PREMIO DI POESIA DI MONZA “Isabella Morra” XIV edizione 2024 - I risultati
La
Casa della Poesia di Monza rende noti i vincitori e i finalisti della XIV
edizione.
La cerimonia di premiazione si è svolta sabato 23 novembre 2024 - Sala degli Specchi Villa Reale di Monza
Ringraziamo
la nostra Giuria
Donatella
Bisutti Giornalista e Critica Letteraria
Michele
Fierro Scrittore
Andrea
Galgano Critico Letterario e Poeta
Silvia
Messa Giornalista e Scrittrice
Massimo
MorassoCritico Letterario e Poeta
Elisabetta
Motta Critica Letteraria e Saggista
Giulia
Occorsio Poeta Scrittrice Artista
Gianna
Parri Presidente Premio Letterario Brianza
Marco
Pelliccioli Poeta e Scrittore
Guido
Oldani Presidente onorario
Antonetta
Carrabs Fondatrice del Premio e Presidente de La Casa della Poesia di Monza
Iride
Enza Funari Presidente di giuria
Ph Rodolfo Zardoni
SEZIONE POESIA GIOVANI
1°
Classificato
GABRIEL
TAGLIABUE ( Lugano – Svizzera)
MENZIONE
Versi
profondi, carichi di intensità dove la notte attende un ritorno a stemperare
l’animo del poeta che si affida a chi è lontano, a chi non ritorna perché
“prima che il mondo riprenda un senso” possa “ricordargli ciò che più non è,
così che non soffra per ciò che mai sarà.” Versi struggenti, dolorosi dove il
distacco alimenta prima i rimorsi e poi la speranza di poter alleviare il
dolore perché “torni al suo nulla” e il suo ricordo diventi fiamma che arde e
non si spegne nella notte lontana in memoria ma diventa fuoco e storia nel
tempo presente. Mi colpisce la maturità del poeta che, così giovane, è
riuscito, con i suoi versi, a toccare altezze di significato che conducono a
riflettere sul grande valore degli affetti e della vita. (Antonetta Carrabs)
Prima
che ti possa rivedere
circondami
delle tue ali di fredda pietra,
avvaliti
d’ogni mio respiro,
impedisci
al mio corpo d’avvicinarsi,
ancora
per un po’.
Prima
che il mondo riprenda un senso
ricordami
ciò che più non è,
così
ch’io non soffra per cioè che mai sarà;
immergi
il mio senno ed i pensieri
in
quel vuoto sì grande d’ogni pupilla.
Prima
che le stelle tornino a spegnersi
tu
guardale dall’altro lato del tempo,
talmente
romite ed ignobili che ogni cuore
le
tenta,
e
loro, alte tra luci di tutti i forse,
scintillano
per chi più non vuol tornare,
e
prima che rientri nella linea
che
divide sogno e libertà,
che
s’impossessa d’ogni volto in frenesia,
ti
prego scappa,
perché
qui, solo e fermo
non
sarò mai io.
2°
Classificato
NOAH
VIZZARDI (Ludiano, Svizzera)
MENZIONE
Scandagliando il magma interiore, l’Io poetico si addentra in un territorio fatto di luci e ombre, in una dimensione che, oltrepassando i limiti dell’umano e del tempo, risucchia il lettore in una serie di metamorfosi mostruose che sconcertano e ci interrogano sulla nostra condizione umana, segnata da una morte disperata e dallo stigma dell’ involuzione, ma aperta anche a ipotesi di rinascita e salvezza. Il testo di Noah Vizzardi ripropone un tema antico ma sempre attuale, quello del monstrum, riproposto con una sensibilità moderna e uno stile che si alimenta di una forza visionaria e di un’urgenza espressiva che dona alla parola un’ intensità poetica. (Elisabetta Motta)
Quando
scorsi in un fiume il mio spirito
gridava.
io lanciavo sassi aspettando:
c’è
un’ora per tutto, tutti sappiamo
poi
l’ora si schianta ed ecco che accorre:
accorre
la morte! Poi tutto latra.
