Tre pallottole per il re
Il 29 luglio del 2020 ricorre il 120° anniversario della morte di Umberto I. Al fine di promuovere, coadiuvare e supportare tale ricorrenza, si è costituito il comitato Monza Regale che avrà anche lo scopo di promuovere iniziative culturali plurali a favore della città di Monza. Il 20 giugno alle ore 21,00, presso il teatro Binario 7 di Monza, sarà messo in scena lo spettacolo teatrale “Tre pallottole per il Re…processo a Gaetano Bresci” con la regia di Luisa Gay. Il cast, formato da avvocati del foro monzese, vede anche la partecipazione di alcune persone della società civile cittadina.
Ho attentato al Capo dello Stato perché, a parer mio,
egli è responsabile di tutte le vittime pallide e
sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa
difendere. E come ho detto altre volte concepii tale
disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute
in Sicilia circa sette od otto anni or sono in seguito agli
Stati di Assedio emanati per Decreto Reale e in
contraddizione alle leggi dello Stato. E dopo avvenute
le altre repressioni del 1898 ancora più numerose e più
barbare sempre in seguito agli Stati d’Assedio emanati
con Decreto Reale, il mio proposito assunse in me
maggior gagliardia.
La «casa di campagna» voluta dall'arciduca Ferdinando d'Asburgo nel 1777 ed eretta in soli tre anni da Giuseppe Piermarini fu amata particolarmente da re Umberto I, tanto da farla radicalmente riadattare negli interni in stile neobarocco dagli architetti Achille Majnoni e Luigi Tarantola. Monza, nell’ospitare per una buona parte dell’anno Re Umberto I, assunse il ruolo di “vice capitale”, infatti monarchi, capi di stato, presidenti del consiglio e ministri vennero ricevuti in Villa Reale. Il regicidio sancì purtroppo l'abbandono della residenza da parte della famiglia reale e segnò l'inizio del suo lento declino.
Chi era Gaetano Bresci?
Bresci
nasce a Coiano nel 1869 da una famiglia di contadini, ultimo di quattro
fratelli. Di bell'aspetto. All'età di dodici anni lavora come apprendista in
una fabbrica tessile. Aderisce alle idee anarchiche: dopo le leggi crispine del
1894, viene relegato al domicilio coatto nell'isola di Lampedusa, dove rimane
fino al maggio del 1896. Emigrò negli Stati Uniti agli inizi del 1898,
stabilendosi a Paterson (New Jersey), dove si impiegò in una fabbrica tessile.
Qui allacciò una relazione amorosa con una donna irlandese, Sofia Knieland
dalla quale ebbe una figlia, Maddalena. Paterson era una sorta di capitale dell'anarchismo
italiano negli Stati Uniti. In questa cittadina gli anarchici vivevano la loro
fede in modo particolarmente appassionato. Dopo i tragici fatti milanesi del
'98, che spinsero l'esercito ad uccidere decine e decine di manifestanti che
protestavano per l'aumento del prezzo del pane, l'odio per il re, la corte, i
militari, la borghesia assunse toni estremi e incontrollabili. Il desiderio di
vendetta per i civili uccisi nella repressione dei moti popolari di protesta e la
certezza che presto vi sarebbe stata in Italia una rivoluzione sociale, alimentarono
la volontà dell'anarchico pratese a compiere l'attentato al Re. Fu così
che, per mettere a segno il suo piano, Bresci ritorna in Italia, dopo un lungo
viaggio in nave. Si imbarca il 17 maggio 1900, da New York. Durante la traversata incontra
altri due anarchici, entrambi provenienti da Paterson: l'operaio trentino
Antonio Laner e il barbiere elbano Nicola Quintavalle. Conosce anche una
giovane donna, Emma Maria Quazza, anche lei operaia tessile con idee e
sentimenti socialisti. Giunti a Le Havre il 26 maggio, i quattro amici si
dirigono a Parigi, dove vi rimasero circa una settimana per visitare
l'Esposizione Universale. Ritorna a Coiano per circa quaranta giorni. Trova il
tempo di allenarsi con la pistola che aveva portato con sé dall'America.
