Villa Crespi Cannavacciuolo, l'antico sigillo e la leggenda della Madonna del sasso
E’ un sigillo, un segno indelebile che porta inciso parole di
carta nell’aria sottile e racconta l’antica storia di Villa Crespi. Il mondo ne
ha custodito la sua genitorialità, affidandola alla terra e ad un’anima. In
ogni suo bulbo, la natura ha avuto cura di nutrire la nascita di un’idea di
poesia che ha ritrovato il suo culmine raggiunto nel farsi cibo, bosco, sapori,
natura e sogno. Un sogno che ha toccato lo Zenit e il Nadir della sua
significazione in questo antico luogo dove la storia si congiunge fino a
fondersi in un tripudio di emozioni. E’la nascita di un unico grande disegno
che porta la firma di un’antica scrittura cifrata. Era forse già scritto nella
corteccia messa a macerare nell’acqua e poi battuta nei mortai di pietra; negli
antichi manoscritti di cellulosa di lino, nell’acqua che scorreva attraverso le
fenditure del graticcio, nelle fibre di un semplice foglio messo ad essiccare
all’aria. Antonino ha affidato alla natura semplice di questo antico e sacro
luogo la sua gratitudine perché il tempo possa celebrarne la memoria.
La leggenda della Madonna del sasso risiede in questi luoghi
In alto di una scoscesa rupe a picco
sulla sponda occidentale del Lago d’Orta si erge il Santuario della Madonna del Sasso.
L’antica leggenda narra di Maria e di Aicardo e dell’antico feudo dell’episcopato di Novara
che cambiava sovente padrone nominale.
Fra i soldati nativi della Riviera vi era un giovane valorosissimo di nome Aicardo
salito a grande celebrità per le sue prodezze
negli assedi alla rocca d’Arona, a Novara, a Pavia.
Aicardo tornato al suo lago dopo il servizio militare
si innamorò di Maria, la figlia della taverniera, la bellissima ragazza di Pella
e presto l’ebbe in sposa.
Il bravo giovane era oltre ogni dire felice.
Quando ripartiva da casa gli toccava lasciar la giovane sposa sola con la vecchia madre
ma quando si assentava per molti giorni, nascondeva la sposa e la vecchia madre
sullo scoglio sporgente della montagna del Sasso, proprio ove ora sorge il Santuario.
In tutta la Riviera la bellezza di Maria in men che si dica diventò celebre
tanto ch’ella ebbe a essere il tema delle canzoni
che si cantavano la sera sulle allegre barche del lago.
Dopo qualche tempo si andò a mormore d’un soldato inglese di ventura
avanzo di qualche drappello sceso a combattere in Italia
che sovente compariva nei dintorni di Pella
e che si vedeva a guardare la bella Maria e a seguirla lungo la sponda del lago.
Il bel soldato divenuto grande amico di Aicardo
dopo che gli aveva salvato la vita sotto le mura di Pavia
un giorno si vide passeggiare con Aicardo sulla riva del lago
e discorrere delle nuove taglie che Anchise Visconti aveva imposto agli abitanti della Riviera.
Giunti sulla piazza di Pella Aicardo, di botto, si avvicinò ad un gruppo di persone
chiese se nessuno voleva seguirlo alla rocca d’Angera per un’ambasciata presso il Visconti
onde vedere di essere dispensati dal pagamento delle nuove taglie.
La domanda parve ardita poiché tutti conoscevano il peso delle catene
e l’umido eterno dei sotterranei della rocca
ma alle insistenze di Aicardo due o tre fra i più coraggiosi accettarono di accompagnarlo.
L’inglese non credette di fare altrettanto
dicendo che la sua presenza avrebbe ostacolato l’ambasciata
poiché il nome della sua nazione era poco beneviso al duca
e meno ancora al governatore della rocca.
Il dì seguente Aicardo partì alla volta della rocca d’Angera accompagnato dai suoi compaesani
e non volle per quella volta che la sposa e la madre
si rifugiassero sulla montagna del Sasso
confidando nella sorveglianza promessa dall’inglese.
Anchise Visconti, governatore della rocca d’Angera
accolse con gentilezza gli ambasciatori
udì le loro rimostranze, lodando la bravura e l’intrepidezza degli abitanti della Riviera
e trovò anche giusto che non dovessero pagare le nuove taglie.
Ma quando l’udienza fu finita fece cenno ad un bravo
e nell’uscire Aicardo e i suoi compagni si trovarono accerchiati da una ventina di sgherri
che li legarono e li rinchiusero in una sala ampia ed oscura.