Nessuna
preghiera mozza la fame,
la
fame cùpida che mangia il respiro.
Nessuna
sapienza salva dal male,
ognuno
spera, anche il corpo che muore;
a
nulla toglie dal rendere al cielo,
ciò
che spetta al cielo. Il soffio. La voce.
(…)
II
Torno
da battaglie, da sconfitte
Da
mille cadute disumane
Torno
da bestia, le carni trafitte
La
gola che sgorga bitume
Ho
i piedi del morto ma vivo,
Il
viso del mostro ma attraggo
Qualche
sguardo di lucido schifo
Con
occhi gelidi di ghiaccio
Sono
per me un inciampo
Una
maschera vacua e inane
Delle
corde del fato un crampo
Un
pianto di puro liquame
(…)
III
Un
sentiero appena scorto
Ci
approssima alla fine,
Un
vialetto senza luce – un sogno che seduce;
Dall’acqua
son risorto
Imbalsamato,
senza spine;
Il
pensiero mi abbandona – l’ora mi sfiora
L’ora
della lite, ancora stride,
Stendendo
uno spettacolo beato:
L’orgia
di chi vaga stanco – il volto celato,
File
di lampioni che si spengono lontano
Attendo
il resoconto – scontri, diatribe
L’eterno
fuoco che brucia schiavo – attendo il balsamo
Che
il mio dubbio, la mia sete dipani
Un
battesimo che la mia pelle lavi,
Che
il mio corpo folgori e ricami
Di
nere ustioni e di stimmate – la pelle si sfalda, cade
E
più di stelle, bramo impervie, le mie mani
Il
loro parche recidere stame– la giugulare
3°
CLASSIFICATA
SARA
RAMIEEWON (Mentana, Roma)
MOTIVAZIONE
Il poeta e il suo spazio di meditazione e suggestione. Un’antica casa, un lume, il vento che gioca con fiammelle, teli e pensieri. L’ispirazione nasce in questa intimità raccolta, che sa di passato, in ricordi risvegliati, in riflessi che accedono la fantasia. Poi c’è il dialogo con se stessi, possibile, mentre il dialogo con l’altro da noi a volte ci fa sentire piccoli, insignificanti. Come una goccia, una stilla persa nella nebbia, davanti a un mare in tempesta. Abbiamo il silenzio, il non dire, ma abbiamo anche la parola, le parole poetiche che ci portano lontano a sfidare il mare o a insinuarci nell’abisso delle acque, nel mondo buio e confuso della natura e dell’animo umano, e nelle profondità di noi stessi, come creature striscianti, inquiete e inquietanti. (Giulia Occorsio)
OMBRA
E MEMORIA
Animi
intrepidi,
canti
soavi,
tra
corridoi vuoti,
di
un'abitazione spenta,
Ed
ecco che un lume,
timido
e fioco,
avanza
svogliato,
nel
tardo imbrunire,
Sgambetta
leggiadro,
come
un fringuello,
ravviva
il vano,
riempie
la quiete,
ricopre
il pulviscolo,
la
casa s'accende,
le
stoffe si dimenano,
all'alzarsi
del vento,
che
scivola lieve,
tra
mura vetuste,
risveglia
ricordi,
di
tempi ormai andati,
E
nella danza ingegnosa
di
ombre e luci ,
si
intrecciano sogni
di
voci lontane
si
posano dolci ,
su
mobili antichi,
Or
in quel sogno,
dal
lume creato,
giace
inquieto e fremente,
il battito della funesta vita.
SEZIONE POESIA CARCERE
Casa Circondariale Sanquirico di Monza.
