«non parlar la parola ma la cosa» (Pasolini)

 


Ma i poeti dialettali di oggi, o i cosiddetti neodialettali, come qualcuno li chiama, chi sono? Penso che non esistano più periferie culturali che confinino il dire poetico dialettale a esclusivo patrimonio locale. Il dialetto, ora più che mai, assume un valore culturale da salvaguardare perché rappresenta la lingua della realtà, capace di essere anche parola di poesia. Una scrittura diversa, portatrice di valori contadini, di quelle entità mal parlanti e non scriventi e dei loro conflitti tra alto e basso. La vera poesia dialettale custodisce la narrazione del limite e si lega alla storia con il suo significato estetico, intriso di armonie e di suoni, nella loro unicità. Il poeta dialettale può assumere un ruolo importante nella letteratura e nella vita delle comunità perché può essere in grado di operare quella ricomposizione sociale, appropriandosi della memoria storica del dolore e dando voce a chi ha sofferto la storia. Pensiamo per esempio al romanzo orale della poesia occidentale, il Roman de la rose, all’universo meraviglioso di quel giardino concluso dove avvenivano operazioni elette e bellissime mentre all’esterno viveva il regno di villania con i muli, i non parlanti, i contadini, i reietti. Il poeta dialettale ha un compito alto: può operare sulla ricomposizione sociale, nella riconciliazione con il mondo e favorire, così, quel dialogo tra l'alto e il basso. E’ anche questo l’impegno della poesia dialettale «non parlar la parola ma la cosa» (Pasolini): risvegliare nelle persone quell’azione morale, fisica, psicologica, ideologica che possa contribuire a rendere migliore il vivere comune. 

(Antonetta Carrabs)

 

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