I compagni di Aicardo, che si videro perduti sfogarono contro di lui tutta la loro rabbia
addossandogli la responsabilità dell’avventura
e qualcuno osò anche fare cenno a sua moglie ed all’inglese.
Aicardo all’insulto ruggì una maledizione contro l’inglese
con uno sforzo supremo spezzò la corda che gli teneva legate le mani
staccò una delle scimitarre pendenti dalle pareti
e mentre stava per precipitarsi su colui che aveva ferito il suo cuore la porta della sala si aprì.
Si precipitò all’uscita e uccise gli sgherri sbalorditi dell’inaspettato assalto e fuggì.
Intanto Anchise Visconti edotto dell’insubordinazione dei rivieraschi,
subito spedì al lago d’Orta numerosa soldatesca con l’ordine di saccheggiarne i paesi.
La sera stessa varie bande arrivarono per diverse vie alla Riviera
una masnada si pose a saccheggiare Orta e un’altra l’Isola
mentre altri drappelli si riversarono sui paesi circonvicini.
Pella si vide piombar addosso una masnada di brutti ceffi
che saccheggiarono ed incendiarono le case
uccidendo quei pochi che cercavano difendersi e violentando donne e fanciulle.
Quattro di quei bruti assalirono l’osteria di Aicardo
dopo aver malmenato la madre di Maria ruppero tutto quanto capitò loro per le mani
Maria rifugiata nella sua camera che dava sulla montagna
fu raggiunta colla furia d’un fulmine dai bruti che fracassarono il fragile uscio.
La povera fanciulla era sotto il letto più morta che viva
e nel mentre credeva d’essere salva perché alcuni erano già usciti
si sentì tirare per un lembo della veste.
«C’è una donna qua sotto» gridò un soldato.
Allora tutti le furono attorno, la tirarono per le gambe fuori del nascondiglio
e la spinsero ridendo sul letto.
In quel mentre l’inglese, armato di tutto punto,
piombò come una saetta nella camera e in tre colpi stese al suolo quei birbanti.
Il saccheggio finì e i soldati partirono per far buon bottino in altro luogo.
All’alba del giorno seguente Aicardo giunse trafelato all’osteria che trovò deserta e chiese in giro di Maria.
Gli fecero cenno alla montagna
ma qualcuno sogghignando gli disse di avere visto la sua sposa in braccio all’ inglese.
Aicardo allora si slanciò come una belva fuori della casa
e s’arrampicò sulla montagna del Sasso
fino al nascondiglio che aveva cercato per Maria nei tempi procellosi.
Giunse presto alla casupola e trovò Maria sola, stesa sopra un po’ di paglia.
Non le parlò, le rivolse solo uno sguardo fiero.
«Mio Dio che viso! Aicardo! Aicardo!» gridò Maria
«Alzati e seguimi» le disse accigliato il guerriero.
Maria si lasciò trascinare pel braccio dal soldato
che la condusse fin sulla estrema punta dello scoglio
così stretto che a mala pena poteva starci una persona
ma altissimo che domina la Riviera e scendeva a precipizio fin quasi nel sottostante lago.
«Avanzati» disse Aicardo spingendola verso il lembo «ed in ginocchio».
Maria si abbassò e s’aggrappò alla nuda roccia
toccò l’estrema punta e chiuse gli occhi per le vertigini che l’abisso produceva.
«Raccomanda la tua anima a Dio» le urlò Aicardo
Maria si volse trasognata e al colmo dello spavento
«ma questo è un delitto, io non ho commesso alcun male.
Aicardo, Aicardo, io sono innocente!» singhiozzò la povera donna.
Ma Aicardo tacque. Si asciugò in fretta una lagrima, indi le diede un urto e fuggì.
Maria precipitò col capo all’ingiù nel vuoto della rupe.
In quello stesso momento l’inglese entrava nella casupola
e vedendola vuota, si precipitava fuori. Ma eccogli Aicardo dinanzi!
Alla vista del suo traditore Aicardo gli si avventò contro
e prima che questi avesse potuto profferir parola lo ferì con un lungo pugnale.
L’inglese cadde. Aicardo allora, contento della vendetta, prese a ritornare in paese
ma non aveva fatto che poca strada
quando si abbatté nella madre di Maria che insieme ad altri paesani si dirigeva al Sasso.
Vedendolo tutto scarmigliato e macchiato di sangue
compresero che qualcosa di grave era successo
ma non ebbero nemmeno tempo di muovergli domanda ch’egli già raccontava l’accaduto.
«Ah! miserabile, tu hai commesso due delitti - gridò piangendo la madre di Maria -
l’inglese ha salvato Maria dalle mani dei saccheggiatori
l’ha poi condotta al rifugio ed è tornato in paese per aiutar me».
