La poesia salvifica di Antonetta Carrabs
La poesia è in grado di traghettarci
verso il centro interiore di noi stessi in cui il piccolissimo si può coniugare
con l’immenso.
Il mio impegno di poeta sociale
mi ha fatto incontrare, in questi ultimi anni, molti bambini, anziani e persone
in situazioni di sofferenza e fragilità. La poesia è sempre stata la strada
maestra da percorrere, diventando spesso “canasta
basica”, bene comune, poesia obiettiva, narrativa e aneddotica fatta con
gli elementi del mondo reale e con cose concrete. Ho preso in
prestito dai «Talleres de Poesía» di Ernesto Cardenal, il sacerdote-poeta rivoluzionario
nicaraguense, già ministro della cultura del governo sandinista, la
metodologia del verso libero. Per Cardenal in ciascun essere umano esiste un
poeta potenziale in grado di esprimersi senza necessariamente seguire i canoni
della poesia tradizionale, ma servendosi del verso libero; una corrente poetica
che venne da lui definita “esteriorista”:
poesia è ciò che scriviamo come poesia. Poesia è ciò che viviamo come poesia.
E’ un modo di agire, di stare al mondo, di convivere con gli altri e con quello
che ci sta intorno. E’ aperto a tutti ma, nella prima fase, porrà una speciale
attenzione al lavoro con persone, o con gruppi di persone, in situazioni di
"fragilità. (E. Cardenal)
La poesia del verso libero
Nel 2006, su invito del prof.
Giuseppe Masera, allora responsabile della clinica pediatrica dell’Università
Milano-Bicocca, Cardenal realizzò dei laboratori di Poesia con i bambini del
Centro di Oncologia La Mascota di Managua, in Nicaragua. “Lo incontrai a Reggio Emilia – dichiarerà il professore G. Masera -
e gli proposi di fare poesia anche con i bambini ammalati, dato che aveva già iniziato
a farlo con contadini e militari dopo la rivoluzione. All’inizio fu perplesso.
Poi accettò. Ero convinto che i bambini, essendo creativi, potevano essere
avviati a scrivere anche poesie; era anche l’idea di Cardenal, entrambi eravamo
convinti che tutti potevano essere in grado di farlo e che non serviva quindi
rispettare regole per scrivere in versi e dire anche cose altrimenti difficili”.
Il progetto è visionario: andare negli
ospedali per incontrare i bambini ammalati oncologici e insegnare loro che
tutto è poesia; che tutti sono poeti e capaci di dire, con i versi, anche
l’impronunciabile. La collaborazione tra
Monza e il Nicaragua ebbe inizio nel 1986 quando il professore Masera
ricevette un appello da Fernando Silva, pediatra e poeta nicaraguense,
direttore dell’unico ospedale pediatrico polispecialistico del paese: “Quando facciamo diagnosi di leucemia o di
tumore maligno, con la mia penna devo disegnare accanto al suo nome una piccola
croce nera. È destinato a morte certa. Non abbiamo farmaci, specialisti,
strutture per curare ed offrire almeno la speranza di guarigione. Chiediamo
collaborazione per creare un centro di oncologia pediatrica”.
-
Poesia in ospedale
Citando Cardenal: “…non so quanto
grande sarà il beneficio terapeutico prodotto dalla poesia, ma vedo la grande
allegria che crea quando la ascoltano e, ancora di più, quando la scrivono loro
stessi…tutte queste poesie riunite sono come un inno alla bellezza della
creazione; io non
aspetto il Giorno del Giudizio Finale con particolare ottimismo ma prevedo che una delle poche cose che mi piacerebbe poter sentire
è: io ero un bambino malato di cancro e tu mi hai insegnato a fare poesia.” «Todo es poesìa» scriverà uno dei
bambini di Cardenal, malato di cancro, a 7 anni.
Dopo La Mascota il progetto venne
replicato a Monza nell’anno 2009: su invito di Masera, entrai nei reparti dei bambini
in cura per tumore al San Gerardo e tenni con loro incontri settimanali di poesia.
