Il progetto nasce per volontà di Antonetta Carrabs, studiosa ed estimatrice della poetica di Antonia Pozzi, nel 110esimo anniversario della sua nascita, in collaborazione con la compositrice Rossella Spinosa e l'artista Maurizio Gabbana. E’ promosso da La Casa della Poesia di Monza in occasione del 110 anniversario dalla sua nascita. "Vincere la battaglia contro il tempo, come aveva profetizzato Montale nel 1943 nell’introduzione alla prima raccolta postuma del corpus poetico di Antonia “Parole”, per poterla raccontare a tutti affinchè il suo talento non venga dimenticato."
La storia di Antonia Pozzi, la poetessa fragile - come di ramo in ramo/leggero/un cadere d’uccelli/cui le ali non reggono
più - che non riusciva a realizzare né ad esternare la sua ribellione, se non
nella poesia, che, per l’oscuro suo “male di vivere”, mise fine alla ricerca di
sé con l'annullamen-to, a soli 26 anni. E sarà la sua storia, fatta di studi, di
poesia, di letteratura, di natura, di valori volti alla solidarietà, il nostro Filo d’Arianna per delineare quel
processo di formazione/educazione
attraverso il quale, soprattutto i giovani, possano trovare spiegazioni e
risposte, con il supporto dei propri insegnanti: perché e
così… prima si sbaglia, ci si perde, ci si arrampica per astratte impalcature
intellettuali, finché la vita un bel giorno comincia, coi suoi gesti leggeri e sapienti,
a richiamarci a lei… è come aprire gli occhi ad un tratto e ritrovarsi su una
striscia di prato al sole, vicino alle pietre e alle piante. Il senso della
vita non è più sparso, nel cervello, nelle mani, negli occhi, ma è tutto
raccolto nel centro del petto, come un enorme fiore o come una corazza: e il
domani non è più che portare sempre più in avanti quel fiore, sereni, eretti,
per una grande strada bianca – Antonia Pozzi
Maestra
fotografa: “le mie parole sono le immagini, immagini per
non sentirmi estranea, per darmi un motivo nel mondo. Leggo le parole dei poeti
per capire il mio cuore e quello degli altri” era una presenza femminile
tormentata e vivace nel circolo letterario di Vittorio Sereni, Gian Luigi
Manzi, Luciano Anceschi, Enzo Paci che non hanno saputo riconoscere il suo
talento letterario. Si sentiva incompresa in famiglia, fuori posto ovunque e dibattuta
giorno, dopo giorno, nella sua inquieta ricerca esistenziale. Figlia unica di
un gerarca dell’alta borghesia milanese; non tollerò il clima politico di
quegli anni che la costrinse a veder fuggire i suoi più cari amici Paolo e
Piero Treves, ebrei perseguitati dalle leggi razziali. Si impegnò socialmente a
favore dei poveri delle periferie milanesi e degli sfrattati di via dei Cinquecento, fuori di piazzale
Corvetto – “bambini a centinaia, a
migliaia, a frane, a nuvole. Ma strani bambini, che quasi non urlano”.
Antonia Pozzi viveva “della poesia come
le vene vivono nel sangue” in un mondo maschile che non riusciva ad
apprezzare il suo talento.
E’
importante che Milano, la sua città
natale, ricordi la sua Poesia e la sua Arte. Eugenio Montale l’aveva
inserita, unica donna, tra i più grandi poeti del ‘900, ne curò la prefazione
della prima raccolta di poesie; la definì: «Una
voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe
nello spazio bianco della pagina. La purezza del suono e la nettezza
dell’immagine erano il suo dono nativo». La grande italianista Maria Corti,
che la conobbe all’università, disse che «il
suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi
solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile,
dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con
una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica
censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso
ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante
e fiumi la consolava certo più dei suoi simili». Sulla palazzina liberty di
via Mascheroni 23, sua casa natale, non c’è una targa che la ricordi. Antonia
ha frequentato il Liceo Classico Manzoni
di Milano, fra quei banchi di scuola c’è stata un tempo una delle più
grandi poetesse italiane! Era il 1927, quando in prima liceo, Antonia rimane
affascinata dal suo professore di latino e greco Antonio Maria Cervi per la cultura,
la passione con cui insegnava, per la moralità e per la dedizione con cui
seguiva i suoi studenti. Si iscriverà poi alla Facoltà di Lettere e Filosofia
presso l’Università Degli Studi di
Milano, laureandosi con lode il 19 novembre 1935 con una tesi sulla
formazione letteraria di Flaubert. In quegli anni di università frequentò il
corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi. Antonia era una giovane e raffinata
universitaria, intellettuale e progressista, in quegli anni alle donne
raramente era concesso il privilegio di proseguire gli studi.
Antonia
scelse di insegnare presso l’Istituto
milanese Schiaparelli, andando contro la volontà dei suoi genitori. Il 2
dicembre del 1938 disse ai suoi studenti «fate
i bravi», poi salì in sella alla sua bicicletta e pedalò fino all’abbazia
di Chiaravalle, si distese nella campagna innevata e ingerì una dose letale di
barbiturici. «E poi – se accadrà ch’io me
ne vada – resterà qualche cosa / di me / nel mio mondo - / resterà un’esile
scia di silenzio / in mezzo alle voci - / un tenue fiato di bianco / in cuore
all’azzurro» I genitori fecero di tutto per evitare che la notizia si
spargesse.A Pasturo, il suo
luogo tanto amato, nella villa settecentesca di famiglia, antica dimora dei
Marchiondi, restano soltanto due stanze, all’ultimo piano, che ci parlano di
lei, un piccolo tempio dedicato alla sua Poesia dove c’è tutto quello che ha
lasciato al mondo. Una parte della villa è stata destinata a una casa famiglia,
le due stanze che custodiscono i suoi ricordi e i suoi libri, vengono aperte al
pubblico soltanto in giornate speciali, soprattutto in estate.
Antonia
aveva solo 25 anni quando pensò alla sua fine: “Sono rimasta molto tempo con la testa appoggiata alle sbarre del
cancello. Ho visto un pezzo di prato libero che mi piace. Vorrei che mi
portassero giù un bel pietrone della Grigna e vi piantassero ogni anno
rododendri, stelle alpine e muschi di montagna. Pensare d’esser sepolta qui non
è nemmeno morire: è un tornare alle radici”. Oggi riposa nel piccolo
cimitero di Pasturo, dove aveva desiderato essere sepolta, all’ombra
dell’amatissima Grigna che ha ispirato il suo canzoniere di montagna. Sarà suor
Onorina Dino, dagli inizi degli anni
Ottanta, a prendersi cura dell’intera opera della Pozzi, da Parole in poi, portando alla luce i suoi diari, gli epistolari, la
sua tesi di laurea.
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