Khaled Fouad Allam e la solitudine dell'Occidente


Vorrei dirti: ecco questo è il mondo.
Ogni giorno un’alba nuova che si alza;
ti svegli, ti risvegli,
le mattine del mondo non si somigliano….”
Ho intervistato Khaled Fouad Allam a Monza, qualche anno fa, durante la rassegna Sentieri per l’infinito. Un itinerario culturale di grande rilevanza dove sono stati affrontati temi e promosso dialoghi sull’identità spirituale: dalla Violenza nelle religioni, all’Abitare le scritture con gli occhi di donna”, al Non credente che legge la Bibbia, fino alla Solitudine dell’Occidente, opera letteraria di Fouad Allam (ed.Rizzoli) in cui il desiderio e il malessere che legano l’Islam all’Occidente, vengono raccontati attraverso la sua vita di musulmano in Italia.
 
Nato in Algeria, oggi cittadino italiano, già deputato. E’ professore di sociologia del mondo musulmano presso le università di Trieste e Urbino, editorialista della Repubblica ed autore di vari saggi sull’Islam contemporaneo. Ha pubblicato presso Rizzoli L’Islam globale (2002) e Lettera a un kamikaze (2004). Da sempre cittadino dei due mondi, Khaled si interroga sul passaggio cruciale di un Occidente che deve fare i conti con le proprie identità multiple e imparare a comprendere la complessità anziché combatterla. Da Trieste a Qom, da Gerusalemme alle banlieues parigine, dalla rivoluzione iraniana del 1979 alla guerra in Iraq, dall’11 settembre al trionfo di Hamas nelle ultime elezioni palestinesi. E poi i ricordi della sua infanzia vissuta in Marocco, i viaggi, l’esperienza giornalistica raccontati attraverso una prosa lieve, elegante e precisa in cui l’autore disegna una mappa per la convivenza tra Islam e Occidente affinché questi mondi possano porsi in ascolto e in dialogo reciproco.
 
L’intervista - Sulla Stampa di qualche anno fa Lei si interrogò sulla violenza nelle società umane, sulla crudeltà degli uomini che non prescindono dalla storia e dal contesto in cui viviamo, sottolineando che questo non giustifica e non dovrebbe giustificare la distruzione, l’odio, la morte in nome di Dio. Lei disse che, ogni qualvolta sentiva o leggeva titoli come Attentato islamico, Bomba islamica i suoi occhi si arrossavano, i battiti del cuore acceleravano, le parole diventavano anemiche e il silenzio la trafiggeva fino all’oblio.

- Si, ricordo. La ragione mi spinge ancora oggi a cercare delle risposte che si collocano in una sfera di sentimento ma anche di contraddizione per quello che l’Islam sta rappresentando. Non posso tuttavia dimenticare il dolore delle persone che piangono e soffrono: l’Islam non è un mostro anche se ne stiamo cercando uno.

Lei ha dichiarato che coloro che negli ultimi anni in Algeria hanno gridato la parola libertà e sono stati assassinati, come lo scrittore Tahar Djaout, il regista Alloula valgono quanto le parole di un imam o di altri esponenti dell’Islam che non è Islam ma la follia degli uomini. Vorrei che ricordasse, a proposito, la sua amica di infanzia, suicida perché non poteva più vivere in quel clima di violenza.

- Si chiamava Amel, che vuol dire speranza. Era una ragazza bellissima. Ricordo di essere stato molto innamorato di lei da bambino; giocavamo sempre insieme e andavamo d’accordo. In futuro le nostre strade si divisero; la mia frequenza presso l’università di Algeri mi portò lontano da Amel. In seguito, purtroppo, arrivò la triste notizia della sua morte.

Quale fu il sentimento che provò in quell’occasione? Rabbia o dolore?

- No! La rabbia no! La rabbia è una reazione cutanea, corporale. Quel giorno ricordo di aver pianto, anche perchè i ricordi riaffiorano proprio con le lacrime. Ho sofferto molto per lei
La solitudine dell’Occidente: Perché la scelta della parola solitudine per questa sua opera letteraria?
 
