10 Giornata Internazionale dei Parchi Letterari - L’universo verde di Emily Dickinson



Sabato 19 ottobre ore 15.00 Casa della Poesia di Monza, Parco di Monza,  Viale Cavriga, 7

Letture Letture a cura di Antonetta Carrabs, Silvia Messa Iride Enza Funari

La Casa della Poesia di Monza dedica la 10 edizione della Giornata Internazionale dei Parchi Letterari a Emily Dickinson con le letture delle sue più belle poesie ispirate all’amore per la natura, i fiori e le piccole creature del suo giardino: per fare un prato occorrono un trifoglio e un’ape −un trifoglio e un’ape e il sogno! Il sogno può bastare se le api sono poche

Emily aveva un erbario con oltre 400 specie di piante raccolte durante le sue passeggiate nel bosco e nei giardini vicini alla sua casa: dalle rose, ai lillà, alle peonie, garofani, margherite, digitali, papaveri, nasturzi e zinnie. Inviava agli amici, nelle sue lettere, fiori pressati e stretti in cerchi concentrici legati con un nastro, secondo le stagioni: boccioli di rosa cuciti al foglio di una poesia, nosegays, mazzolini profumati, l’epigea per segnalare la primavera, le campanule di inizio aprile, i nontiscordardimé e, a tarda primavera, un soffione o dente di leone. 

Era anche un'appassionata giardiniera: nella sua casa di Amherst curava un piccolo giardino. Il frutteto compare ripetutamente nelle sue poesie assieme alle viti davanti al granaio, gli alberi di fico riparati oltre la pergola, le mele per il sidro, quelle cotogne, la primizia della pesca che “rende possibili tutte le stagioni e fa apparire gli emisferi un capriccio.” 

Nel suo giardino d’inverno si concentravano le fragranze floreali “mi basta attraversare un pavimento per ritrovarmi sulle Isole delle spezie” e le viole tricolori e le primule che convivevano con altre specie selvatiche. 

D’estate le bocche di leone, i tondeggianti fiori viola e i matricali, simili a piccole margherite. E le rose, in particolare le galliche ‘versicolor’ dai petali screziati, che fiorivano una sola volta all’anno. 

Nella stagione fredda, quando il giardino riposava sotto la neve, nel suo giardino d’inverno, attiguo alla sala da pranzo, coltivava l’oxalis, con le sue foglie trifoliate, che lasciava ricadere da ceste sospese, e i crochi, le primule, gli eliotropi, i garofani. 

A maggio raccoglieva i fiori per appenderli nei cestelli alle porte tra il profumo del caprifoglio e quello dei lillà. Il lato ovest della casa si riempiva dei verdi mastelli di dafne profumate e oleandri.

Con i primi freddi: “ieri sera le piante sono partite per l’accampamento [il giardino d’inverno], le loro corazze erano insufficienti per le notti insidiose….ho creato un arcobaleno permanente riempiendo una finestra di giacinti e di questo la scienza dovrebbe compiacersi, e poi ho un carico di garofani degni di Ceylon.” Le api e gli impollinatori, i campi aperti dove, tra l’erba alta del trifoglio dei prati, occhieggiavano ranuncoli e carote selvatiche mentre in autunno il giallo delle verghe d’oro e il viola degli astri coloravano l’aria: sono una dei campi – scriveva - si sa, e se mi trovo a mio agio col dente di leone, in un salotto faccio solo una triste figura.”

 

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