Lo splendore del giorno



Due occhi curiosi dal taglio apparentemente orientale, il naso irregolare ma ben delineato sul viso, carnagione chiara e capelli lunghi, tirati sempre indietro a coda di cavallo. Quando penso a me da bambina, mi rivedo esattamente così. L’immagine che si ripete è sempre la stessa, anche adesso con i miei cinquant'anni.
 
 

Avevo appena tredici anni quando, per sbaglio, mi capitò fra le mani Il Cantico dei Cantici. Dico per sbaglio perché la scelta fu assolutamente casuale. Attingevo spesso alla libreria dei miei vicini, che traboccava di grandi tomi, libri vecchi e nuovi, fra i più disparati. Ricordo che mi lasciavo guidare nella scelta dal colore o dalla rilegatura della copertina. Sempre per caso, mi imbattei nella lettura di grandi nomi, da Alexander Dumas a Monpassant, Pavese, Cassola, Silone e Moravia, quest’ultimo il mio preferito. Di lui, in seguito, lessi tutto quello che trovai nella biblioteca delle Magistrali. In quegli anni, il Preside aveva negato agli studenti del primo e secondo anno tutte le opere di Moravia. La motivazione? Non fu mai esplicitata. Più leggevo e più mi appassionavo, al punto che, quando di sera mi veniva spenta la luce  per l’ora tarda, io continuavo la mia lettura sotto le coperte, con una pila. Intorno ai quattordici anni mi innamorai. Quel sentimento nuovo, simile a un sogno, fu il mio primo e grande amore giovanile:”.. l’amor che muove il sole e l’altre stelle..”( Dante). Un’alchimia di luce e calore irradiata da quell’unicità di sguardi che diede inizio al mio mondo lirico, alla mia nuova forma di essere e di sentire. “ riappaiono i fiori sulla terra,/ è giunto il tempo della canzone,/ e la voce della tortora/ si ode sulla nostra terra./ Il fico emette le sue prime gemme,/ e le viti in fiore esalano il profumo ( dal Cantico dei Cantici). 
 
 

 Mi sentivo mossa a scrivere per qualsiasi piccola emozione o tristezza del cuore. Una pulsione poetica per rappresentare il sogno e la nostalgia in quell’intreccio fra me e l’universo, fra me e il sentimento. Nel suo discorso di investitura come Dottore Honoris Causa del 24 febbraio 2006, da parte dell’Università Complutense de Madrid, Claudio Magris disse:..”nella poesia- anche la più sofisticata e trasgressiva- c’è quasi sempre, evidente o nascosto, il sogno-nostalgia rivolta al passato o profezia proiettata nel futuro- dell’età dell’oro, dell’innocenza di ogni pulsione…” Questa redenzione poetica di ogni mia pulsione accompagna ancora oggi il mio bisogno di scrivere, che si spinge verso la verità, alla ricerca dei segni dell’antica età dell’oro, proiettandosi nell’incontro dei mondi innumerevoli e accogliere la vita più intima della natura in tutta la sua pienezza. Un viaggio nell’eterna irrequietezza della ricerca di se stessi per ricostituire la propria origine e raggiungere il fiore azzurro ( Die blaue blume, Heinrich von Ofterdingen di Novalis). La recherche della continua affermazione della vita attraverso una rinascita continua della propria vita intellettiva, conciliando razionalità e sentimenti, fantasia e sogno, amore per la natura e percepire la  scrittura cifrata del mondo, come il maestro dei discepoli di Sais.

Se il limpido velo della poesia ci accompagna lungo i sentieri della vita, nulla può mancarci o ferirci. Possediamo tutta la luce di cui, sulla terra, abbiamo bisogno; viviamo in una penombra che ci protegge: scorgiamo l’eterno, mentre l’animo gioca con le apparenze e le illusioni terrestri. Quando il caldo afoso del mezzogiorno ci prostra, agitiamo il velo dell’aria e subito i venti freschi della sera, il profumo dei fiori e delle radici avvolgono la nostra esistenza. Se la notte ci atterrisce, la poesia la renderà luminosa. Se le onde della vita e le passioni ci torturano, tutto, a quel tocco, diverrà calmo e soave e persino la tomba ci sembrerà un letto di nubi….così Goethe va incontro al nuovo giorno, allo splendore del giorno. Così io vado incontro alla mia vita. 

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