AMELIA



E' violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Così recita l'art 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne.

Questa è la storia di Amelia, la storia vera. 


Sono vittima di violenza domestica da alcuni anni. Il mio ex compagno, dopo un periodo di cassaintegrazione, ha perso il lavoro. L’azienda ha chiuso per aprire in Romania e la situazione in casa non è stata più la stessa. Dietro un paio di lenti scure, la mia verità. Ho ancora davanti l’immagine dei miei occhi gonfi e del suo pugno ancora incastrato sugli occhi. Poi cammini leggera cercando di nascondere al mondo il tuo dramma, ma il sangue pulsa sempre più forte dentro le tue arterie. Gli altri non vedono. Gli altri non devono vedere. Devi sopravvivere. Sono arrivata a pesare quasi 40 kg, signor giudice, per colpa delle continue violenze che ero costretta a subire. Aveva incominciato a bere e io sono di colpo precipitata in un girone infernale. La mia vita prima era normale, una vita qualunque come tante altre. Una famiglia modesta, un marito, due splendidi bambini, una casa decorosa, un lavoro da commessa in un supermercato. Poi un giorno tutto precipita. La mia spina dorsale disegna ancora grani di rosario sotto la pelle. Questo corpo così sottile mi ha impedito per lunghi mesi di ribellarmi a questa persona che oggi è qui in aula, seduta alle mie spalle. Questa persona un tempo era il mio compagno di vita, la persona che avevo deciso di amare. Dai demoni si fugge. Ho sempre nascosto le botte. Le scuse erano tante, la più banale funzionava sempre: sono caduta dalle scale, ho sbattuto contro l’antina dell’armadietto. Nessuno si è accorto di me, o forse hanno preferito non vedere, non chiedermi nulla. Tante sono state le volte in cui ho dovuto nascondere il mio dolore e la mia rabbia sotto un paio di occhiali scuri perché gli schiaffi, se sono forti, lasciano lividi violacei sulle guance. Se sono qui oggi è perché guardando i miei bambini mi sono resa conto che non c’era più nessun motivo per avere paura di lui. Incassare colpi in faccia col tempo ti indebolisce. Tutte le volte che mollava la presa dai mei capelli cadevo con la schiena contro il muro. Indurivo lo stomaco per paura di ricevere qualche altro pugno in pancia. 


Negli ultimi due anni aveva perso il lavoro e questo l’aveva reso ancora più nervoso e in preda a frequenti attacchi di ira. Trascorreva al bar molte sere e per me era rincominciato l'incubo. Sapevo che avrebbe bevuto, che sarebbe rientrato ubriaco. Sapevo che ogni piccola insignificante scusa era buona per attaccare lite. E così, ogni qualvolta sentivo la chiave fare l’ultimo giro nella toppa, trattenevo il respiro nella speranza di vederlo rientrare sobrio. Una speranza vana. L’alito puzza di vino, o di birra o di alcol, poco importa di cosa. Ha le pupille dilatate, barcolla nei movimenti. E allora pensi: meno male che i bambini sono già a letto e non possono sentire. Così non urlo per non farli svegliare. Quante volte ho trattenuto la rabbia serrando così forte le labbra fino a farle sanguinare!  Ricordo che un giorno, per un futile motivo, si è arrabbiato tanto. Mi ha sferrato un pugno così violento tanto da rompermi una costola. Mi sono imbottita di antidolorifici e sono andata a lavorare lo stesso. Non riuscivo a stare in piedi, non riuscivo a respirare bene. Ricordo di essere rientrata a casa prima, quella sera. E ancora una volta le solite scuse,  le tante promesse. Ma tanto sapevo che, poi, sarebbe stato tutto inutile, non sarebbe cambiato nulla. Quella sera, però,  aveva bevuto più del solito. Il bambino più piccolo non riusciva ad addormentarsi e piangeva. Non riuscivo a farlo smettere. Ha incominciato ad arrabbiarsi, mi ha urlato addosso di tutto. Ricordo che mi ha battuta come si fa con un sacco. Dovevo resistere, dovevo farlo per i miei figli, mi ripetevo. 