- Il titolo iniziale era l’Occidente di una vita. Poi, per motivi editoriali, mi è stato consigliato l’altro. La solitudine non è una dimensione di negatività, tutt’altro. Il silenzio favorisce la capacità di fare autocritica; ci si isola, infatti, per capire le cose del mondo, per darsi delle risposte. L’isolamento non è una cosa subita ma convissuta. Io scrivo di notte perché ho bisogno di essere isolato dal mondo, per non avvertire alcun suono se non quello che fa il silenzio. La mia solitudine è anche fisica. I rischi a cui sono sottoposto sono molteplici. Io vivo in due mondi ma non per questo sono in un osservatorio privilegiato- sottolinea- non è una posizione facile la mia. Io non mi occupo di pittura rinascimentale, ma di Islam contemporaneo che cerca di interrogarsi sulla violenza e sulla causa di questa violenza; che cerca di capire se essa possa avere una spiegazione oppure no. Io non ho paura anche se non ho vita facile. Vado avanti. Il nostro compito? Noi dobbiamo essere prima di tutto degli educatori, non nel senso della trasmissione del sapere, ma nella capacità di educare ad essere uomo. E’ soprattutto questo il nostro ruolo.
La speranza di fronte al buio della morte. Nel fare riferimento al suo libro, lo scrittore afferma che ha preferito raccontare da una parte la sua vita e la civiltà di origine e tutto quello che essa ha potuto produrre attraverso la letteratura e la poesia; dall’altra parte ha gettato uno sguardo su qualcosa che assomiglia a un corpo in uno stato di deperimento, di decomposizione.

Quel qualcosa riguarda la morte, la morte di qualcosa che va al di là della violenza e della morte stessa. Nelle mie vesti di sociologo, politico e scrittore, credo che sia importante produrre critica perchè essa possa essere anche oggetto di speranza. La speranza che di fronte al buio della notte ci sia la ricerca di un punto di luce che ci porti al di là dell’orizzonte. Mi adopero e cerco, quindi, attraverso la visione critica, di ricostruire, interrogandomi sul divenire che non sia più violenza. Io sono certo che, anche se si trascorre la propria infanzia nella violenza, si può sempre trovare una speranza nel futuro.

L’infanzia, il mio filo conduttore.
- Nel mio libro il tema dell’infanzia diventa il filo conduttore. Da padre cerco di educare al valore dell’eterogeneità delle culture e delle fedi. Perché non ci chiediamo cosa trasmettiamo al mondo? Cosa sono capace io di trasmettere a mia figlia, oggi? Siamo tutti ospiti di questa terra, in un passaggio dove convive il divario fra storia e memoria e l’inedita violenza. E noi, purtroppo, viviamo in questa inedita violenza che non è fatta solo di guerra, ma che può essere anche culturale. Nonostante tutto, il senso della vita che continua potrebbe essere la speranza del ventunesimo secolo, di questo mondo così intrappolato su se stesso! La questione dell’Occidente io l’ho vissuta fin da bambino. Per ben 132 anni L’Algeria è stata colonizzata. I rapporti con l’Occidente sono sempre esistiti, certamente in una dimensione storica diversa, cominciata con il Mediterraneo e poi con l’Atlantico.

I carrarmati e mia madre: l’incontro con l’Occidente. Khaled Fouad Allam afferma di aver conosciuto l’Occidente tramite sua madre che gli aveva insegnato a non odiare il prossimo e ad amare la musica classica. Di aver studiato il pianoforte e il flauto traverso e di essersi appassionato alle musiche di Back e Maurice Ravel. Ha conosciuto l’Occidente sia attraverso il volto della guerra con i carrarmati che attraversavano la sua città, sia attraverso quei valori di universalità che la musica, la cultura e l’educazione familiare gli avevano trasmesso. Il pensare all’uomo in quanto tale, non per le sue appartenenze politiche o religiose, resta per lo scrittore un alto valore universale che anche la musica araba gli ha trasmesso. E poi il grande amore per Back. - Peccato che Back non fosse musulmano- sorride-  Ogni volta che ascolto la sua musica, il mio pensiero va al Back musulmano, o almeno cerco di immaginarlo tale.
L’odore acre dei ricordi L’infanzia trascorsa tra il Marocco e l’Algeria riportano alla mente di Fouad Allam i luoghi col suono del mare; nella sua memoria la fisicità dei ricordi che, a volte, cerca di cancellare o far rivivere. E’ l’esperienza di un mondo fisico legata a dei passaggi che riesplodono anche in una dimensione culturale, in tutta la semplicità che rimane la dimensione nobile della vita, quello che forse manca oggi, secondo lo scrittore, ai ragazzi musulmani e non. - I nostri non erano mondi perfetti, ma certamente più delicati e raffinati. E’ indiscusso che il mondo di oggi vive la sua crisi culturale. L’inedita violenza rappresentata dalla morte della cultura alla cultura della morte. Quando la cultura muore si svuota tutto.-
 