«Maledizione!» ruggì Aicardo e corse verso il precipizio.
La leggenda dice che Maria nel cadere
si era aggrappata ad una debole pianticella che usciva dalla roccia
ma quando vide la testa di Aicardo sporgere dalla punta del precipizio
fu tale il suo spavento che abbandonò il ramo e precipitò nell’abisso.
La triste fine della bella Maria fu compianta in tutta la regione.
In principio sul luogo fatale si piantò una croce indi poco discosto
si innalzò una piccola chiesa che, ampliata a poco a poco, divenne l’attuale grande santuario.
Antonetta Carrabs
sulla sponda occidentale del Lago d’Orta si erge il Santuario della Madonna del Sasso.
L’antica leggenda narra di Maria e di Aicardo e dell’antico feudo dell’episcopato di Novara
che cambiava sovente padrone nominale.
Fra i soldati nativi della Riviera vi era un giovane valorosissimo di nome Aicardo
salito a grande celebrità per le sue prodezze
negli assedi alla rocca d’Arona, a Novara, a Pavia.
Aicardo tornato al suo lago dopo il servizio militare
si innamorò di Maria, la figlia della taverniera, la bellissima ragazza di Pella
e presto l’ebbe in sposa.
Il bravo giovane era oltre ogni dire felice.
Quando ripartiva da casa gli toccava lasciar la giovane sposa sola con la vecchia madre
ma quando si assentava per molti giorni, nascondeva la sposa e la vecchia madre
sullo scoglio sporgente della montagna del Sasso, proprio ove ora sorge il Santuario.
In tutta la Riviera la bellezza di Maria in men che si dica diventò celebre
tanto ch’ella ebbe a essere il tema delle canzoni
che si cantavano la sera sulle allegre barche del lago.
Dopo qualche tempo si andò a mormore d’un soldato inglese di ventura
avanzo di qualche drappello sceso a combattere in Italia
che sovente compariva nei dintorni di Pella
e che si vedeva a guardare la bella Maria e a seguirla lungo la sponda del lago.
Il bel soldato divenuto grande amico di Aicardo
dopo che gli aveva salvato la vita sotto le mura di Pavia
un giorno si vide passeggiare con Aicardo sulla riva del lago
e discorrere delle nuove taglie che Anchise Visconti aveva imposto agli abitanti della Riviera.
Giunti sulla piazza di Pella Aicardo, di botto, si avvicinò ad un gruppo di persone
chiese se nessuno voleva seguirlo alla rocca d’Angera per un’ambasciata presso il Visconti
onde vedere di essere dispensati dal pagamento delle nuove taglie.
La domanda parve ardita poiché tutti conoscevano il peso delle catene
e l’umido eterno dei sotterranei della rocca
ma alle insistenze di Aicardo due o tre fra i più coraggiosi accettarono di accompagnarlo.
L’inglese non credette di fare altrettanto
dicendo che la sua presenza avrebbe ostacolato l’ambasciata
poiché il nome della sua nazione era poco beneviso al duca
e meno ancora al governatore della rocca.
Il dì seguente Aicardo partì alla volta della rocca d’Angera accompagnato dai suoi compaesani
e non volle per quella volta che la sposa e la madre
si rifugiassero sulla montagna del Sasso
confidando nella sorveglianza promessa dall’inglese.
Anchise Visconti, governatore della rocca d’Angera
accolse con gentilezza gli ambasciatori
udì le loro rimostranze, lodando la bravura e l’intrepidezza degli abitanti della Riviera
e trovò anche giusto che non dovessero pagare le nuove taglie.
Ma quando l’udienza fu finita fece cenno ad un bravo
e nell’uscire Aicardo e i suoi compagni si trovarono accerchiati da una ventina di sgherri
che li legarono e li rinchiusero in una sala ampia ed oscura.
I compagni di Aicardo, che si videro perduti sfogarono contro di lui tutta la loro rabbia
addossandogli la responsabilità dell’avventura
e qualcuno osò anche fare cenno a sua moglie ed all’inglese.
Aicardo all’insulto ruggì una maledizione contro l’inglese
con uno sforzo supremo spezzò la corda che gli teneva legate le mani
staccò una delle scimitarre pendenti dalle pareti
e mentre stava per precipitarsi su colui che aveva ferito il suo cuore la porta della sala si aprì.
Si precipitò all’uscita e uccise gli sgherri sbalorditi dell’inaspettato assalto e fuggì.