Masera sosteneva che la poesia avrebbe potuto lenire la sofferenza dei
bambini sviluppando in loro una grande curiosità e facilità di espressione; la
poesia poteva rappresentare un bisogno primario e avrebbe potuto assumere un
valore terapeutico; la poesia era una componente che arricchiva la strategia
terapeutica nella oncologia pediatrica, avrebbe potuto aggiungere un ulteriore
contributo alla terapia globale-olistica che si proponeva di offrire non solo
le migliori possibilità di guarigione dalla leucemia, ma anche la possibilità
di raggiungere la resilienza. Con la poesia del verso libero i bambini dell’ospedale San
Gerardo hanno avuto modo di raccontare le loro paure, i sentimenti e il dolore
senza la necessità di trovare la rima giusta, né di rispettare la
punteggiatura, l’ortografia o la lunghezza del testo. Da questa esperienza
verrà alla luce la pubblicazione “I miei sogni son come conchiglie” edito da
Rizzoli per la Collana Bur Ragazzi: “poesie in cui la parola conchiglia fa rima con pastiglia e la parola sera con stanza ospedaliera. Poesie con la febbre che non passa da venerdì, poesie con
titoli-medicina, medicine così cattive
che non basta la pallina di zucchero di Pinocchio, qui concedono persino
l’abbinamento medicina-nutella.
Siamo all’undicesimo piano dell’ospedale San Gerardo di Monza, bambini in lotta
con la leucemia, le poesie le hanno scritte… ma più il male fa male, più i
bambini scrivono d’altro, dell’amato cane Alex che aspetta a casa, di supereroi
che non si ammalano mai, di città di pastafrolla, del nonno Cesarino” -
scriverà Vivian Lamarque sulle pagine
del Corriere della Sera, sabato 11 giugno 2011. La
poesia del verso libero ha favorito
la resilienza: “vorrei dire a tutti che
la mia esperienza pur mettendoti in difficoltà è un’esperienza positiva perché
impari a vivere in modo diverso tutto questo fa nascere un bellissimo
sentimento” (Lorenzo); a volte è diventata confidente: “mi affido a te per parlarti di questa febbre
misteriosa che ho da venerdì di questa mia debolezza dei miei fremiti di vita”
(Paolo) o bisogno di dimora: “L’aria ha
il profumo delle rose, una felicità che ha il sapore di cioccolato, c’è una
casetta sull’albero grande, tutti insieme lassù siamo al sicuro, siamo
protetti” (Josef); altre volte ha traghettato i ricordi: “Ho conosciuto il silenzio di questa stanza
dove ho incontrato i miei pensieri che sono andati sempre al mio caro Axel, un
grosso pastore tedesco” (Alessandra)». “È lecito aspettarsi un
valore terapeutico dallo scrivere in poesia - affermerà Giuseppe Masera - è importante dimostrare che funzioni,
registrare il quid di benessere che nei pazienti deriva dal riflettere,
dall’esprimersi e dall’essere ascoltati”.
Parole di cuore - Fondazione IRCCS
Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
L’11 aprile 2014 darò vita, in collaborazione con
la rivista Satisfiction e il critico Gian Paolo Serino, a Parole di cuore: un ciclo di incontri, presso l’ambulatorio
pediatrico della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in
cui scrittori e giornalisti si sono improvvisati cantastorie per i piccoli in
attesa delle sedute di radio e chemioterapia, diventando lettori volontari come
il libraio di Vollard,
ne La piccola Chartreuse. E’ stata un’esperienza intensa, ma altrettanto dolorosa. Qualche anno dopo, sempre per volontà
del prof. Giuseppe Masera e, grazie al consenso del direttore Roberto Mauri,
prenderà il via a Monza il
progetto di poesia PoetiFuoriStrada.
PoetiFuoriStrada - Centro Geriatrico Polifunzionale San Pietro di Monza
“Poeti
Fuori Strada, una bella storia italiana - affermerà Claudio Magris in una
lettera in cui mi ringrazia per averlo reso partecipe del progetto: “questa iniziativa dei Poeti Fuori Strada è
veramente, come Lei scrive, un’esperienza bellissima. Per tante ragioni. Umane,
poetiche, creative nel senso più profondo del termine. Ed è un atto di
generosità che, come il seme della parabola evangelica, dà e darà sempre più
frutto. Ne sono sicuro. Sì, mi ha fatto molto piacere, come Lei scrive, venire
a conoscenza di questa bella storia italiana, che è gran parte merito Suo. Le
poesie, molte di quelle, mi sono veramente piaciute. Quel padre che scrive
lettere d’amore col sangue delle sue vene e quelle barche e battelli che
finiscono in gloria si imprimono fortemente. Grazie.”
