LE POETESSE MISTICHE PAZZE PER DIO
Le beghine, sessantottine ante litteram
Il pensiero di
mistiche e profetesse d’intensa forza portatrici di una visione diversa da
quella della società che le accoglieva, creatrici della “via femminile al
Romanticismo nel Medioevo”.
ROSVITA DI GANDERSHEIM, (Hrotsvit o Hrotswith; 935 circa – 974 circa)
ILDEGARDA DI BINGEN (Bermersheim vor der Höhe, 1098 – Bingenam Rhein, 17
sett 1179)
MARIA D’OIGNIES, (Nivelles, 1177 – Oignies, 23 giugno 1213)
HADEWIJCH D’ANVERSA, (fine XII secolo – Ducato di Brabante?, inizio XIII
secolo)
MATILDE DI MAGDEBURGO, (Sassonia, 1212 circa – Abbazia di Helfta, 1283)
MARGHERITA PORETE, (Hennegau, 1250/1260 – Parigi, 1º giugno 1310)
CATERINA BENINCASA, (Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380)
Tappe di itinerario
poetico. Il libro è stato presentato: Cappella Reale Reggia di Monza - Cappella
Santa Maria -Villa Sormani Missaglia - Villa Mirabello Parco di
Monza - Teatro Parenti Milano Book City - San Carlo al Lazzaretto
Milano
All’inizio del XIII
secolo incominciarono a formarsi veri e propri gruppi comunitari, chiamati
beghinaggi. Le beghine mendicanti si spostavano, predicando da un posto
all’altro. Non erano né monache, né religiose in senso stretto, né laiche
ferventi e ispirate, spesso erano estatiche. Votate interamente a Cristo,
mistiche e talvolta eretiche. Erano mulieres religiosae, mulieres pacis,
religiosae viventes, pauperes virgines con l’unica fonte di ispirazione per le
Scritture. Erano visionarie e profetesse, consigliere e perfino fustigatrici di
papi, di re, di principi e di prelati. Si sentivano chiamate da Dio e, per
molte di loro, l’alternativa era scrivere o morire. Si rivolgevano a Dio con un
linguaggio erotico, come rivolgersi all’amato. Riuscirono a rompere la
tradizione secondo cui solo gli uomini potevano occuparsi dei temi spirituali e
lo fecero abbandonando il latino, scegliendo le lingue volgari e presentando il
frutto della loro ricerca personale: una religiosità libera da intermediari in
contatto diretto con Dio. Le loro giornate erano scandite da preghiere e
lavoro, ma con la missione di un’avventura interiore, di una fiera cavalcata
alla ricerca dell’Amato. Erano dischiuse al sentire, a vibrare, ad accogliere
quella completezza con l’Infinito che coinvolgeva tutto il loro essere, la loro
anima e il loro corpo, in una beatitudine completa. Furono antesignane e
impegnate a rivendicare un proprio ruolo nella società, soprattutto all’interno
della chiesa, attraverso un vero miracolo di fede, di ascesi e di poesia. Il
francescano Lamberto di Ratisbona di loro disse: “Così mi sembra sia che una
donna diventa adatta a Dio; nella semplicità del suo discernimento il suo cuore
gentile, la sua intelligenza più fragile sono infiammati più prontamente dentro
di lei, così che nel suo desiderio comprende meglio la saggezza che discende
dal cielo di quanto faccia un uomo duro che è goffo in queste cose” Si
procuravano dolore tramite pratiche religiose, erano più propense degli uomini
a infiggersi danni fisici, ricorrendo a flagelli, spine, pietre o ortiche. Il desiderio
del dolore era mirato ad eliminare la fisicità al fine di farsi puro Spirito.
Il digiuno era un tentativo per punire la carne, per distruggere o negare le
pulsioni, per reprimere la sessualità. La gola era vista come causa dei peccati
più gravi: i suoi figli erano la fornicazione, la durezza del cuore, il sonno
agitato dai pensieri impuri. Caterina Benincasa (da Siena) e Maria d’Ognies
vissero intensi periodi di incapacità di assumere cibo, a partire
dall’adolescenza. Mangiavano e vomitavano fino a procurarsi danni alla gola e
all’apparato digerente. Al pari delle moderne anoressiche, molte di loro
persero il concetto o la percezione del corpo. Si nutrivano di eucarestia,
ebbero visioni e segni sovrannaturali che conferivano loro un determinato potere.