Intanto Anchise Visconti edotto dell’insubordinazione dei rivieraschi,
subito spedì al lago d’Orta numerosa soldatesca con l’ordine di saccheggiarne i paesi.
La sera stessa varie bande arrivarono per diverse vie alla Riviera
una masnada si pose a saccheggiare Orta e un’altra l’Isola
mentre altri drappelli si riversarono sui paesi circonvicini.
Pella si vide piombar addosso una masnada di brutti ceffi
che saccheggiarono ed incendiarono le case
uccidendo quei pochi che cercavano difendersi e violentando donne e fanciulle.
Quattro di quei bruti assalirono l’osteria di Aicardo
dopo aver malmenato la madre di Maria ruppero tutto quanto capitò loro per le mani
Maria rifugiata nella sua camera che dava sulla montagna
fu raggiunta colla furia d’un fulmine dai bruti che fracassarono il fragile uscio.
La povera fanciulla era sotto il letto più morta che viva
e nel mentre credeva d’essere salva perché alcuni erano già usciti
si sentì tirare per un lembo della veste.
«C’è una donna qua sotto» gridò un soldato.
Allora tutti le furono attorno, la tirarono per le gambe fuori del nascondiglio
e la spinsero ridendo sul letto.
In quel mentre l’inglese, armato di tutto punto,
piombò come una saetta nella camera e in tre colpi stese al suolo quei birbanti.
Il saccheggio finì e i soldati partirono per far buon bottino in altro luogo.
All’alba del giorno seguente Aicardo giunse trafelato all’osteria che trovò deserta e chiese in giro di Maria.
Gli fecero cenno alla montagna
ma qualcuno sogghignando gli disse di avere visto la sua sposa in braccio all’ inglese.
e s’arrampicò sulla montagna del Sasso
fino al nascondiglio che aveva cercato per Maria nei tempi procellosi.
Giunse presto alla casupola e trovò Maria sola, stesa sopra un po’ di paglia.
Non le parlò, le rivolse solo uno sguardo fiero.
«Mio Dio che viso! Aicardo! Aicardo!» gridò Maria
«Alzati e seguimi» le disse accigliato il guerriero.
Maria si lasciò trascinare pel braccio dal soldato
che la condusse fin sulla estrema punta dello scoglio
così stretto che a mala pena poteva starci una persona
ma altissimo che domina la Riviera e scendeva a precipizio fin quasi nel sottostante lago.
«Avanzati» disse Aicardo spingendola verso il lembo «ed in ginocchio».
Maria si abbassò e s’aggrappò alla nuda roccia
toccò l’estrema punta e chiuse gli occhi per le vertigini che l’abisso produceva.
«Raccomanda la tua anima a Dio» le urlò Aicardo
Maria si volse trasognata e al colmo dello spavento
«ma questo è un delitto, io non ho commesso alcun male.
Aicardo, Aicardo, io sono innocente!» singhiozzò la povera donna.
Ma Aicardo tacque. Si asciugò in fretta una lagrima, indi le diede un urto e fuggì.
Maria precipitò col capo all’ingiù nel vuoto della rupe.
In quello stesso momento l’inglese entrava nella casupola
e vedendola vuota, si precipitava fuori. Ma eccogli Aicardo dinanzi!
Alla vista del suo traditore Aicardo gli si avventò contro
e prima che questi avesse potuto profferir parola lo ferì con un lungo pugnale.
L’inglese cadde. Aicardo allora, contento della vendetta, prese a ritornare in paese
ma non aveva fatto che poca strada
quando si abbatté nella madre di Maria che insieme ad altri paesani si dirigeva al Sasso.
Vedendolo tutto scarmigliato e macchiato di sangue
compresero che qualcosa di grave era successo
ma non ebbero nemmeno tempo di muovergli domanda ch’egli già raccontava l’accaduto.
«Ah! miserabile, tu hai commesso due delitti - gridò piangendo la madre di Maria -
l’inglese ha salvato Maria dalle mani dei saccheggiatori
l’ha poi condotta al rifugio ed è tornato in paese per aiutar me».
«Maledizione!» ruggì Aicardo e corse verso il precipizio.
La leggenda dice che Maria nel cadere
si era aggrappata ad una debole pianticella che usciva dalla roccia
ma quando vide la testa di Aicardo sporgere dalla punta del precipizio
fu tale il suo spavento che abbandonò il ramo e precipitò nell’abisso.
La triste fine della bella Maria fu compianta in tutta la regione.
In principio sul luogo fatale si piantò una croce indi poco discosto
si innalzò una piccola chiesa che, ampliata a poco a poco, divenne l’attuale grande santuario.
Antonetta Carrabs
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