IL BLOG DI ANTONETTA CARRABS
Sono una giornalista pubblicista, scrittrice, poeta, saggista e drammaturga. Promotrice culturale di numerose iniziative letterarie, di teatro, di poesia e rassegne letterarie. Sono nata in un piccolo paese di provincia dove ho creduto, da piccola, che quel luogo fosse tutto il mondo con le sue piazze, con i campi e le siepi intorno al melo nell’aria che profumava di menta, le vie che si perdevano fra i casali, la vecchia corriera gocciolante di pioggia e la voce di mia madre che oggi mi porta sempre alla sua vecchia casa. Il ricordo di quella vita semplice ha l’odore di pane caldo, delle viti durante la vendemmia, delle fienagioni e delle sfogliature, dei cortili che odorano di bucato e delle vorticose fluidità di quiete. Coltivo da sempre l'amore per la poesia. Non esiste oggi un linguaggio che abbia la forza della poesia. La poesia invece ce l’ha perché non può sopportare l’ingiustizia del mondo. Ogni atto di ribellione è già poesia, un semplice NO è un verso di poesia. E’ una strana lingua, la poesia; non è più prosa e non è ancora musica e in mezzo alla musica e alla prosa c’è una potenza terribile. Ho sempre letto moltissimo, soprattutto i classici da Cassola, Maupassant, Calvino, Dostoevski, Shakespeare. Gli scrittori che amo di più sono Herman Hesse, Novalis e Nietzsche. Ho sempre coltivato uno sguardo a chi stava peggio, a chi aveva bisogno anche di un piccolo frammento di solidarietà, ai più deboli, ai più sfortunati. Ho promosso iniziative nelle carceri, negli ospedali, nelle case di riposo per anziani, nei centri di disagio mentale. Ho realizzato numerosi eventi per promuovere la cultura, privilegiando spesso il teatro quale forma di denuncia.
Nel 2009, su invito del prof. Giuseppe Masera, allora Direttore del reparto di Ematologia Pediatrica dell’ospedale San Gerardo di Monza, ho avuto modo di incontrare i bambini che stavano lottando per la vita. Masera sosteneva che la poesia avrebbe potuto lenire la sofferenza di quei bambini sviluppando in loro una grande curiosità e facilità di espressione. La poesia, secondo il professore, rappresentava un bisogno primario e avrebbe potuto assumere un valore terapeutico. La poesia per Masera era: una componente che arricchiva la strategia terapeutica nella oncologia pediatrica. Aggiungeva un ulteriore contributo alla terapia globale-olistica che si proponeva di offrire non solo le migliori possibilità di guarigione dalla leucemia, ma anche la possibilità di raggiungere la resilienza, la crescita positiva dopo il trauma della malattia e delle cure. La malattia quindi poteva diventare un’opportunità, una sfida a crescere, a sviluppare nuove competenze, a individuare obiettivi e significati esistenziali diversi. Per un intero anno, con incontri settimanali, ho parlato ai bambini di poesia, hanno scritto versi bellissimi che ho raccolto in un libro dal titolo I miei sogni son come conchiglie edito da Rizzoli nella collana Bur Ragazzi. Il ricavato delle vendite è stato interamente devoluto alla ricerca per la leucemia.
Qualche anno dopo ho dato vita, per un periodo lungo cinque anni, ad un ciclo di incontri dal titolo Parole di cuore presso l’ambulatorio pediatrico della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove alcuni scrittori e giornalisti hanno incontrato i bambini e raccontato loro storie. Un’esperienza molto intensa ma molto dolorosa dove ho visto morire molti bambini, ma solo il fatto di aver potuto, anche se per un frammento, alleviare il loro dolore, ancora adesso mi rincuora.
Il 16 marzo 2014, grazie anche al consenso del direttore Roberto Mauri del Centro Geriatrico Polifunzionale San Pietro di Monza, una RSA inaugurata dalla Cooperativa La Meridiana nel 2001 per il ricovero a lungo termine di persone anziane non autosufficienti, insieme al prof. Giuseppe Masera, abbiamo dato vita al progetto di poesia PoetiFuoriStrada. La malattia, secondo i medici affondava le radici nelle conoscenze derivate dalla ricerca della Psicologia positiva, quella che, come spiegava Marcello Cesa Bianchi decano della Psicologia clinica in Italia, «cerca di impostare l’intervento sul sano e sul malato tenendo conto delle potenzialità positive, considerando che valorizzarle può aiutare a porre la persona globalmente in una situazione tale da affrontare meglio anche le difficoltà e le sofferenze». Poetifuoristrada esplica una zona di confine in cui il verso libero non si lega ai criteri classici della rima e della metrica ma favorisce la narrazione in un atto di libertà profonda. Sono responsabile di questi laboratori di poesia da oltre sei anni che si realizzano con incontri settimanali supportati dai cosiddetti poeti «facilitatori» con i quali condivido sul campo questa esperienza. La metodologia del verso libero che mettiamo in campo è presa in prestito dai «Talleres de Poesía» di Ernesto Cardenal, il sacerdote-poeta nicaraguense diventato, negli anni ottanta, ministro della cultura del nuovo governo sandinista.