Ma la mistica più affascinante e sconvolgente del medioevo centrale europeo, il
protomodello delle ‘sante vive’ fu certamente Ildegarda di Bingen.
Incredibilmente sovversiva, sfidò le gerarchie e ne denunciò la corruzione. Nel
suo Libro delle sottigliezze delle creature divine, fu tra le prime a perorare
la “causa” delle donne, dimostrando che potevano difendere la propria categoria
e non abbracciare acriticamente la misoginia ecclesiastica, pur rimanendo
devote. Ildegarda non venne mai punita poiché legata al re Federico I, ma la
Chiesa la ammonì in varie circostanze, ricordandole che il dono della profezia
non la dispensava dall’obbedienza, e si vendicò di lei dopo la morte. I suoi
scritti vennero censurati e il suo processo di canonizzazione si protrasse per
secoli. Se consideriamo almeno qualcuna di queste figure femminili, dovremmo
escludere l’idea di ‘antifemminismo’ o di ‘misoginia’ nella cultura cattolica.
Ad alcune di loro vennero confiscati i loro scritti, altre vennero definite
“folli”, rinchiuse nei chiostri, qualcuna venne bruciata. Il sottile filo rosso
che ha segnato i loro percorsi spirituali è senza dubbio quello dell’amore:
questa parola chiave ci ha permesso di entrare nella loro vita, nella loro
scrittura di donne apparentemente fragili, ma capaci di grandi provocazioni con
al centro il rapporto d’amore con Dio. Un amore intenso, diretto e
privilegiato. L’amore e l’attenzione verso il prossimo hanno rappresentato per
loro un impegno sociale forte che andava dalla cura degli emarginati e dei più
poveri ai diretti e concreti interventi nella politica e nella storia della
Chiesa. Hanno saputo comunicare attraverso la parola e i gesti una
visione del mondo diversa da quella maschile, vedendo oltre la soglia
della percezione comune ed esprimendo “l’ineffabile”. Il Medioevo, e in
particolare il Basso Medioevo, ha rappresentato un periodo di grandi
innovazioni, di grandi fermenti, un periodo in cui hanno trovato spazio donne
che, nelle loro scelte, hanno anticipato di molti secoli la “modernità”. Donne
che hanno gettano le basi per future e radicali trasformazioni.
HILDEGARD VON BINGEN
Sono "la voce di Dio". A 43 anni comincio ad annotare le
visioni che ho fin dall'infanzia, e che ho mantenuto segretamente in me per
paura di non essere compresa.
[…] vidi una luce così
grande nel cielo e udii una voce che mi diceva: «Oh tu fragile creatura […],
parla e scrivi ciò che vedi e senti. Tuttavia, poiché sei timida nel parlare,
semplice nell'interpretare e incolta nello scrivere, dirai e scriverai queste
cose non secondo il linguaggio degli uomini, né secondo il modo umano di
comprendere, ma fondandoti su questo: che tu vedi e odi tali cose nell'alto del
cielo, nelle meraviglie di Dio, e le riporti allo stesso modo di un discepolo
che, percependo le parole del suo maestro, le diffonde così come le ha sentite
dalla sua bocca e come esso vuole, mostra e insegna. […]. Orsù, dille!».
[…] una luce di fuoco
di grandissimo splendore, che scendeva dal cielo aperto, trapassò tutto il mio
cervello, tutto il mio cuore e tutto il mio petto, come una fiamma che non
brucia ma riscalda, e m'infiammò come suole fare il sole per qualcosa su cui
manda i suoi raggi. E all'improvviso provai gusto intellettuale nel saper
comprendere il senso dei Libri (sacri), sia del Salterio, dei Vangeli e di
altri libri, sia dell'Antico e del Nuovo Testamento… […] ma non per questo
riuscii a interpretare il significato delle parole, del loro testo, né la
divisione delle sillabe, né la declinazione dei casi, né la coniugazione dei
verbi.