La malattia e, in questo caso il disagio senile, poteva diventare
un’opportunità, una sfida a crescere, a sviluppare nuove competenze, a
individuare obiettivi e significati esistenziali diversi. Questo concetto
affonda le sue radici nelle conoscenze derivate dalla ricerca della Psicologia
positiva, quella che, secondo Marcello Cesa Bianchi, decano della Psicologia
clinica in Italia, “cerca di impostare
l’intervento sul sano e sul malato tenendo conto delle potenzialità positive,
considerando che valorizzarle può aiutare a porre la persona globalmente in una
situazione tale da affrontare meglio anche le difficoltà e le sofferenze”.
Il titolo PoetiFuoriStrada esplica una zona di confine, una zona ai margini
che si realizza con la finalità di portare la poesia alle persone fragili; gli
anziani hanno avuto modo di sperimentare quell’ultima creatività: “Chi scrive testi
poetici e si trova in una situazione di vita che forse si interromperà da un
momento all’altro, non si pone in una prospettiva di poesia da hobby del
weekend o di premio letterario – dirà Guido Oldani - poeta fondatore del Realismo Terminale - si trova invece in un rapporto vis à vis, o muro
contro muro, con la verità; qui non si bluffa, non c’è gioco letterario, è un
momento di ricerca non inquinabile. Questa prospettiva mi provoca il fascino di
chi va a cercare funghi e sa che ne troverà di buoni.”
Il
profumo dei nonni è fatto di frittelle al prezzemolo
da bagnare nello zucchero
dell’odore di spezzatino e dell’anatra arrosto
dell’oca al forno cucinata col timo e le olive
dei gambari fritti nell’olio bollente
dello stoccafisso del profumo delle torte ancora calde
del pan bon cotto con l’uva fragola sui mattoni
ardenti
del pane e olio e pomodoro del pane con lo zucchero
del pane impastato con i fichi, l’uva americana a
chicchi e le noci
che lievitava come un panettone
della mancia del nonno per comprare il gelato
quando arrivava il carrettino e il signore gridava:
donne, gelati! della polenta al gorgonzola
che la nonna preparava al mattino, al pomeriggio e
alla sera,
della montagnetta con il buco di cenere calda
che sembrava un vulcano e le patate
da cuocere al centro delle zeppole della nonna
delle frittelle con le mele delle scrippelle abbruzzesi
di Natale che la mamma offriva ai poveri.
(Poesia di gruppo)
Oltre i confini - Casa Circondariale Sanquirico di Monza
Da alcuni anni incontro i detenuti del carcere di Monza con i quali ho avuto
modo di sperimentare sia la poesia del verso libero, sia le tecniche di scrittura creativa, dando vita al corso di scrittura
giornalistica e alla nascita di Oltre i confini, un giornale di 8 pagine che Il
Cittadino di Monza e della Brianza pubblica con cadenza bimestrale, allegandolo
al proprio quotidiano.
Qui dentro, il cuore diventa denso come pece e il
sangue si rallenta – scriverà P.S. La realtà
carceraria è molto difficile e dolorosa, lo scrivere per i detenuti è vissuto
spesso come elemento salvifico. Trovare supporto e sollievo nella parola e
nella poesia hanno favorito anche la consapevolezza che: non si possono dire bugie quando si scrive; in questo ambiente di cemento è difficile scrivere
perché qui si diventa come un aereo di carta, fragile, che non può
nemmeno cercare di volare. Il carcere tende ad amplificare le
emozioni, tutto viene percepito in modo esponenziale e questo può aggiungere
dolore ad altro dolore. E allora si cerca di sopravvivere, ognuno con il
proprio manuale di sopravvivenza: per prima cosa è salvarsi il
cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto
da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque; la seconda è congelare il cuore.