“Il
giorno 17 Maggio ultimo scorso, partii da Nova Jorch per l’Italia col Piroscafo
“La
Guascogna” della compagnia generale francese. Compagni di viaggio nella traversata furono un barbiere, un panattiere [sic] e una Signorina piemontese […] Il barbiere lo conoscevo ancora dall’America perché quando stavo a West-Hobocken qualche volta mi facevo fare la barba da lui. Il panattiere lo conobbi solamente in viaggio. La Signorina non so quali idee politiche avesse, ma posso dire sicuramente che non era anarchica. Giunsi all’Havre dopo circa 10 od 11 giorni, poi andai a Parigi ove mi fermai sette giorni. Non ebbi altro scopo di fermarmi a Parigi che quello di vedere l’Esposizione. Da Parigi mi portai a Torino poscia a Genova, indi a Prato. Durante il tempo che ero a Prato mi recai due o tre volte a Firenze, una volta a Castel S.t Pietro ove rimasi otto giorni circa presso alcuni parenti.”
Guascogna” della compagnia generale francese. Compagni di viaggio nella traversata furono un barbiere, un panattiere [sic] e una Signorina piemontese […] Il barbiere lo conoscevo ancora dall’America perché quando stavo a West-Hobocken qualche volta mi facevo fare la barba da lui. Il panattiere lo conobbi solamente in viaggio. La Signorina non so quali idee politiche avesse, ma posso dire sicuramente che non era anarchica. Giunsi all’Havre dopo circa 10 od 11 giorni, poi andai a Parigi ove mi fermai sette giorni. Non ebbi altro scopo di fermarmi a Parigi che quello di vedere l’Esposizione. Da Parigi mi portai a Torino poscia a Genova, indi a Prato. Durante il tempo che ero a Prato mi recai due o tre volte a Firenze, una volta a Castel S.t Pietro ove rimasi otto giorni circa presso alcuni parenti.”
Il 24
luglio, cinque giorni prima dell’attentato, arriva a Milano. Affitta una camera
in una pensione. Tre giorni dopo raggiunge Monza e pernotta in un'altra locanda.
Nei due giorni che precederanno l’assassinio, Bresci perlustrerà i viali
adiacenti il parco reale, chiedendo notizie sui possibili spostamenti del Re. E’la sera del 29 luglio del 1900. A Monza si respira un’aria
festosa. Il clima è così cordiale che le misure di sicurezza sono
minime. Quella sera, forse anche per il caldo, il Re non indossa la giubba
protettiva. Sono le ore 20,30. Ha inizio il concorso ginnico organizzato dalla
società «Forti e Liberi». Alle 21,30 il sovrano entra nel campo per prendere
posto nel palco a lui riservato. Alle 22,05 cominciano le premiazioni. Sarà il
Re in persona a porgere le coppe alle squadre vincitrici. Finita la cerimonia,
Umberto I sale sulla carrozza. Dopo pochi secondi, mentre ancora si sporgeva
dalla vettura per salutare la folla, viene colpito a morte. Bresci è distante
da lui circa tre metri. Si era alzato su uno sgabello per assistere alle premiazioni
dei ginnasti. Spara tre colpi di rivoltella: uno colpisce il Re dritto al
polmone, un secondo arriva al cuore, mentre l’ultimo non va a segno.