[…] Le visioni che
vidi non le ebbi nei sogni, né dormendo, né in momenti di frenesia, né con gli
occhi e le orecchie del corpo, né in luoghi occulti, ma da sveglia, con la
mente chiara, con gli occhi e con le orecchie dell'uomo interiore, in luoghi
aperti, in conformità alla volontà di Dio. Come ciò possa avvenire in una
persona è difficile indagare. E di nuovo udii la voce dal cielo che mi diceva:
«Grida, dunque, e scrivi dunque».
In una delle mie tante
visioni dell'universo nel centro del petto dell’immagine che avevo contemplato,
in mezzo alla regione australe del cielo, apparve con i suoi segni una ruota di
aspetto meraviglioso. Nella parte più esterna della ruota, lungo la
circonferenza, veniva mostrato un cerchio simile a un fuoco luminoso; e sotto
quello, un altro cerchio simile a fuoco nero. E i due cerchi erano uniti l’uno
all’altro come se fossero un cerchio solo. Sotto il cerchio di fuoco nero c’era
poi un altro cerchio, simile all’etere puro. Sotto il cerchio di etere puro
veniva mostrato un altro cerchio, per così dire di aria umida. E sotto il
cerchio di aria umida, veniva mostrato un altro cerchio simile ad aria densa,
bianca e luminosa, e resistente come un tendine umano. [...] E in verità, tutti
e sei questi cerchi erano uniti l’uno all’altro senza soluzione di continuità.
[...] Il diametro di questa sfera corrispondeva con la profondità dello spazio
che andava dalla parte superiore del primo cerchio all’apice delle nuvole, o
della circonferenza della sfera alle dette nuvole. La figura dell’uomo occupava
il centro di questa ruota gigantesca. La sua testa e i suoi piedi erano tesi a
toccare il cerchio costituito da qualcosa di simile ad aria densa, bianca e
luminosa. La punta delle dita, [tanto] della mano destra [quanto] della mano
sinistra, era protesa verso il cerchio perfettamente rotondo, perché l’immagine
dell’uomo allargava le braccia in quel modo [...].51
MARGHERITA PORETE
“Quest’Anima ha dato
tutto per la libera nobiltà dell’opera della Trinità; e nella Trinità l’Anima
pianta così nudamente la propria volontà, che non può peccare, se non se ne
distoglie. Non ha di che peccare, perché senza volontà nessuno può peccare.
Perciò non corre il rischio di peccare, se lascia la sua volontà là dove è
piantata, ossia in colui che gliel’aveva data, nella sua bontà, liberamente; e
la voleva riavere, a suo vantaggio, dalla sua amica nuda e libera, senza nessun
perché che riguardasse lei, ma per due cose: perché lo vuole e perché lo vale.
E finché lei non fu del proprio volere puramente denudata, non ebbe pace né assidua
né copiosa. Costei, che è tale, somiglia sempre a colui che è ebbro. A colui
che è ebbro non importa niente di quello che gli accade, in qualunque forma la
sua avventura avvenga, non più che se non gli accadesse niente; e se gliene
importasse, non sarebbe ebbro completamente. Così se quest’Anima avesse ancora
di che volere, sarebbe mal piantata e potrebbe ancora cadere, se assalita da
avversità o prosperità. E non è tutta perché non è nulla, se ha di che volere;
poiché la sua povertà e la sua ricchezza stanno nel voler dare o trattenere. E
ancora soltanto voglio dire … a tutti quelli che sono chiamati dal desiderio
interiore alle opere di perfezione, con l’impegno di Ragione, lo vogliano o no:
se vorranno essere ciò che possono essere, perverranno all’essere di cui
parliamo, saranno inoltre signori di se stessi, del cielo e della terra”.
L’anima perduta nell’amore si congeda dalle virtù e non è più al loro servizio;
non deve più esercitare le virtù, ma le virtù stesse sono al suo servizio.