1°
Classificato
IL
CAMMINO DELLA SPERANZA
Ho
camminato per le strade della vita
ho
incontrato mille volti e mille storie
ho
ascoltato i silenzi della notte
Mi
sono soffermato a capire
ho
camminato sopra monti e su pianure
ho
navigato dentro oceani e tempeste
Ho
attraversato il silenzio del deserto
mi
son seduto per capire
le
orme della sua bellezza
la
natura mi è amica
nel
cammino della vita
se
avrò speranze e gioia
2° Classificato
TI
DISEGNO UN MARE, MAMMA
Mamma
non ti preoccupare
questo
tempo in prigione deve passare
io
so che il mio istinto ti ha fatto spaventare
non
è colpa di nessuno
non
ci voglio pensare
mi
hai cresciuto e ben educato
mi
hai seguito fino alla seconda elementare
ma
il destino mi ha portato lontano da te
non
so di chi sia la colpa
il
destino
la
povertà
ma
la vita ci ha separati
sono
entrato in un grande mare
e
ho dovuto lottare contro il tempo
ti
disegno un mare mamma
agitato
ma
per te colorerò le sue onde
3° Classificato
FRAGILITÀ
Nubi
nere grandi onde in mezzo al mare
è
una barca che non sa più dove andare
quanti
occhi spaventati...
fragilità
le
macerie della nostra civiltà
là
fuori il nostro mondo tra chi lotta e si dispera nel dolore
che
follia restare chiusi nel calore delle case
o
tra i vetri luccicanti di una chiesa
siamo
tutti iperconnessi
ma
accanto a noi c'è chi soffre
ma
guardiamo con distacco chi non ce la fa
questa
vita che somiglia ad un mercato
dove
sei un consumatore "consumato"
diamo voce e speranza a chi non ce l'ha
1°
Classificato MONIA CASADEI
MOTIVAZIONE
I versi di Monia Casadei hanno un pregio raro: non annoiano. Detto altrimenti, destano interesse. Hanno qualcosa di discolo e bizzaro e, insieme, un tono delicato, trasognato. Già dalla baldanza gnomica dei titoli delle tre poesie con le quali la Casadei ha partecipato al concorso si capisce che ci si trova davanti a un’autrice che sa giocare con le parole. Leggendo anche soltanto i primi versi, ci si rende conto, subito dopo, che la mulierludens che ha fissato sulla carta quei testi è una poetessa che sa cos’è la lirica e sa pure, al contempo, come metterla in sordina – non per negarla, ma per farla risorgere, come sminuzzata, all’altezza di un ipertono complesso, per il quale la voce si è fatta mezzo di convocazione ed esibizione di cose, sentimenti e concetti (anche “difficili”) con una nonchalance tutta sua. A lettura del trittico ultimata, si esce dalle pagine forti dell’evidenza che le poesie di Monia Casadei sono percussive nel timbro, ricchissime sotto il profilo lessicale e piene di pathos della malinconia, pur, spesso, sotto mentite spoglie, sapidamente de-tragicizzanti. Di quello che non so, Io posso dimorare nell’assenza e La dimenticanza è una preparazione alla mancanza convincono in forza dell’originalità del loro impasto linguistico e della capacità di chi le ha “costruite” di trattenere il flusso associativo del suo dire in misure calibrate e quasi sempre gradevoli all’orecchio. a quando è vera poesia. (Massimo Morasso)
DI
QUELLO CHE NON SO
So
il nido inabitato nel costato,
il
talamo scomposto
-
ed un guanciale solo, di traverso -
il
recipiente orfano
-
di petali e di steli (d’intenzioni) -
e
quella sdrucitura nel taschino
-
insospettata.
Conosco
il taglio obliquo tra le labbra,
ogni
risquitto smusso nello sguardo,
il
filo appeso (pendulo)
d’un
sogno e d’un concetto
-
ancora inascoltato, ma indefesso.
So
l’interezza tutta - disattesa.
È
d’una solitudine - silente -
il
piatto abbandonato nel lavello,
il
calice esitante nel suo mezzo
-
che ciondola tra un vuoto (borbottante)
e
una pienezza docile (sapiente) -,
un
solo spazzolino sul ripiano,
due
uniche pianelle accanto al letto
-
allineate,
ed
un cappotto appeso (ma spaziato)
con
il vestito buono - marginale.
