ORIANA FALLACI e il suo amore assoluto per ALEKOS PANAGULIS
Un amore eterno, quello tra Oriana Fallaci e il poeta rivoluzionario greco
Alekos Panagulis. La loro storia d’amore era fatta di fughe in Toscana e
convivenza, ma anche di lotta attiva contro il regime dittatoriale dei
Colonnelli: il suo Alekos era l’incarnazione perfetta dell'eroe. Lei era
per lui “una buona compagna. L’unica compagna possibile”. Una grande passione li tenne legati
fino a quando il poeta non morì in un incidente stradale, dopo anni di carcere
e una tenace lotta attiva fra Atene e Firenze. Oriana descriverà
così la sua bella e difficile storia d’amore con il poeta greco: “In un
deserto dove ogni pianta è un miraggio, ogni filo di vento un’illusione, il
deserto delle utopie, noi c’eravamo incontrati scordando di chiederci chi
fossimo e dove volessimo andare; cani senza medaglia, ci eravamo presi per
mano, e inciampando nelle dune di sabbia, cadendo, rialzandoci, inciampando di
nuovo, ci eravamo fatti compagnia, legati dall’equivoco guinzaglio
dell’amore”.
Oriana era una tipa dura, solitaria, una
donna d'acciaio, incapace di perdonare, profondamente legata agli Stati Uniti e a
New York. Capace di rompere
all'improvviso, e per sempre, amicizie e amori. Fra sua madre e
Panagulis “le due creature della sua vita” c’era un legame fortissimo: “più mi guardo indietro, più concludo che
non ho mai amato niente e nessuno come Alekos e la mia mamma.” Oriana
trascorre i primi otto mesi dalla morte di Alekos in camera della mamma per
vegliarla fino alla sua morte. Poi ne ha vestito il corpo, l’ha messa nella
cassa, l’ha accompagnata al cimitero “fino a vederla calare dentro il buco nero”.
Sulla tomba di Alekos non ha mai portato un fiore. Ogni 1° maggio, il giorno
dell’anniversario della sua morte, gli ha spedito trentasette rose rosse,
perché trentasette erano gli anni quando morì. Nel cimitero della sua famiglia,
a Firenze, Oriana ha posto una lapide in sua memoria. Non è mai tornata in
Grecia, mai visitato la tomba di Alekos, non ha mai voluto vederla: “del resto, che senso avrebbe avuto vederla?
Lì ci sono soltanto le sue ossa spolpate dai cannibali e dagli avvoltoi che
vendono le T-shirt col profilo dell’eroe-morto-a-Glyfada. La sua anima sta nel
mio cuore.”
Alekos caro, ti scrivo
nuovamente per dirti che sono stata felice di ascoltarti una seconda volta a
telefono. Anche se non possiamo dirci molte cose perché tu non capisci nulla di
quello che dico e io non capisco nulla di quello che dici, udire la tua voce è
bellissimo. Io, dopo, mi sento meglio. Ti ringrazio per la risposta alla mia
domanda su «cosa significa essere un uomo». (…) È una splendida risposta,
migliore della poesia di Kipling. Forse la userò aggiungendo alle tue parole
questa domanda per me: «E per te, cos’ è un uomo?». Così io potrò replicare
così: «Un uomo è… una creatura come te. È te». Tuttavia un particolare della
tua risposta mi ha turbato. Quello che Andreas ha tradotto: «To love without
permitting one love to become an handicap». In italiano: «Amare senza
permettere a un amore di diventare un ostacolo». Ho creduto di capire che
dicevi questo a me, non agli altri. Ebbene: io non sono e non sarò mai un
ostacolo, un handicap. Io so che esistono cose ancora più grandi dell’amore di
una persona o dell’amore per una persona. Ad esempio, un sogno. Ad esempio, una
lotta. Ad esempio, un’idea. Ciao a sabato. Al massimo, domenica. E, se posso,
prima (…). Finito il lavoro a Bonn, mi fermerò in Italia per salutare mia madre
che è malata. Poi volerò subito da te. Non pensare nemmeno un momento di
abbandonare la clinica quando arrivo io. Se devi stare in clinica, starai in
clinica. E io ti farò compagnia in clinica con una profonda conversazione in
greco. Oppure giocando a scacchi. Ok? Aspettami. Io ti ho aspettato tanto. -
Oriana
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