C’è qualcosa nel mondo che va al di là della violenza e che non ha ancora trovato il suo nome.
- Di fronte alla violenza non ha delle risposte da dare ma cerca di capire. Quello che si sente di affermare è che c’è una crisi profonda nel mondo dell’Islam. E’ venuto a mancare quel senso della raffinatezza e della delicatezza dell’animo dell’uomo. Ho visto ragazzi musulmani piangere dal più profondo, ma, spesso, di fronte alla violenza purtroppo siamo soli. E allora, che cosa è più importante affinché l’animo di ciascuno di noi possa ritrovare quei valori di universalità? Io ribadisco che rimane indispensabile l’incontro con la bellezza, con l’arte, con la musica. Back e Mozart sono stati i traduttori di quelle pulsioni interne del Cristianesimo che diventano cultura. Back può essere ascoltato ovunque in tutto il pianeta, il suo linguaggio è universale. Io l’ho anche ascoltato in pieno deserto e ho trovato nella sua musica quel senso di universalità che dovrebbe arricchire la vita di ciascuno di noi. Il mondo ha bisogno di solitudine e silenzio per ritrovare qualcosa che abbiamo perso.

La figura del Kamikaze La figura del Kamikaze, secondo Fouad Allam, va oltre il martirio. Usare il corpo come un’arma è qualcosa di inedito; c’è da interrogarsi su questo. Non è una forma di nichilismo, ma è cambiata la bussola etica: cioè la perdita del senso del bene e del male.

- Una civiltà si suicida quando non è più capace di distinguere il bene dal male, la vita dalla morte- ribadisce- Forse la poesia, la cultura potrebbero aiutare a cambiare il mondo, d’altronde nei momenti più bui dell’umanità si sono scritte delle belle cose. Là dove cresce il pericolo cresce la salvezza. Dobbiamo trovare quel là che possa apportare un cambiamento alla vita del mondo, poiché la nostra esperienza storica è violenta e deprimente. Tutte le società producono violenze, ma non tutte le risolvono allo stesso modo. E’ vero che l’Islam ha prodotto violenza ma non è stato sempre così. Le civiltà si educano come si educano i ragazzi , lentamente. C’è un lavoro di rifondazione culturale e questo non è affatto facile. E’ anche vero che ci si può amare- conclude- ma quando una società ha detto di no, tutto diventa estremamente difficile. L’uomo è un problema per l’uomo.
 
E’ una sfida etica sia per il mondo occidentale, sia per quello islamico.
- Verrà un giorno in cui non parleremo più di multiculturalità né di cultura, ma semplicemente dell’esistenza, della nostra vita; e che tu sia indiana, africana o araba italiana non avrà nessuna importanza, perché ciò che conterà sarà la tua esistenza. Ma come fare quando l’uomo dimentica l’uomo? Come lottare contro l’inerzia del mondo? Il passato è imperfetto, l’alterità non è una terapia dell’anima.…… Le nostre debolezze si nascondono dietro le nostre rabbie, le ferite del mondonon si curano con atti d’accusa….. L’amicizia, l’amore, la passione per la conoscenza, questo vorrei insegnarti; costruire questo legame fra gli esseri, raccogliere una lacrima sottile che cade sulla terra, udire un’aria di Back o un canto andaluso. Vorrei dirti: ecco questo è il mondo. Ogni giorno un’alba nuova che si alza; ti svegli, ti risvegli, le mattine del mondo non si somigliano….”
da La solitudine dell’Occidente ( lettera di Khaled Fouad Allam a sua figlia )
 

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