Conosco
gli ammennicoli spaiati
che
arredano - e misurano - l’assenza.
Di
quello che non so - dell’eccedenza -
mi
manca, nello strappo, la minuzia,
assieme
prodigiosa ed esemplare,
-
e il suo respiro irenico (calmante) -
che,
nella sua discreta piccolezza,
inscena
i gesti dell’appartenenza
- ricomposta.
Con il contributo di Francesco AVESIO, chitarrista (classe 2007), studente della Scuola Civica di Sesto San Giovanni con il M° Marco CRISTOFARO. Ha eseguito una Tarantella (circa 6’) di Mario CASTELNUOVO-TEDESCO (1895-1968) compositore italiano naturalizzato statunitense e la Fantasia Ungherese Op. 65 n. 1 (circa 7’) di Johann Kaspar MERTZ (1806-1856) chitarrista e compositore slovacco attivo soprattutto a Vienna.
2° Classificato DARIO MARELLI
Si tratta di una sorta di trittico elegiaco che configura una meditazione sulla morte. Nelle pieghe di una compostezza assorta, che ricorda certa statuaria funebre, il dolore si stempera nel sentimento di un distacco inevitabile, ma al tempo stesso quasi annullato dal suo inscriversi nel ciclo della vita fino a farne parte a pieno diritto: non c’è quasi differenza fra la vita e la morte, perché anche la morte è vita, è delfino e onda che il bambino, vita di domani ma anche ricordo di un passato incancellabile, insegue in un ciclo infinito i cui contorni sfumano e diventano memoria. Il passaggio è quasi scevro di tristezza, è solo il tuffo di un tramonto in un mare che è serbatoio di eternità, e il vuoto è anche eterna presenza. I fiori seccano ma rimangono freschi, l’inchiostro scolora ma rimane indelebile, e l’amore è insieme luce e un biancore che assorbe tutto. Il ciliegio evoca la primavera nel cuore dell’inverno e il sorriso di chi muore sembra alludere a una perfezione neoclassica, ovvero a una concezione compiuta e significativa del mondo. (Donatella Bisutti)
STABAT
MATER
Ed
ecco ora il tuo corpo
inerte
nella stanza,
l’aria
intorno fatta piombo.
Ecco
il tuo viso di marmo,
gli
occhi chiusi, i capelli imbalsamati,
i
fiori di ciliegio rinsecchiti
eppure
ancora tanto freschi.
Cerco
la tua mano e la tua voce
ma
non trovo le parole.
-
Sai bene dove devo andare -
così
disse il tuo sorriso
in
un giorno d’inverno.
Tutto
è fermo, anche il dolore.
Non
il tuo amore.
Evapori
in un cielo di neve.
3°
Classificato
MARIA
PIA QUINTAVALLA (ex equo)
A Maria Pia Quintavalla, che partendo dalla radice oscura della riflessione di Maria Zambrano, compone la profondità, come se fosse visitata da oblio e luce, precipitazione umbratile e intimità. Nella sua speciale vibrazione, la sua poesia diviene feconda materia e parola rivelata. Il suo pensiero passione, dunque, condensa sperdutezza e luce del vivere, dove ciò che si perde, smarrito e lontano, è pienezza di una ferita che domanda salvezza, attraverso la parola che non finisce. (Andrea Galgano)
SCURI
NEL BOSCO (DEDICATA A MARIA ZAMBRANO)
Io
venni qui credendo fosse il mio rifugio,
era
una trappola mortale dove
venni
scortato, testo a testo, polline di antica giovinezza.
Mi
ritrovai in una ripida china
sui
navigli in silenziosa casa
quel
suo antico esser medicina, la giovane salvezza
delle
acque,e tutta quella piana primigenia
precipitò,
il presente in viso
E
si prostrò si liberò
come
tra i demoni a Gerasa,
rotolando
in mare nel suicidio dei porci
…………………………..