Un’anima siffatta non si preoccupa più delle consolazioni di Dio né dei suoi
doni; essa non ha più e non può più preoccuparsene perché tutta la sua
attenzione è rivota verso Dio stesso. Era di lunedì quando
nella Place de Gréve, a Parigi, dinanzi al palazzo del Comune, alla presenza
delle maggiori autorità civili ed ecclesiastiche e di una folla immensa accorsa
per vedermi morire, sono stata arsa viva sul rogo assieme al mio libro.
In mezzo a questa
folla senza compassione, Margherita avanzava, il corpo avvolto nella sua veste
grigia, le mani legate, il capo velato. Quanti anni aveva? Cinquanta, sessanta
forse. Era la donna più distinta, più saggia, più luminosa del suo tempo. Certamente
la più bella … “… saliva sul patibolo, non priva di angoscia, non senza
fierezza, recando in sé, senza che lì nessuno potesse comprenderlo, la carica
di un amore silenzioso e divorante: un amore assoluto. Aveva appena scritto
dello stupore dell’anima annientata, aveva trovato, nel suo dialetto, le parole
che dicono l’assenza e la presenza, il nulla e il tutto. Era giusto, in questa
ingiustizia che le era arrecata, che pagasse il prezzo della sua illuminazione.
Il trono di fascine su cui sarebbe arsa concretizzava con esattezza il senso
che aveva attribuito alla sua avventura interiore. Aveva percorso il suo
cammino sulla terra, tra le violenze contrastanti del suo tempo, solo per
portare i Serafini, il fuoco che doveva consumarla. Il suo cuore ardeva già da
molto tempo nel segreto del suo pensiero contemplativo. E le parole del suo
libro avevano conferito un aspetto di bellezza e di rigore a questo ardore.
Aveva composto una sola opera: il lungo dialogo della sua anima con le potenze
interiori. Una sola opera. Tutta la sua vita. Tutto ciò che il silenzio, la
solitudine e la mediazione le avevano insegnato. Tutto ciò che la sua natura di
donna – in un’epoca di bruti – le aveva rivelato di marcatamente femminile
nella sua esperienza cristiana: una qualità d’amore, di abbandono di sé, di
rinuncia e di annientamento, una libertà e una leggerezza d’essere, una
musicalità di parole, un ritmo del respiro del verbo – un’incarnazione radicale
della lingua nella ragione teologica -. Aveva scritto questo libro. L’aveva
senza dubbio portato e maturato in sé a lungo come il frutto unico e totale
della sua esistenza”.
Hadewiich d'Anversa
“Un giorno di
Pentecoste, all’aurora, ebbi una rivelazione assistendo al Mattutino che si
cantava in chiesa. Il mio cuore, le mie vene, e le mi membra tremavano e
fremevano di desiderio. E come spesso accade, sentivo in me stessa, come in una
tempesta terribile, che se non fossi stata tutta per il mio Amato, e se infine
non fossi stata piena di lui, questa agonia mi avrebbe reso folle e questa
smania mi avrebbe ucciso. Il desiderio d’amore mi tormentava e mi torturava
tanto che tutte le mie membra sembravano volersi sbriciolare e le mie vene
arrendersi al dolore. Il languore in cui mi trovavo, che io sappia, nessuno può
esprimerlo e, per una ragione che nemmeno io saprei dire, sarebbe
incomprensibile a tutti coloro che non hanno conosciuto l’Amore nel desiderio e
che l’Amore stesso non ha riconosciuto. Confesserei, dunque, soltanto questo:
desideravo gioire pienamente del mio Amato, conoscerlo e gustarlo senza
riserve, godere con la mia della sua Umanità in modo perfetto, e che la mia
fosse radicata nella sua, forte della sua integrità a dispetto di ogni caduta,
sapendo perfettamente compiacerlo nella pura, unica e totale pazienza di ogni
virtù… A quel punto, mi si fece incontro, mi prese tra le sue braccia e mi
strinse a sé; e tutte le mie membra sentirono le sue in quella pienezza che
avevo sempre desiderato con tutto il cuore, con la mia umanità. E per un
istante non ebbi neppure la forza di sopportarlo; persi tuttavia quasi subito
la visione di quell’uomo bello nell’aspetto esteriore, e la vidi svanire senza
che rimanesse nulla …”
Se vorrete sapere di
me, potrete incontrarmi in quel tempo di inizio del XIII secolo dove vi parlerò
dell’amore assoluto che ha pervaso tutta la mia vita. Udite con il cuore
questa mia poesia. E’ l’ultima della mia raccolta: spalancherà ai vostri occhi
l’immensità della mia anima. La mia famiglia non apprezzava questa mia
vicinanza al movimento delle beghine; per loro ero uno scandalo e cercarono di
frenare il mio entusiasmo anche nascondendo e negando i miei testi. Ho avuto
modo di apprendere la mistica affettiva attorno al 1128 in un luogo preciso:
nell’infermeria di Chiaravalle con Bernado e Guglielmo di Saint-Thierry.
