Attilio va in vacanza
La fiera di Lavigna
La
strada che conduceva alla casa del nonno Parmenide passava in mezzo ai boschi,
vicino ai campi arati. Il mare era molto lontano e il mondo sembrava fatto
tutto di colline, di valli, montagne, pascoli e cielo. Tanto
cielo azzurro che in certi giorni di luglio sembrava un grande mare spiumato.
Al mattino presto ci svegliava il canto del gallo, ma quando era il tempo della
fiera, era il rumore dei carri pieni di animali dondolanti, di verdura fresca
appena raccolta che ancora gocciolava di rugiada. La fiera ricorreva sempre
d’estate quando il sole, fin dalle prime ore del mattino, riscaldava le foglie degli
alberi infreddolite dalla frescura della notte appena passata. Le contadine,
con dei grandi cesti in testa, lasciavano dietro di sé un buon odore di
frittata, di pane fresco, di formaggio di mucca ancora caldo di scrematura.
A
una, a una le fette di pane, grandi come le orecchie di un elefante, venivano
posate sulla tovaglia a quadrotti rossi e bianchi stesa sul prato. Le contadine
avevano imbandito di tutto: c’erano salsicce, peperoni, patate lesse
prezzemolate, pasta al forno che filava di mozzarella. E tanta, ma davvero
tanta allegria! Seduti sul prato con le gambe incrociate, gli uomini parlavano
a voce alta e mangiavano di gusto, mentre le donne non finivano mai di riempire
i piatti che straripavano di cibo. C’era un chiacchiericcio nell’aria che si
mescolava al muggire delle mucche legate ai tronchi degli alberi con delle
grosse corde. Tutt’intorno un odore di stalla e di fieno maturo. Le gabbie dei
conigli erano all’ombra, sotto un cespo di biancospino che non aveva smesso di
sbriciolare i suoi petali bianchi, leggeri come ali di farfalle.
La
fiera era una grande festa fatta di sole. Un sole cocente, di quelli che ti
fanno sudare il naso con tante goccioline salate. Ho sempre pensato che per gli
animali la fiera d’estate non era divertente. Lo capivo dal modo in cui si
muovevano. Tiravano la corda che li teneva legati e la mordicchiavano,
insaponandola con la saliva fino a sfilacciarla. Di certo non avrebbero potuto
immaginare quale sorte li attendeva di lì a poco. Qualcuno sarebbe finito di
sicuro arrosto su qualche bel piatto di portata, qualcun altro invece sarebbe
stato venduto e portato chissà in quale luogo, in un’altra stalla. La
fiera, mi diceva il nonno, era l’occasione per concludere affari. Ma cos’erano gli affari?
- Oggi ho fatto un affare, Attilio! Ho comprato quel bel paio di scarpe col tacco.
Ricordi? Quelle che abbiamo visto in vetrina all’angolo della chiesa. Le ho
comprate in saldo. Un vero affare! E così, anche in fiera si potevano fare degli
affari. Il nonno Parmenide mi faceva
notare che, se gli affari erano
andati bene, le donne facevano ritorno a casa canticchiando, mentre gli uomini,
con il cappello ben calato sulla testa e lo stuzzicadenti in bocca,
rallentavano nei passi, fumando con gusto. Da quei passi sicuri e fieri, si
capiva che erano riusciti a vendere una mucca, o un paio di pecore, o qualche dozzina
di galline, di quelle che non covavano più le uova.
-
Figliolo, sarà per l’aria buona della campagna e anche per qualche buon
bicchiere di vino rosso. Eh, eh,eh…di buon vino aglianico. Aglianico rosso
della cantina di Caggiano.
- Che
ridere, nonno! Il signor Pierotto mi fa tanto ridere con quel naso a peperoncino.
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