La lattaia di Johannes Vermer
La lattaia di Johannes Vermer è descritta da Alberto, durante la sua detenzione a Monza.
A destra di chi guarda, una porta aperta e in un’altra stanza si intravede la lattaia. La giusta profondità dà l’idea del vero, di quell’indispensabile per cogliere la poesia di un’immagine che emerge con persuasione. Lo sguardo si protrae e poi si socchiude; la memoria diventa dedizione, familiarità e raccoglimento con il silenzio che diventa indissolubile e infrangibile. La semplicità dei gesti quotidiani sono nell’immagine dove l’idea della solitudine si afferra muta. Un’infinita tenerezza mista a malinconia è nella concretezza del suo corpo avvolto dagli abiti coi loro colori sfavillanti dal blu elettrico-vellutato al giallo ocra zafferano. Il copricapo ha un colore tenue. La lattaia versa con parsimonia il latte dalla brocca d’argilla nella ciotola. Accanto si vedono dei bocconi di pane pronti per essere inzuppati. In primo piano un cestino di vimini, al centro una pagnotta. Dietro il cesto un contenitore metallico impreziosito da disegni e pietre, sembrano margherite, forse contiene il miele o lo zucchero, alimenti preziosi per quell’epoca. Appeso alla parete, nell’angolo, un bel cesto di vimini, accanto si scorge un campanello tipico di quelli appesi al collo delle mucche: luccica, è di color oro, o forse è il contenitore per il burro. Vemer ha inserito la luce nel colore, l’ha animato sull’equilibrio e l’immedesimazione del vero. Trovo deliziose le tonalità del colore che possiedono al tatto una certa tenuità che esige continuo addestramento alla sensibilità. L’artista ha dato gloria alla luce, perseguendo la luce stessa e raccogliendo le ombre, in modo trionfale come fece Caravaggio. L’istante in cui i suoi occhi si posarono su lei non l’avrebbe mai potuto scorrere. Era un giorno grigio, nuvoloso la carovana del circo.
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