Antica terra dolce

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente
nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo,
che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

Cesare Pavese

 

L'Irpinia, la terra dolce, una terra fatta di fortezze di pietra a guardia di borghi e valli, di rovine romane, di monumenti barocchi, di catacombe che ci parlano  ancora di assedi e di armature, di spade, di Etruschi, Greci, Romani, Goti e Longobardi. Una terra felix ricca di testimonianze di civiltà, fatta anche dell’austerità dei suoi monti, degli altopiani morbidamente ondulati, delle lunghe catene di colline tondeggianti e delle tante valli con insospettati corsi d'acqua. Il passato ci restituisce le nostre radici, quello che siamo stati. Ci dice da dove veniamo, chi siamo. La mia gente mi sta dentro come gli alberi, le colline, il sole cocente di luglio. Da bambina mi piaceva interpretare i movimenti delle nuvole, parlare con gli alberi e gli uccelli. Sono nata in primavera, il 27 aprile, a Gesualdo, la terra del titanico genio romantico ante litteram: Carlo Gesualdo, principe di Venosa;  uno dei maggiori polifonisti, compositori di madrigali e musica sacra di tutti i tempi. Gesualdo è il mio nido di terra e sento che nessuno potrà mai portarmelo via. È un vecchio amore. E’ il mio luogo delle piante e dell'erba, della polvere delle vecchie stradine di campagna, delle leggende antiche con le dicerie delle sue donne all'uscita della messa.

 
Sento filtrare l’essenza del tuo seme
in ogni erba, ogni ombra e volo
lungo il cammino dell’acqua.
Mollichi nella tua materia
prossimo alla nuova lievitanza
e un alito docile vibra sui miei occhi accoccolati.

Distillo il tempo e la vita
finchè tu sia in me respiro a cielo aperto
sullo scintillio dei salici
finchè tu sia sussurro
nella notte impollinato di immensità
al fuoco dei miei richiami.

Lasciati privare di infinito
di quel tuo insistente fremito
che ancora scorre sui miei rami.
Il mio nido di terra
non ha più radici che di te non dice.



A Gesualdo, d’estate, fin dalle prime ore del mattino, il sole già riscalda le foglie degli alberi. Da bambina cercavo il mare. Era molto lontano dal mio mondo fatto di colline, di valli, di montagne, uliveti, vicoli, piazze, castelli, vigneti e cielo. L’aria sottile e leggera copriva una miriade di spazi aperti dove lo sguardo non trovava ostacoli e riusciva ad estendersi fino alle cime innevate dei monti. Il cielo era di un blu intenso. Gli odori mi hanno sempre aiutata a traghettare verso i ricordi più remoti.  La campagna sprigionava un buon odore di frutta, di bosco, di latte, di stalla. Oggi i ricordi dell’universo materno mi conducono alla mia vecchia casa, alla ricerca del mio tempo perduto. La memoria custodisce le immagini e il pulsare della mia vita. Ricordare mi permette di riportare al cuore la mia storia. Non dimenticherò mai i mei luoghi dal sapore d’uva, di sole, di festa, di profumo di bacche, di gioia. Frutti di un’umanità genuina dove d’estate gli usci sono socchiusi e si riposa nel fresco delle case o all’ombra molle degli ulivi.













 
Il mio nido di terra

La mia terra dolce si socchiude alla radice
nell’ombra dei silenzi che odorano di fiori
in quell’aria verde che spira lenta e chiama il buio.

L’ora indugia nell’inquietudine
arriva col suo canto, invade il volo delle lucciole
mentre io sono preda della luce nell’ansia della pioggia sottile.

Mi levo nel tuo respiro
e mi smarrisco nelle acque del fiume insieme al sole
oltre quest’attimo che occupa lo sciame degli anni.

Cerco il filo del vento
prendo la via dei miei monti
e serro i denti oltre questa ressa nel cuore.

Sento filtrare l’essenza del tuo seme in ogni erba
in ogni ombra e volo, lungo il cammino dell’acqua
nelle fonti che si aprono al brulichio del cuore.

Mollichi nei ricordi
nella profondità dell’aria inseminata di anime e di mondo
e un alito docile vibra sui miei occhi accoccolati.

Distillo il tempo e la vita finché tu sia in me respiro a cielo aperto
finché tu sia sussurro nella notte
impollinato di immensità al fuoco dei tuoi richiami.

Il tuo fremito scorre ancora sui miei rami
quando la valle improvvisamente si disvela e si compie di febbrilità
lungo gli argini, dove stanno gli alberi.

Tendo il viso e seguo la tua luce
che si sposta sull’ombra delle pergole dell’orto
e veglio sulla via che mi porta alla mia vecchia casa.

 
Il fumo del camino sale, si leva tra i rami che crepitano taciti
il lume lampeggia nel vicolo, si appanna
e la voce di mia madre siede nel suo angolo.
 
Antonetta Carrabs  (Stralci da E' verde il Paradiso)

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