“Ero vicino alla Tribuna riservata
quando mi è passato questa sera, davanti il Re, in carrozza ed allora io colla
rivoltella ho esploso contro di lui, mi sembra tre colpi
e non già quattro.” (G. Bresci)
Muore il Re e la Villa Reale si avvia al suo declino
La carrozza
riparte velocemente, nel caos, alla volta della Reggia. La corsa risulterà
inutile. In assenza del medico di corte dottor Erba, il Re viene soccorso
invano dal dottor Vercelli dell’ospedale di Monza e dal dottor Savio, assessore
comunale, presenti sul luogo dell’attentato. L’attentatore scampa a stento al
linciaggio grazie al pronto intervento dei carabinieri che lo rinchiudono nella
caserma di Monza. Si consuma così l'attentato più grave della storia
dell'Italia liberale. Il re aveva accettato di partecipare all’iniziativa in
palestra, dietro invito e insistenza dell’unico deputato monzese del tempo:
l’avvocato radicale Oreste Pennati e della giunta comunale. Il caldo afoso di
quella domenica aveva fatto sì che Umberto I decidesse di spostare la sua
presenza alla Forti e Liberi a dopo cena, usando una carrozza scoperta (Daumont
a doppia pariglia) e senza indossare sotto il panciotto la sua maglia d’acciaio.
Era noto che il Re non amava vedersi circondato da guardie di qualsiasi tipo, a
cominciare dai corazzieri. Da quando era salito al trono nel 1878, era già
sfuggito ad almeno altri due attentati (più un terzo mai del tutto acclarato).
Malgrado il buio di quella sera, le disposizioni sulla vigilanza restarono
quelle previste per l’orario diurno, a parte qualche fanale collocato per
illuminare meglio il tragitto dalla villa alla palestra. A pagare per l’accaduto
furono il sottoprefetto De Pieri sospeso per sei mesi, l’ispettore Leopoldo
Galeazzi, da anni addetto alla persona del Re, messo a riposo con una pensione
e vitalizio dal ministero della Real Casa, il delegato di pubblica sicurezza,
capo della polizia, Nestore Oliari, il tenente dei carabinieri Emilio
Borsarelli, che fu trasferito in Sardegna. Si aggiunsero altri funzionari
toscani per non aver vigilato a sufficienza su Bresci a cui era stato negato il
porto d’armi.
Gaetano Bresci e l’assassinio di Umberto I nelle parole dei testimoni
Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise di Prima Istanza – Circolo di Milano
Procedimento Penale contro Gaetano Bresci, 1900-1901.
29
luglio 1900, ore 22.30: l’attentato
Leopoldo Galleazzi, Ispettore di Pubblica Sicurezza: Li 29 Luglio 1900 in Monza.
“Io sottoscritto Leopoldo
Galleazzi, Ispettore di Pubblica Sicurezza residente a Roma, addetto al
servizio di sorveglianza a tutela delle Reali persone, e perciò attualmente in servizio a Monza, faccio noto a cui
spetta, che sapendo come S. M. il Re si dovesse recare questa sera alla premiazione del Concorso Ginnastico in Via
Dante, ho disposto che gli agenti in borghese in numero di undici, a mia
dipendenza, fossero tutti
scaglionati di servizio lungo il breve tratto di strada da percorrersi ed in parte nel recinto della palestra. [...]. Giunto il momento del ritorno [...] allorchè S. M. discese dal palco Reale, insieme alle Autorità, e montò in vettura, salutando in piedi sovr’essa la folla plaudente, io mi trovavo al mio posto solito, allo sportello di destra, e allorchè fece segno che si procedesse, mi avanzai di due o tre passi fino alla metà dei
cavalli onde far largo, lasciando però subito dopo lo sportello le due guardie di mia dipendenza Perocchi Amedeo e Tinti Luigi, mentre anche altri Carabinieri e Guardie circondavano la vettura. Ero appena giunto, come dissi, a metà lunghezza dei cavalli, che sentii dietro di me alcuni spari, parmi tre, rivoltomi immediatamente vidi il Re ripiegarsi alla sua sinistra con la faccia riversa verso l’assassino che gli aveva sparato contro quasi a bruciapelo. Questi era già stato afferrato per la giacca dal Cavalier Olivieri, Segretario di S. E. il Primo Aiutante, e per la gola dalla Guardia Cerocchi, nonché da altri cittadini, e dai Carabinieri, quasi contemporaneamente. Fu un grido di generale indignazione, e da tutti si gridava all’assassino, ammazzalo, ammazzalo, mentre tutti cercavano con le mani e con bastoni, di percuoterlo.”