Allora
fu magico il silenzio
e
mille voci si sollevarono dal mondo morto
verso
di noi, in bugiardi suoni
su
rumori secchi,non calpestati
solamente
inermi
la
pace si fece dell’oblio.
3° Classificato
MAURIZIO
AMIDANI (ex equo)
MOTIVAZIONE
“Si
è perso il ritmo delle foglie e del cielo”, scrive Maurizio Amidani per
introdurci nella sua poesia, un canto lirico e commosso, partecipe e concreto
che trova approdo in “cose trasfuse / evaporate”, “gocce”e "gesti
piccoli" che esprimono una tensione verticale, accennando a una sfera
divina che, tuttavia, resta sommessa, avvolta dal pudore: “e diventare un
cielo, un angelo / così senza disturbare / come una mezzanotte / senza le
campane."
Ecco
allora che, con una lingua limpida e comunicativa, Amidani muove in avanti,
esprimendo il desiderio, e forse la necessità, di esserci, tra cielo e coperte,
galassie e silenzi, mentre all'orizzonte si profilano "il mare e un
sentiero chiaro / di fiordalisi e fragole": "Aspetto l'ora dopo la
tempesta", ci dice il poeta, "quando risorge il canto del
pettirosso". (Marco Pelliccioli)
SI
È PERSO IL RITMO DELLE FOGLIE E DEL CIELO
Si
è perso il ritmo delle foglie e del cielo
tra
bip di strumenti lamenti,
si
è perso il passo delle vette
e
i salti nell’area di rigore.
Le
corse,
le
corse tra i fossi, nei prati,
tra
montagne verdi di angurie
da
mangiare con la faccia affondata.
E
le risa,
le
risa per i baffi dolci
i
semi da sparare lontano.
Sgocciola
il fiato
sa
di carne, di memoria,
di
cose trasfuse
evaporate,
gocce
a riempire vene dissepolte,
a
dare un colore che pare di vita.
Si
spolvera il tempo nei gesti piccoli
s’interra
nei solchi delle barelle
nei
corridoi.
E
ci vuole coraggio
di
scalatori.
Non
sai di altri cieli, di altri prati
delle
tue poesie, dei tuoi amori,
pesa
quel corpo di ossa e dolori.
Vedo
la lima rossa delle tue labbra
che
non si fanno segno
ma
restano nella carne
come
chiodi di un Cristo sulla croce.
Si
sta in attesa di una parola
giunta
come
mani di Madonna.
E
vorresti andare
con
la testa poggiata sul banco
nero
graffiato della scuola
sotto
lo sguardo giovane della tua suora
e
diventare un cielo, un angelo
così
senza disturbare
come
una mezzanotte
senza le campane.
FINALISTI
ADULTI
Albarano
Maurizio
Amidani
Maurizio Maria
Casadei
Monia
Colacrai
Davide Rocco
Corti
Raffaello
Facchinetti
Franco
Fiorini
Franco
Liberatore
Elisabetta
Marelli
Dario
Palazzo
Maria Grazia
Panetta
Alfredo
Parenti
Federica Camilla
Pellegrino
Anna Maria
Quintavalla
Maria Pia
Sala
Enrico
Santagati
Giovanna
Simion
Andrea
GIOVANI
Aielli
Giorgio
Alimonti
Emanuele
Anzeloni
Chiara
Cappelletti
Emma
Casimiro
Ariana
Filippone
Edoardo
Gobbetti
Giulia
Luise
Letizia
Marchina
Zoe
Palmigiano
Serena
Paviglianiti
Angela
Pozzoli
Jacopo
Premoli
Barbara
Ramjeewon
Sara
Ratti
Anna
Rossi
Alessandro
Salmistraro
Linda
Tagliabue
Gabriel
Trentin
Elia
Valerio
Micaela
Vizzardi
Noah
Vujisic
Petra
Zorana
Sučevic
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