Lettere d'amore: Franz Kafka a Milena Jesenskà
Ancora
sabato. Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire,
non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque
sia, si trema sempre. Capisco benissimo il tuo ceco, odo anche la risata, ma
m’ingolfo nelle tue lettere tra la parola e il riso, poi odo soltanto la
parola, poiché oltre a tutto la mia natura è angoscia. Non so rendermi conto se
dopo le mie lettere di mercoledì-giovedì tu voglia ancora vedermi. So il
rapporto fra te e me, (tu appartieni a me, anche se non dovessi vederti mai
più), lo conosco in quanto non sta nel territorio confuso dell’angoscia, ma non
conosco affatto il rapporto tuo verso di me, questo appartiene tutto
all’angoscia. E neanche tu mi conosci Milena, lo ripeto. Ciò che accade è per
me qualcosa di mostruoso, il mio mondo crolla, il mio mondo risorge, vedi come
tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova. Non mi lagno del crollo, il
mondo stava crollando, mi lagno del suo ricostruirsi mi lagno delle mie deboli
forze, mi lagno del venire al mondo mi lagno della luce del sole. Come
continueremo a vivere? Se dici di sì alle mie lettere di risposta, non devi più
vivere a Vienna, è impossibile. Milena, non si tratta di questo, tu non sei per
me una signora, sei una fanciulla, non ho mai visto nessuna che fosse tanto
fanciulla, non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,
unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda.
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