Sei sull'incudine dell'alba
che guarda il fiume dall'argine e raduna le spoglie
prossimo a ricadere giù in quella dispersione di potenza
nelle sue cartilagini febbrili brulicanti di scorie.
 
Pazzo per abitudine all'ansia e desiderio invertebrato di penombra
il tuo risveglio è la sera impetuosa nella densità nera del bosco
che riappare sotto la ventata umida di pioggia
e la sua poca luce senza colore, né tempo, filtrata dalle tende.
 
Porto alla bocca questo mare bianco
il pensiero mi insegue e scuote i rami.
Nel mio universo una sola immagine versata in una gemma
ha il sapore delle tue mani
della voce trepida che mi cammina al fianco.

vorticosamente
nel soffio della tua innumerevole fiorita
Io non so che rispondere, la mia testa è piena di vento
ora che raggia la giornata
il mondo riappare dietro la sua feritoia
su questa terra graffiata dall'uomo e la sua maschera di sale.
 
Poi un'eco nell'entrotempo cristiano
che arriva col silenzio dei pesci, tracimando
la paura e il disappunto della storia, l'ansia oscura
ignominiosamente fili tesi fra origine e distruzione.
 
Vinco la notte, le sue grandi stelle biologiche
non trovo fondale
palazzo per palazzo, cortile per cortile
sciamani vomitano fuori dalla muraglia avendo visto e non capito
lo spettacolo continua
fermo, come un chiodo confitto nelle vertebre del mondo.
 

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