Ho sopportato questo calvario di violenze per tanto tempo perché non vedevo una via d’uscita. E ogni volta mi illudevo che sarebbe andata meglio, che le cose sarebbero cambiate, che lui sarebbe cambiato. Il giorno dopo, come sempre, lui non ricordava più nulla. Era gentile, premuroso, chiedeva scusa, e prometteva che non avrebbe più bevuto. Ho avuto il coraggio di ribellarmi soltanto quando ha incominciato ad alzare le mani sui bambini. No, signor giudice, i bambini, no! Ai suoi occhi apparivo debole, impotente, ed era vero perché nelle mura della mia casa io non vedevo più finestre, né porte. Ero prigioniera. Prigioniera di me e della mia vita. Trovavo sempre una motivazione per restare e non andarmene via. Quante volte l'ho perdonato attribuendo all’alcool tutte le colpe Ho ancora nelle narici l’odore rancido delle sue tante sbornie. E allora restai lì, cercando di schivare il più possibile i suoi pugni. Tutte le volte che le prendevo mi rannicchiavo in un angolo e cercavo di sopravvivere. Avevo deciso di farlo non per me, ma per i miei bambini. Quante volte la rabbia mi ha preso a morsi e mi è montata dentro! Poi andavo incontro al mostro e cercavo di buttarmi alle spalle le violenze del giorno prima. Non ho mai sporto denuncia fino a quando non ce l’ho più fatta, signor giudice. Quel giorno la rabbia mi era arrivata alla testa. Il suo sguardo mi aveva spaventato più delle botte. Ricordo che mi ha strattonato, mi ha fatta cadere, così ho incominciato a sanguinare. Ovunque mi girassi sanguinavo. Sapeva di vino, o forse whisky. Non lo so. I bambini dormivano già da qualche ora e io mi ero appena addormentata. Non avevo alcuna voglia di fare l’amore ma lui mi ha preso con la forza. Avevo cercato di ribellarmi serrando le gambe ma non ce l'avevo fatta. Ero come se fossi morta. Non volevo svegliare i bambini. A volte si fa prima a non dire nulla. La mattina dopo mi sono svegliata con occhi diversi. Ero consapevole che gli schiaffi erano schiaffi, i pugni nello stomaco erano pugni nello stomaco, che i lividi sulla pelle scomparivano dopo giorni, che un compagno violento era un compagno violento. Ricordo di aver camminato nel vento fino alla prima stazione di polizia, con un brivido che mi saliva lungo la schiena. Quindici anni erano una vita passata insieme. Sono tanti! Ho chiesto aiuto. Ho alzato le mani alla vita. Avevo ormai sopportato un calvario di violenze per troppo tempo.


Un uomo violento non merita l’amore e il silenzio. Un uomo violento merita la denuncia. Ed eccomi qua signor giudice, tremante ma decisa. La mia storia è come quella di tante donne, mogli, o ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, o ex fidanzate. Le donne che non sono state ai patti, che hanno disubbidito o che si sono ribellate, sono storie comuni, di quelle che la cronaca nera chiama delitti passionali. Sono storie di morti annunciate che nessuno è riuscito ad arginare; sono casi giudiziari che a volte sono riposti nei cassetti dei cosiddetti raptus di follia. Tante sono le donne vittime di violenza, oggi, da parte degli uomini che sono diventati i loro orchi, i loro mostri pronti anche ad uccidere. La maggior parte delle vittime non ce la fa a denunciare il proprio aguzzino per paura, per le possibili ripercussioni, per vergogna, per non ammettere il fallimento del proprio matrimonio, per preservare i figli. La mia storia è la storia di una donna qualunque che, come tante altre donne, ha subito la violenza domestica e ha avuto il coraggio di denunciare il proprio compagno di vita. Io ho avuto il coraggio di raccogliere il mio urlo silenzioso e ho deciso di non arrendermi alla violenza, né per paura, né per bisogno di sopravvivenza, né per rassegnazione. A tutte le donne che vivono nella pancia del mostro voglio dire di non aver paura di denunciare, voglio dire di non permettere a nessuno di far loro del male. MAI. 


La legge contro la violenza di genere persegue tre obiettivi principali: prevenire i reati, punire i colpevoli, proteggere le vittime. Con l'introduzione nel 2009 del reato di atti persecutori-stalking, che si configurano in ogni atteggiamento violento e persecutorio e che costringono la vittima a cambiare la propria condotta di vita, fino alla legge sulle 'Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere', risultano infatti rafforzati la tutela giudiziaria e il sostegno alle vittime, una serie di aggravanti e la possibilità di permessi di soggiorno per motivi umanitari per le vittime straniere di violenza. La normativa rientra interamente nel quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul (2011), primo strumento internazionale giuridicamente vincolante 'sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica'. L'elemento principale di novità è il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione. La Convenzione prevede anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica e richiede, tra le altre cose, la penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili. Della raccolta e monitoraggio dei dati si occupa l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), organismo interforze Polizia-Carabinieri. Per le segnalazioni è attivo il 1522, il numero verde di pubblica utilità della Rete nazionale antiviolenza. Sono in campo molteplici interventi: la tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica, le risorse per finanziare un Piano d'azione antiviolenza e la rete di case-rifugio, la formazione sulle tecniche di ascolto e approccio alle vittime, di valutazione del rischio e individuazione delle misure di protezione, i corsi sulla violenza domestica e lo stalking. Inasprita anche la disciplina penale con misure cautelari personali, un ampliamento di casi per le associazioni a delinquere, la tratta e riduzione in schiavitù, il sequestro di persone, i reati di terrorismo, prostituzione e pornografia minorile e contro il turismo sessuale.
Sui territori le prefetture promuovono, dove emergono i bisogni e le esigenze, iniziative di informazione e sensibilizzazione per combattere sul nascere la violenza di genere: formazione nelle scuole, corsi di formazione per gli operatori delle strutture sociosanitarie, per migliorare la prima accoglienza, forme di collaborazione con gli enti locali e le associazioni per potenziare l'accoglienza e il sostegno alle vittime, task force e gruppi di lavoro per pianificare le iniziative e divulgare le best practice.

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