scaglionati di servizio lungo il breve tratto di strada da percorrersi ed in parte nel recinto della palestra. [...]. Giunto il momento del ritorno [...] allorchè S. M. discese dal palco Reale, insieme alle Autorità, e montò in vettura, salutando in piedi sovr’essa la folla plaudente, io mi trovavo al mio posto solito, allo sportello di destra, e allorchè fece segno che si procedesse, mi avanzai di due o tre passi fino alla metà dei
cavalli onde far largo, lasciando però subito dopo lo sportello le due guardie di mia dipendenza Perocchi Amedeo e Tinti Luigi, mentre anche altri Carabinieri e Guardie circondavano la vettura. Ero appena giunto, come dissi, a metà lunghezza dei cavalli, che sentii dietro di me alcuni spari, parmi tre, rivoltomi immediatamente vidi il Re ripiegarsi alla sua sinistra con la faccia riversa verso l’assassino che gli aveva sparato contro quasi a bruciapelo. Questi era già stato afferrato per la giacca dal Cavalier Olivieri, Segretario di S. E. il Primo Aiutante, e per la gola dalla Guardia Cerocchi, nonché da altri cittadini, e dai Carabinieri, quasi contemporaneamente. Fu un grido di generale indignazione, e da tutti si gridava all’assassino, ammazzalo, ammazzalo, mentre tutti cercavano con le mani e con bastoni, di percuoterlo.”
Amedeo
Cerocchi, Agente di Pubblica Sicurezza: “... io in un
baleno mi sono slanciato contro l’assassino [...] nel parapiglia,
essendo io stato per un momento preso in sbaglio per l’assassino perché uno aveva gridato l’assassino è
quello lì, un popolano stava per assestarmi una bastonata sulla testa, ma
avendo io gridato: no, sono una
Guardia! quello non mi ha percosso.”
Pietro Gambacorti Gasperini, impiegato, testimone:... “la carozza Reale avanzavasi quasi rasente la folla; tutto al più
vi era lo spazio per un uomo, giunta davanti al palco che occupavo vidi un braccio uscire direi dal margine della
folla, uscire qualche cosa nella mano in direzione di S. M., partire un colpo
verso la testa; S. M. alzò il braccio
dietro e altri due colpi seguirono [...] fu la cosa di un istante e tosto fui rovesciato dalla sedia tenendo un
bambino in braccio, e mentre mi
avvicinavo alla folla che iritata [sic] voleva fare dell’assassino giustizia sommaria, per cercare una mia
bambina scomparsa viddi l’arrestato
in viso e riconobbi in lui il giovanotto che stette tanta sera vicino a me.”
Amedeo
Cerocchi e Luigi Tinti, Agenti di Pubblica Sicurezza:
“...
si stava a fianco della Vettura la quale appena proceduta di pochi passi nel
recinto stesso abbiamo osservato un Individuo a noi sconosciuto che stava in seconda fila sporgere la mano
armata di Revolver e sparare tre colpi un dietro l’altro contro la persona del
Re. Immediatamente io Cerocchi
Amedeo l’afferrai per il collo nel mentre stava subito dopo per scavalcare il
recinto tentando di confondersi tra la folla e con
l’aiuto del mio compagno Tinti, e di uno Staffiere saltato da Carozza e di parecchi Carabinieri e molti Borghesi, riescimmo non solo a trattenerlo ma eziandio a salvarlo dal furore Popolare che perquotendolo [sic] da ogni parte lo voleva morto ad ogni costo. Riescimmo così a stento tra un’onda di Agenti e di popolo a trascinarlo fino ad una vettura fuori della pista e con quella l’abbiamo trasportato nel corpo di guardia nella caserma dei Reali Carabinieri. Durante il tragitto siccome io lo teneva fortemente per il collo egli mi diede un morso ad una mano [...] Io Cerocchi dichiaro pure di esser rimasto tutto lordo di sangue che sgorgava dalle ferite riportate dall’assassino per bastonate ricevute dal popolo. Io Guardia Tinti dichiaro d’avere perduto nella lotta la spilla d’oro della cravatta del costo di £ 12 ed il cappello.”