L’incontro tra i due abati ammalati si rivelò un avvenimento cruciale nella
spiritualità occidentale: “Eravamo tutti e due malati e passavamo tutto il
giorno a parlare della medicina spirituale dell’anima e dei rimedi delle virtù
contro i malanni dei vizi. E’ stato allora che [Bernando] mi ha commentato il
Cantico dei Cantici, per quanto lo abbia permesso la durata della mia degenza,
soltanto dal punto di vista morale, lasciando stare l’interpretazione mistica
di quel testo scritturistico, perché così volevo io, e così gli avevo chiesto.
E giorno dopo giorno, per fare in modo che mi sfuggisse niente, prendevo appunti
su tutto quello che sentivo su questo argomento, per quanto mi concedeva Dio e
mi permetteva la memoria. Lui mi spiegava con dolcezza e senza reticenze,
comunicandomi i giudizi della sua intelligenza e i risultati della sua
esperienza, nel tentativo di insegnare, a un inesperto, tante cose che si
possono imparare solo con l’esperienza”.
Bernardo e Guglielmo
furono i primi monaci, i primi cristiani che confidarono l’un l’altro le loro
esperienze interiori, raccontandosi quanto la loro vita fosse determinata
dall’amore per Dio e lo fecero attraverso la lingua e le immagini del Cantico
dei Cantici. Ho vissuto l’inferno e l’esperienza dell’Assoluto nella sua
completezza. Mi sono spinta ad indagare l’estremo di questo Amore, vivendo
l’esperienza più grave e disperata: quella di essere abbandonati dall’ Amore.
Ho trovato la forza per sopportare la via difficile della scoperta e “voglio
ricordare nei miei insegnamenti che la vista di cui l’anima è munita per sua
natura è la carità. Questa vista ha due occhi: l’amore e la ragione. La ragione
può vedere Dio solo in ciò che non è; l’amore non si ferma che davanti a Dio
stesso. La ragione ha delle vie certe dove camminare, l’amore prova la sua
onnipotenza, tuttavia il suo insuccesso lo fa avanzare di più che non la ragione.
[…] Quando la ragione si lascia trasportare dai desideri dell’amore, e l’amore
si lascia costringere e legare dai vincoli della ragione, insieme possono
compiere un’opera davvero grandiosa; questo però non può essere insegnato da
nessuno, ma solo venir provato con l’esperienza. […] Non può partecipare a
questa gioia chi vive al di fuori dell’amore, né straniero alcuno”. Ho
indirizzato tante mie lettere, dove scrivo la pratica attiva delle opere di
carità e l’esercizio delle virtù, alle mie “care figlie” Margherita, Sara,
Emma. Il mio unico tema è l’amore per Dio:“Dio ti manifesti, cara figlia, come
è e come tratta i suoi servi, o se preferisci, le sue giovani ancelle, e possa
tu perderti in lui. Nell’intimo della sua Sapienza possa tu conoscere chi egli
sia e quale mirabile dolcezza sia per un amante dimorare nell’altro: ciascuno
abita nell’altro in modo tale che nessuno possa più distinguersi. Eppure, essi
godono vicendevolmente, bocca a bocca, cuore a cuore, corpo a corpo, anima ad
anima; mentre una sola natura divina fluisce in loro e li attraversa entrambi
pur restando sempre due: ed è così che devono rimanere”. (Lettera IX) …..“Io
ben poco ho preso parte alle abitudini degli uomini nel mangiare, nel bere o
nel dormire, né mi sono fornita dei loro abiti, dei loro colori od ornamenti;
né mai ho goduto delle gioie di cui si rallegra il cuore umano, né di quel che
esso può raggiungere o ricevere, salvo brevi istanti di esperienza d’amore, che
vince ogni cosa”. ….“Ho vissuto con gli uomini al loro servizio, in tutte le
opere. Mi hanno sempre trovata pronta e disponibile nelle loro necessità (…).
