aleggia potentemente sul mistero che accosta lo spirito alla carne. Un emblema che trasmette al lettore l’elevazione dal quotidiano in maniera certa, grazie all’incontro straordinario, che inevitabilmente accade, tra persone/personaggi che si amano. Affini. Autentici, fragili. (rita pacilio)


La mia testa è piena di vento

Sei sull’incudine dell’alba

che guarda il fiume dall’argine e raduna le spoglie

prossimo a ricadere giù in quella dispersione di potenza

nelle sue cartilagini febbrili brulicanti di scorie.

Pazzo per abitudine all’ansia e desiderio invertebrato di penombra

il tuo risveglio è la sera impetuosa nella densità nera del bosco

che riappare sotto la ventata umida di pioggia

e la sua poca luce senza colore, né tempo, filtrata dalle tende.

Porto alla bocca questo mare bianco

il pensiero mi insegue e scuote i rami.

Nel mio universo una sola immagine versata in una gemma

ha il sapore delle tue mani

della voce trepida che mi cammina al fianco.

Io non so che rispondere, la mia testa è piena di vento

ora che raggia la giornata

il mondo riappare dietro la sua feritoia

su questa terra graffiata dall’uomo e la sua maschera di sale.


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«Per dir la verità, Erissimaco,» cominciò Aristofane, «io avrei in mente di fare un discorso diverso da quello tuo e di Pausania. Io credo, infatti, che di tutta questa potenza dell’Amore, gli uomini non se ne siano accorti per niente, altrimenti gli avrebbero innalzato templi grandiosi, altari, gli farebbero sacrifici magnifici e, invece, nulla di tutto questo mentre sarebbe la prima cosa da fare. Nessuno come lui, tra tutti quanti gli dei, è amico degli uomini, viene in loro aiuto, cerca di curarne i mali, la cui guarigione, forse, sarebbe la più grande felicità del genere umano>>

 I poeti greci Alceo, Saffo, Anacreonte  sentirono l'amore come una forza crudele che travolge i sentimenti umani. I poeti alessandrini considerarono l’amore in maniera più raffinata ed aristocratica, circondandolo di grazia e rappresentandolo spesso nell'ambiente fastoso di una corte. Nella letteratura latina alcuni poeti, come Lucrezio, lo rappresentarono drammaticamente violento, altri lo rappresentarono in forma gentile, come Tibullo, ed altri ancora, come Catullo alternarono le due opposte concezioni fino a creare il binomio di amore-odio.

Nella lirica dei trovatori, i cosiddetti poeti provenzali, generalmente uomini di corte, l'amore è cortese, un sentimento puro dell'anima rivolto ad una donna irraggiungibile. L’amante è puro, malinconico, nobile, svincolato da rapporti fisici. I trovatori si dichiararono vassalli della loro donna amata, sognando incontri nei giardini fioriti. Jauffré Rudel, uno dei maggiori esponenti della poesia provenzale, cantò la malinconia, la gioia e il suo profondo sentimento d’amore per una donna lontana, offrendosi come schiavo, pur di starle vicino.

In Italia i poeti della Scuola siciliana si riunivano alla corte palermitana di Federico II di Svevia Anche loro decantarono l’amore cortese, descrivendo la donna amata dalla carnagione chiara, di amabile tratto, dai  nobili sentimenti.

I guittoniani, i poeti toscani che facevano capo a Guittone d'Arezzo, subirono l'influenza dei  poeti siciliani. Le loro poesie erano intrise di  argomenti civili e morali. Cantarono il dolore per l’impossibilità di stare con la donna amata o per il fatto che il loro amore non fosse ricambiato. L’amarezza, quindi di non poter raggiungere quella perfezione morale che sentivano di poter conseguire solo con l'aiuto della donna amata.

Per gli stilnovisti la donna amata sprigionava, con la sua presenza, la virtù e rendeva mansueti, privi di orgoglio, chi la guardava. Il sentimento dell'amore era qualcosa di spirituale, 1'amore e il cuore gentile erano come il sole e la luce. Un cuore gentile non poteva non amare, perchè  al cor gentil rempaira sempre Amore (Guinizelli)

Al contrario della Beatrice di Dante, Laura, la donna amata da Petrarca, non era la donna-angelo veicolo tra il poeta e Dio, ma era una nobilissima creatura terrena e l'amore verso di lei allontanava dalla fede in Dio, attirava i suoi sensi, riuscendo così a legarlo alla materia, al suo desiderio irrealizzabile di possedere l’oggetto dell’amore.

da L'incendio dell'amore di Antonetta Carrabs - La Vita Felice edizioni 

 


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