Giuseppe Salvatori e Andrea Braggio, marescialli d’alloggio a
cavallo: “... ci buttammo senz’altro sull’individuo che
ancora impugnava una rivoltella fumante e che stava a due passi da noi.
Contemporaneamente trovandosi
vicino all’assassino cooperarono maggiormente degli altri i militari del 58°
fanteria Pezzera Salvatore e Stellato Raffaele. Sull’individuo si riversò moltissime persone ed a stento i militari
sopracitati unitamente a tutti gli altri presenti, e guardie di P.S. in
borghese ed in divisa
coll’ufficialità tutta del Presidio ed al tenente dei carabinieri Reali
Borsarelli Sig. Emilio potendo così sottrarlo dall’ira popolare che voleva linciarlo. L’assassino
trasportato a stento nella nostra caserma disse chiamarsi Bresci Gaetano fu
Gaspare d’anni 31 tessitore in seta
nato a Prato (Firenze) rendendosi reo confesso del reato in parola. Poco dopo S.M. cessava di vivere.” l’aiuto del mio compagno Tinti, e di uno Staffiere saltato da Carozza e di parecchi Carabinieri e molti Borghesi, riescimmo non solo a trattenerlo ma eziandio a salvarlo dal furore Popolare che perquotendolo [sic] da ogni parte lo voleva morto ad ogni costo. Riescimmo così a stento tra un’onda di Agenti e di popolo a trascinarlo fino ad una vettura fuori della pista e con quella l’abbiamo trasportato nel corpo di guardia nella caserma dei Reali Carabinieri. Durante il tragitto siccome io lo teneva fortemente per il collo egli mi diede un morso ad una mano [...] Io Cerocchi dichiaro pure di esser rimasto tutto lordo di sangue che sgorgava dalle ferite riportate dall’assassino per bastonate ricevute dal popolo. Io Guardia Tinti dichiaro d’avere perduto nella lotta la spilla d’oro della cravatta del costo di £ 12 ed il cappello.”
La testimonianza dell’impiegato Gambacorti Gasperini Pietro: “Nella fatale sera del 29 Luglio mi trovavo nel campo ginnastico colla mia famiglia composta della mia Signora e tre bambini. Presi posto di fronte al lato della tribuna a pochi metri dal centro, dalla parte dalla quale era entrata e doveva uscire la carozza Reale. Poco dopo che avevo preso posto vidi vicino a me un giovinotto di statura più alta della media, vestito di scuro, con cappello molle color nocciola. Poco prima della distribuzione dei premi essendo stanco di stare in piedi sopra due seggiole scesi le gambe indolenzite e il giovane di cui sopra, accennando alla sedia mi disse: Mi permette? Risposi: faccia pure. Egli montò in piedi sullo scranno e dopo circa una diecina di minuti scese.”
Bresci si
assunse ogni responsabilità, negando di avere avuto complici o aiuti di sorta.
Confermò, durante il processo svoltosi a Milano il 29 agosto, la sua volontà di
colpire il Re, ritenendolo responsabile dei massacri avvenuti negli anni
precedenti. Non ebbe mai un momento di cedimento o di contraddizione.
La sua difesa
fu assunta dall'avvocato anarchico Saverio Merlino, dopo la rinuncia di Filippo
Turati che gli fece visita in carcere e gli suggerì il nome dello stesso
Merlino, quale suo difensore. Gaetano Bresci fu condannato all’ergastolo, il massimo
della pena. Morirà suicida in circostanze dubbie nel carcere di Santo Stefano. L'opinione
pubblica si schierò in difesa compatta del Re e della dinastia, fatta eccezione
di qualche centinaio di anarchici: «Pria di morir sul fango della via/
imiteremo Bresci e Ravachol»
Pochi mesi
dopo l’attentato, Zanardelli e Giolitti vennero chiamati a sostituire il
ministero Saracco. La tragedia di Monza sarà una svolta decisiva nella politica
italiana.
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