Da due anni ho dato vita ad Oltre i Confini, il giornale dei detenuti della Casa Circondariale Sanquirico di Monza: otto pagine, con cadenza bimestrale, che Il Cittadino di Monza e della Brianza pubblica nel proprio giornale con un inserto nel quale le persone recluse scrivono e si raccontano con la finalità etica di riabilitarsi alla vita e alla società attraverso brevi racconti, stralci di attualità e cronaca, qualche poesia, riflessioni sull’arte, ricette. Un progetto che li vede protagonisti oltre le mura con il loro carico di linguaggi ed esperienze, permettendo loro di collegarsi alla società libera. Il carcere è una città nella città e non può essere ignorata. Voltaire diceva che il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri. Le ragioni per cui nasce quindi questo giornale in carcere possono essere molteplici e vanno ricercate nella funzione svolta dalla scrittura in un luogo di costrizione. La parola, la poesia, la narrazione e il loro esercizio possono avere valore autoeducativo e terapeutico e consentire una sorta di emancipazione anche in una situazione difficile come questa. La parola può aiutare gli animi a riconciliarsi preparandoli alla riappacificazione con quel mondo dal quale sono stati momentaneamente allontanati.
“La parola, qui dentro, diviene paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia, smontando i pixel di questa irrealtà. Ho il mio corpo, lo vedo, come vedo i giorni che trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola, cosa sarei? Un animale che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la inseguo, certo, ma a volte fortunatamente l’afferro. E’ mia. “(Patrice Sangiorgio ex detenuto).
I detenuti hanno manifestato grande coinvolgimento e la necessità di comunicare con l’esterno per non perdere il contatto con la realtà, nella speranza di contribuire a rompere i tanti pregiudizi che gravitano sulle persone recluse. “Nel carcere si cerca di sopravvivere, ognuno con il proprio manuale di sopravvivenza: per prima cosa è salvarsi il cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque; la seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la propria pelle; la terza è difendersi dal condizionamento che è altra cosa rispetto alla rieducazione; la quarta è trattenere la rabbia perché la galera stanca e sfianca gli animi” (P. S.)
La poesia ci mette davanti al significato profondo della realtà, dando un senso al continuo intrecciarsi incomprensibile della vita e della morte. La poesia è la parte “magica” di noi, che dobbiamo scoprire o riscoprire. Con particolare urgenza oggi, quando sembra per lo più giacere sepolta sotto cumuli di detriti. E così il più delle volte non emana nemmeno un debolissimo raggio della sua luce e noi le viviamo accanto del tutto inconsapevoli. La poesia ci vuole consapevoli. Più consapevoli. È qualcosa che ci stimola, che ci dice che non dobbiamo fermarci alla superficie delle cose, alle loro apparenze perché quello che veramente conta si trova al di là di esse. La poesia ci riporta verso un centro perché ci mette in contatto con la parte più profonda di noi, ed è lì che possiamo trovare quel cordone ombelicale che unisce l’uomo all’universo che lo circonda. Solo scendendo a questa profondità possiamo scoprire e attivare tutte le nostre potenzialità. La poesia non separa ma ricompone la nostra totalità psichica, ci riconduce a una unità ricordandoci che l’uomo è una creatura insieme di gioia e di dolore, di pensiero e di sentimento, di intelletto ma anche di cuore e il cuore vive di misteriose corrispondenze. Il suo linguaggio magico è l’unico capace di coniugare la nostra mente raziocinante con il nostro inconscio profondo, quello in cui la nostra anima si congiunge all’anima del mondo, quella di cui parlava il filosofo greco Platone e in tempi più vicini a noi il grande poeta irlandese Yeats. La poesia può aiutarci a salvare la nostra vita, arrestando il cieco e disperato istinto di fuga che nasce in noi come frutto della separazione e dell’estraniamento, del non saper accordare armonicamente le esigenze del nostro corpo con quelle del nostro spirito. Leggete la Poesia, scoprirete la chiave per accedere a quel centro interiore in cui il piccolissimo si può coniugare con l’immenso.
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