GRACE KELLY e RANIERI di MONACO


" È un vulcano dalla cima innevata" disse di lei Alfred Hitchcock, il regista che la trasformò in diva. Bellissima, aristocratica, algida. Grace Kelly con i suoi corti guanti bianchi, i cappelli a falda larga, le perle, i foulard di Hermes, i tailleur in tweed e gli abiti eleganti confezionati nei migliori atelier d’Europa: da Dior a Givenchy. Ovunque appariva, era accompagnata da fiori: fiori agli incontri ufficiali, sui set fotografici, ai festival del cinema, sempre e dappertutto. Fiori nelle stanze degli alberghi. Non mancavano mai mazzi di rose, mughetti o garofani.
 
Ha introdotto in Europa la moda dei gioielli di perle: non mi piacciono i diamanti, sono freddi e formali, gli smeraldi stanno bene solo alle more, gli zaffiri sanno di vecchio e i rubini sono un pò maledetti. Nella sua collezione c’erano anche tanti collier e bracciali di perle, anelli e orecchini con le perle. I suoi gioielli preferiti erano sempre a forma di rosa. Per le sue nozze con il principe Ranieri di Monaco, Grace indossa un abito favoloso della stilista e costumista hollywoodiana Helen Rose. Per realizzarlo vengono utilizzati venticinque metri di seta, altrettanti di taffetà, novantotto di tulle e quasi trecento di pizzo.
 
La gonna in seta è a forma di campana, il corsetto in pizzo “valenciennes” ricamato da un decoro floreale fatto di piccole perle coltivate. Le scarpe sono rivestite dallo stesso pizzo dell’abito, mentre i capelli sono raccolti sotto una “calottina” a forma di cuore dalla quale parte un doppio velo, anch’esso bordato di pizzo; quello corto le copre il viso, l’altro più lungo forma uno strascico di quasi tre metri. Il mondo si ferma per seguire le nozze da favola della bella Grace con Ranieri, il principe Grimaldi, lo scapolo d’oro più ambito d’Europa. E’ il 19 aprile del 1956 e la cattedrale di San Nicola, a Montecarlo, straripa di 700 invitati. L’amore fra Grace e il principe Ranieri esplode per caso grazie al giornalista Pierre Galante che, in occasione del Festival di Cannes, combina l’incontro con la scusa di uno shooting fotografico a Grace nei giardini del Palais Princier. Uno stupendo parco nel castello Grimaldi, con le fontane, le rare piante tropicali, un piccolo zoo con animali selvaggi e una bellissima vista sul mare. L’appuntamento comincia sotto i peggiori auspici. A causa di un blackout sulla Croisette, Grace non può stirare il vestito che aveva scelto e ripiega sull’unico abito non sgualcito: un abito da cocktail dall’ingombrante fantasia a rose giganti; né può asciugarsi i capelli dopo il bagno, che raccolse in qualche modo e ferma con dei fiori. «Quel giorno avevo un sacco di cose da fare – dichiarò Grace -  una conferenza stampa al mattino, un appuntamento con il parrucchiere per il tardo pomeriggio, un ricevimento ufficiale all’Ambasciata americana la sera, una cena a mezzanotte. E tutti i miei vestiti avevano bisogno di essere stirati. Era domenica, dove trovare chi me li stirasse? Non so cosa avrei dato per non andare a fare quelle fotografie»

 <<Mi è costato fatica abituarmi al matrimonio e più ancora mi è costato imparare il francese. E poi ho dovuto fare i conti con la mia timidezza, che spesso è stata scambiata per scortesia. È la donna che “fa” la famiglia. Sta a lei tenersi vicino marito e figli. Prenda la mia. Mio padre era un uomo mite e gentile, non ci sgridava mai. Ma quando parlava, allora noi figli dovevamo filare. Penso che il compito del padre sia quello di insegnare che cosa sia l’autorità, la madre deve farla rispettare. Da bambina volevo essere un maschio per poter somigliare a mio padre, un uomo dalla personalità forte, con molto cuore e senso dell’umorismo. Hollywood: non conosco nessun altro posto al mondo dove tanta gente soffre di esaurimento nervoso, dove ci sono tanti alcolizzati e tanta infelicità….
Dopo il nostro matrimonio il principe mi disse con affettuosa ironia: chiunque sposi un’americana, deve fare attenzione a che non diventi il capofamiglia. Effettivamente noi americani abbiamo lo spirito comandante, ma io ho cercato di smussarmi. Il balocco più grande di mia figlia Caroline è un orso di pezza inviato dall’equipaggio di un sottomarino americano che sostava nel porto quando nacque la bambina. È così grosso che fa fatica a passare per la porta. Con la piccola parlo inglese, però la chiamo Caroline, alla francese. Quando Caroline era piccola, sono stata costretta a ricorrere a qualche salutare schiaffone per insegnarle il senso della disciplina. Con Alberto, invece, bastava fare la voce grossa. Per Stéphanie avrei dovuto ricorrere alle maniere forti molto tempo fa. Una madre deve sempre preferire i figli alla carriera e questa è stata la mia scelta.>>

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