In ogni cosa sono sempre stata al loro fianco; da quando Dio mi ha toccata per
la prima volta con la totalità dell’amore, ho sentito i bisogni di tutti gli
uomini secondo il loro stato”. (…) “E io sono una creatura che deve soffrire
con il Cristo nell’amore fino alla morte, perché nel giusto Amore si deve
sopportare la vergogna fra tutti gli estranei, finché l’amore non approdi in se
stesso e non cresca con noi pienamente nelle virtù: dopo, l’Amore diventa uno
con l’uomo”. “Da quando avevo appena dieci anni, fui così oppressa dal più
intenso amore, che certo in meno di due anni da che mi ero così data io sarei
morta, non mi avesse dato Iddio una forza singolare, diversa da quella che
ricevono le persone comuni, e non avesse egli restaurata la mia natura con il
suo Essere”.
CATERINA
BENINCASA
Un giorno, mentre
recitavo le mie preghiere, vidi dalla finestrella un mendicante steso
all'angolo della via. Faceva molto freddo. Corsi in cucina a prendere del pane.
Era molto infreddolito: - Non avresti qualcosa per coprirmi? - mi disse-
Mi tolsi il mantello nero della penitenza e glielo diedi. La notte seguente
Gesù mi comparve in visione: Figlia mia, oggi hai coperto la mia nudità: Per
questo io, ora, ti rivesto del mantello d'oro della carità. Da allora in
poi non soffrii mai più il freddo e anche nel più crudo inverno potevo andare
in giro vestita di leggero. Il calore della Grazia mi riparò sempre dal freddo.
Ero circondata da uno stuolo di discepoli fedelissimi, godevo di fama di
santità presso il popolo, ma avevo anche acerrimi nemici, erano i vecchi
compagni di quei peccatori che ero riuscita a recuperare alla Grazia; erano
miei nemici anche alcuni religiosi la cui limitatezza non permetteva loro di
capirmi. Le voci, i pettegolezzi, le calunnie aumentavano sempre di più col
passar del tempo. Un giorno fui cacciata dalla chiesa di S. Domenico. Non mi
turbai. Ero così immersa nella preghiera che non mi accorsi che il tempo passava.
Non mi accorsi neanche che mi chiamavano, che stessero scuotendomi. I
sacrestani dovevano chiudere la chiesa, era buio ormai. Furono con me duri e
inflessibili. Decisi di cibarmi soltanto di un po’ d’erba cruda e di acqua di
fonte. - Ma come puoi resistere, Caterina?- mi chiedevano- Oh,
benissimo, per grazia divina- rispondevo. Da piccola ero golosissima di
frutta e, per permettermi di purificarmi da questo difetto, il Signore mi aveva
dato il privilegio di sostentarmi di poco. L’ostia consacrata era il nutrimento
della mia anima, nessuna anima può vivere senza nutrimento. Non ti sembra un
atto di presunzione questo di comunicarti tanto spesso? mi venne
apostrofato dal Superiore dei Terziari, durante un interrogatorio. I
cristiani primitivi si comunicavano tutti i giorni – risposi con calma
assoluta e con sicurezza al lungo interrogatorio. -S. Agostino ha sempre
detto “ io non lodo né biasimo chi si comunica tutti i giorni” e se non mi
biasima S. Agostino, perché volete biasimarmi voi, padre reverendissimo? Il
Superiore dei Terziari, credeva di trovarsi davanti ad un’esaltata, una
fanatica, e dovette constatare che io ero umile e rispettosa ma decisa e sicura
di me, animata da una fede profondissima e chiara. - Un’ultima cosa,
Caterina. Sai cosa dice di te la gente? – mi ripetette- Che tu digiuni
in pubblico e ti nutri di nascosto, per alimentare la fama di santità intorno
alla tua persona. - C’è una frase del Vangelo, padre
reverendissimo – gli risposi- che io ricordo sempre: “non
giudicate e non sarete giudicati”. Mi congedò convinto ed edificato. Avevo
vinto una dura battaglia. Ricordo quando andai
a far visita a Niccolò Toldo, il giovane condannato a morte. La mia
visita lo confortò a tal punto che dalla disperazione passò alla Confessione e
si dispose molto bene alla morte. Mi fece promettere che sarei salita con lui
sul patibolo. Così feci. La mattina, innanzi alla campana, andai da lui. Ne fu
tanto contento. Lo accompagnai a Messa e ricevette la S. Comunione, che non
aveva più ricevuta da quando era in carcere. Era sereno; solo gli era rimasto
il timore di non essere forte durante l’esecuzione. Andava dicendomi: Stammi
vicina; non abbandonarmi. Solo con te morirò contento. Così dicendo, appoggiò
il suo capo sulle mie spalle. Io lo consolavo: Coraggio, mio dolce fratello:
ben presto giungeremo alle nozze. Tu v’andrai purificato dal sangue dolce di
Gesù: il cui nome non deve uscirti dalla memoria. Coraggio! T’aspetto la!
Queste parole lo fecero oltremodo contento. Giunse sul patibolo, come un agnello
mansueto. Quando mi vide, sorrise e volle che gli facessi il segno della Croce.
Ricevuta la benedizione, gli dissi: Giù la testa! Alle nozze, fratello mio
dolce! Tra poco avrai la vita eterna! Lui si pose giù con grande mansuetudine.
Io gli distesi il collo, mi chinai su di lui e gli ricordai il sangue dell’Agnello.
La sua bocca non chiamava che Gesù e Caterina. Mi trovai la sua testa,
troncata, tra le mani e il mio vestito rosso e profumato dal suo sangue. Ohimé,
misera! Rimasi sulla terra, invidiando grande mente la sua sorte! Ho
subito spesso le tentazioni della carne. Quando accadeva gridavo: Signore
mio dove eri quando il mio cuore era tribolato da tante tentazioni? – -Stavo
nel tuo cuore – mi rispondeva -Sia salva sempre la tua verità, o
Signore, e ogni riverenza verso la tua Maestà; ma come posso credere che tu
abitavi nel mio cuore, mentre era ripieno di immondi e brutti pensieri? -Quei
pensieri e quelle tentazioni causavano al tuo cuore gioia o dolore? Piacere o
dispiacere? -Dolore grande e grande dispiacere!
-Chi era che ti faceva
provare dispiacere se non io, che stavo nascosto nel centro del tuo cuore? Ho dedicato tutta la
mia vita all’amore per Cristo, ho cercato di diffondere la sua parola, fino
alla mia morte che arriva all’età di trentatré anni, la domenica del 29 aprile
del 1380, circondata dall’amore e dalla dedizione dei miei tanti
discepoli. Ero in preda a sofferenze indicibili, che sopportavo con
eroica pazienza: Figlioli carissimi, non dovete rattristarvi se io muoio, ma
piuttosto dovete gioire con me e con me rallegrarvi, perché lascio un luogo di
pene per andare a riposarmi in un oceano di pace, in Dio eterno. Vi do la mia
parola: dopo la mia morte, vi sarò più utile... dissi loro - Tenete per
fermo, o dolcissimi figlioli, che partendomi dal corpo io in verità ho
consumata e data la vita nella Chiesa e per la Chiesa santa, la qual cosa mi è
singolarissima grazia…la vera gloria è la lode di Dio.
Scriveteci:
Antonetta Carrabs: acarrabs@libero.it
Iride Enza Funari: iride.enzafunari@gmail.com www.lacasadellapoesiadimonza.it
ANTONETTA CARRABS
poeta e scrittrice. Presidente dell’Associazione culturale umanitaria
Zeroconfini Onlus www.zeroconfini.it e
Presidente della Casa della Poesia di Monza www.lacasadellapoesiadimonza.it,.
Direttore artistico della rassegna Mirabello Cultura, Presidente della Consulta
di Monza e Brianza per la Cultura e i Beni Culturali, fondatrice e Presidente
del Centro di Ricerca e Studi Durini per le lingue dialettali e minoritarie,
membro del direttivo di Poeti Fuori Strada Monza, responsabile Laboratori di
poesia Ernesto Cardenal, membro del direttivo degli Amici della Reggia di
Monza, fondatrice e Presidente di giuria del Premio Letterario Isabella Morra,
il mio mal superbo e del Premio Letterario Aurelia Josz, fondatrice e membro
direttivo I Poeti per la Cultura di Pace, co-produttrice e interprete del
docufilm Il Futuro in una poesia regia di Donatella Baglivo, fondatrice del
Parco Letterario Regina Margherita e Parco Valle Lambro, giornalista free
lance, direttore editoriale di Beyond Bordes, il giornale dei detenuti del
carcere Sanquirico di Monza, dove ha promosso il laboratorio di narrazione
Parola Liberami!; co-direttore artistico della rassegna Mirabello Cultura,
promotrice culturale di numerose iniziative letterarie, di teatro e poesia.
Fondatrice del Festival Europeo delle Lingue Dialettali e Minoritarie,
cofondatrice della Sezione Fidapa BPW Italy Modoetia Corona Ferrea di Monza e
già Presidente FIDAPA Sez Monza e Brianza, nonché responsabile del del
Distretto Nord Ovest FIDAPA per la realizzazione la Carta dei Diritti della
Bambina e del Premio Fidapa BPW Italy Donne e Poesia per una cultura di Pace.
Ideatrice e promotrice della rassegna letteraria La rivoluzione delle Sibille,
Feltrinelli 2018. Ha collaborato con i medici dei reparti di Ematologia ed
Oncologia Pediatrica degli ospedali San Gerardo di Monza e dell’Istituto dei
Tumori di Milano, realizzando con i bambini, percorsi di poesia e di
intrattenimento letterario.
IRIDE ENZA FUNARI nata
a Genova, segretario della Casa delle Poesia di Monza, descrive così il suo
essere poeta: “vivo lo scrivere poetico come momento personale di raccoglimento
ed ascolto del mondo interiore, specchio di ciò che mi circonda”. Diversi i
premi letterari e poetici ottenuti: Poesia Oltre, 5° Premio con menzione
speciale, X Edizione Premio Internazionale Centro Giovani e Poesia di Triuggio
(2001). Poesia Ti voglio bene, 1° Premio poesia dedicata alla mamma, XIV
Edizione Premio Internazionale Centro Giovani e Poesia di Triuggio (2005).
Poesia Luna, 1° Premio Concorso Poetico Nazionale Isabella Morra, Il mio mal
superbo Prima Edizione 2011 Monza e Brianza. Poesia Srotolo verbi in spazi
infiniti, 12° premio con attestato di merito della XVI Ed. Premio M. Yourcenar,
Melegnano 2011. Finalista nella sezione poesia Premio Letterario 2009 del
Centro culturale Antonianum Milano. Poesia Emergono ricordi, 1° Premio Concorso
Poetico Internazionale La rocca Borromea Città di Arona Biblioteca Civica Sen.
Avv. Carlo Torelli, Arona 2012. Silloge Ritratti di donne nei secoli, menzione
di merito 4° Concorso Internazionale di poesia Contemporanei d’autore indetto
dall’Associazione culturale Artisti Riuniti, Lecce 2012. Diverse poesie sono
state segnalate ed alcune pubblicate sulle Antologie dei premi.
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