Farlo battere a bassa frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte
da contenere per la propria pelle; la terza è difendersi dal condizionamento
che è altra cosa rispetto alla rieducazione; la quarta è trattenere la rabbia
perché la galera stanca e sfianca gli animi. Sono parole molto
dolorose e profonde che conducono alla solitudine; i detenuti si raccontano nel
silenzio della sera che arriva con il suo carico di emozioni e di ricordi e
ritrovano nella parola e nella poesia un’ancora di salvataggio: la sera, quando arriva, è nera. Le voci si
spengono, il silenzio stempera il cuore che non ce la fa a trattenere la
solitudine: capita spesso di pensare, quando si
viene chiusi la sera. Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia finestra
riesco a intravedere un tratto di superstrada. Guardo le luci delle auto
sfrecciare e immagino diverse solitudini. L’odore di un’automobile, l’odore
dell’asfalto umido. E’ difficile scrivere qui perché si vive un tempo congelato
e si deve imparare a trattenere le emozioni. La parola qui dentro diviene
paradossalmente un seme di libertà, difende e grazia. Ho il mio corpo, lo vedo,
come vedo i giorni che trasudano uno dopo l’altro ma, se non avessi la parola,
cosa sarei? Un animale che ragiona per colori. Non è che la posseggo, la
inseguo, certo, ma a volte fortunatamente l’afferro. È mia. Le parole macerano
nella testa, io le raccolgo. A volte faccio in tempo, a volte no. Non è tanto
la detenzione in sé che ci dà pena, ma l’abitudine ad una vita misera. Ci
innamoriamo anche di uno sguardo, le poche donne che incontriamo, le osserviamo
con discreta attenzione, con riserbo.
La sera forse è l’unico momento in cui ogni detenuto riesce a stabilire un
contatto intimo con se stesso: scrivo la
sera sul tardi quando gli altri dormono e, a parte il russare di qualcuno, qui
domina il silenzio. Ed è nell’aria di questi momenti, che a volte, accade
l’intuizione. Allora l’afferro e cerco di spiegarla al meglio sulla pagina.
Alcune di queste parole sono scomode e crude, ma così vere. Ed è quello che ho
sempre cercato negli altri, ferendomi di più. Siamo vivi per raccontare, ed è
vita quello che dobbiamo raccontare. Nella sera che tarda a farmi prendere
sonno io scrivo. Vorrei che le parole costruissero un arcobaleno che mi faccia
scivolare via di qui, oltre il cielo a scacchi che disegna le finestre della
cella. Nella privazione, non ho lasciato, o almeno ci ho provato, scappare le
persone a me care. Batte il mio cuore e ribatte silente ma furioso, leggero ed
elegante come il volo di una farfalla apparentemente disordinato. Cosa dovrò
cercare? Una tregua che molti scambiano per vita? Non so, non voglio fare
pensieri assoluti nella penombra di una porta serrata. Piovono ricordi. Le
emozioni infioriscono d’improvviso, un manto di margherite piccole o quei
fiorellini minuscoli azzurri che qui chiamano occhi della Madonna.
Non è sempre nero il colore del cielo, quindi voglio sperare che queste
persone possano trovare, una volta conquistata la propria libertà, una società
che le accolga e non le respinga, voglio sperare che la società, le istituzioni
siano inclusive e favoriscano il loro reinserimento
sociale.
Ci sono
ancora alcune cose che non ho salvato fino in fondo perché sarebbe come tirarmi
fuori il cuore e scagliarlo contro un duro muro. A volte non sono pronto a
sanguinare affatto. E quando cammino nel cortile di cemento, in tasca non ho
nulla, ma se sono solo, forse è un inganno. Solo, non lo sarò mai. Non sono più
io, da un pezzo, sono ricco di vita altrui.
Non è
ancora notte per l’anima mia
può darsi
l’augurio o una celata speranza
non è mai
arrivata fonda la notte
altrimenti,
in alcuni frattempi
non è
abbastanza notte.
Tremo
poi
arriverà il giorno
il giorno
io non l’ho mai deciso.
Vorrei
poter contare le lacrime che ho pianto
ne farei
fiume pieno di correnti
per
trascinare via brutti ricordi.
Vorrei
poterle contare
e dare a
ognuna un nome diverso.
Vorrei un
fiore di lacrime
staccarne
un petalo dopo l’altro
farli
seccare e comporre un profumo
giaciglio
per anime sgualcite.
(P.S)
Questo articolo è statopubblicato nel mese di giugno 2021 sulla rivista POETRY THERAPY ITALIA ( www.poetrytherapy.it) diretta dal poeta Dome Bulfaro per l'associazione Mille Gru.
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