Umberto Veronesi e il mistero dei silenzi.

Il mio articolo pubblicato sul Magazine ORA



Milano piange Umberto Veronesi, il chirurgo che ha scelto di legarsi alla ricerca dell’origine, cioè di quel male, il cancro, che il concetto di Dio non avrebbe mai potuto spiegare. Ed è proprio di quel male che poi, negli anni, si ammala fino al punto di decidere, quando la malattia avanza, di non farsi più curare. Ha sempre predicato l'eutanasia, quel diritto di non soffrire - ha detto suo figlio Alberto - non ha voluto essere ricoverato, non ha voluto nessun prolungamento, ha voluto andarsene e questo è stato inevitabile. Se n'è andato in maniera naturale.

Milano si è stretta intorno a lui, a sua moglie, ai sette figli, ai nipoti, ai tantissimi pazienti, alle centinaia di persone in coda, in silenzio, in Piazza della Scala, per porgergli l’ultimo saluto mentre nell’aria risuonavano le note di “Il chiaro di luna”, di Beethoven e di “Tu che di gel sei cinta”, dalla Turandot.  Al pianoforte suo figlio Alberto, musicista e direttore d'orchestra.

Ma chi era Umberto Veronesi uomo? L’ho chiesto ad una persona che l’ha conosciuto molto da vicino e che ci lascia una delle più belle testimonianze che io abbia potuto leggere in questi giorni. MariaGiovanna Luini, senologa e scrittrice di narrativa e saggistica. “ Uso la mia laurea in medicina e le specializzazioni in chirurgia e radioterapia per raccontare la scienza - ha sempre dichiarato. Consulente di sceneggiatura per fiction e film a contenuto medico-scientifico. Collabora con alcune testate giornalistiche divulgative.  Curatrice di La dieta del digiuno (Mondadori, 2013) e Longevità (Bollati Boringhieri 2012). Ha scritto: “Oltre il dolore”, Umberto Veronesi e MariaGiovanna Luini (Cairo 2014);  “Il mio mondo è donna”, Umberto Veronesi e MariaGiovanna Luini (Mondadori 2015).

MariaGiovanna, tu che hai avuto modo di lavorare al fianco di un gigante della medicina, puoi raccontarcelo più a fondo? Chi era Umberto Veronesi? 


“Ho letto molti pezzi dal titolo: “Chi era Umberto Veronesi”, e chiunque fosse l’autore il titolo era sbagliato. Nessuno sa chi fosse Umberto Veronesi, e non lo so io. Con Veronesi l’ignoto era enorme.
Per più di sedici anni la mia scrivania è stata alla soglia della sua porta insieme a quella di Lucia, una donna che definire segretaria è riduttivo: è stata l’assistente personale fedele, preparata, affezionata e, insieme all’altro Angelo tutelare, la famosa Giusi dello studio di via Salvini, ha protetto, sostenuto, organizzato, promosso l’attività di un uomo complesso, imprevedibile e geneticamente libero fino all’estremo. La mia scrivania, dunque, era accanto a quella di Lucia e vigilavamo sull’uscio della stanza di Veronesi con una porta che, salvo riunioni, teneva aperta.

“Giovanna!”: andavo dentro, lo trovavo con le gambe lunghissime accavallate sul ripiano della scrivania e la schiena buttata indietro su una poltrona che per fortuna si lasciava stiracchiare a piacimento. Indicava la sedia e iniziava a parlare: discuteva di pazienti o di scienza, ricerca, poesia, religione, filosofia, idee per un libro. Un editore ha detto che nell’ambiente si sa che i libri scritti con me hanno dentro Veronesi reale, sul serio: sono felice. Non per tutti i suoi libri è così. Ha sempre scritto moltissimo, con la grafia minuta e a tratti illeggibile (solo Lucia sapeva leggere tutto), ma con me il metodo era particolare e teneva in modo strenuo a farmi comparire in copertina. Lo raccontò a una presentazione di “Oltre il dolore” (Cairo) nel 2014: decise di dire che i libri scritti con  me erano schemi iniziali in cui tirava fuori se stesso dopo ore di nostro confronto, e la scrittura poi era mia. Io non l’avrei mai dichiarato in pubblico: mi fece restare senza parole.

Il mistero di Veronesi erano i suoi silenzi: tra una riunione e l’altra, una scrittura e l’altra, restava da solo e meditava. Dalla scrivania potevo vederne il profilo, ogni tanto si voltava e mi mandava un sorriso o un bacio con la mano. E mi chiedevo a cosa stesse pensando. Non lo sapremo mai.”

Patone diceva:  il più grande errore nel trattamento delle malattie è che ci sono medici per il corpo e medici per l’anima, anche se le due cose non dovrebbero essere separate. Umberto Veronesi e Maria Giovanna Luini, medici per il corpo e per l’anima, promotori di quell’umanizzazione della medicina  che conduce alla resilienza.


Commenti

  1. Grazie di cuore per questa possibilità di ricordare il Professore nei lunghissimi momenti divisi con me. Sono la persona di oggi anche grazie a lui. Ha cambiato la mia vita.

    RispondiElimina
  2. Grazie a Voi tutti. Se questo mondo può essere migliore è anche grazie a Voi.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari