Lalibela e il mistero delle chiese copte
"Lalibela e il mistero delle chiese copte" un progetto editoriale rimasto in un cassetto per oltre 4 anni. L'ho dimenticato per così tanto tempo ma adesso penso sia giunto il momento di portarlo alla luce. Ho deciso di pubblicarne un breve capitolo per gli amici del mio blog. Siete oltre 24.000 e questo mi riempie di gioia. Grazie.
….Il sole era già alto quando arrivammo presso il piccolo monastero dove ci
venne incontro un diacono e, di lì a poco,
il Myeo. Il suo corpo era avvolto nella lunga veste. Si intravedeva la rotondità
del ventre su cui poggiava una grande croce che oscillava ad ogni passo. Al suo ingresso il diacono si spinse leggermente in avanti in segno di riverenza.
Il Myeo rispose con un semplice gesto della mano. Ci alzammo istintivamente in
piedi. Don Carlos ci fece cenno di sederci. Ricordo attimi di silenzio. Interminabili.
<<Siate i benvenuti a Lalibela e che il Signore vi guidi !>> Ci
disse con voce flebile ma decisa. In quel corpo sgualcito dall’età, riposavano le
sue carni nelle pieghe della veste. Cosa si celava in quella figura misteriosa?
Max aveva ripreso fiato. Glielo leggevo nell’espressione meno contratta del
viso. <<Qualunque frammento di reperto
doveste rinvenire dovrà essere consegnato tempestivamente al nostro
piccolo museo.>> aggiunse il Myeo inquieto. Rimase appeso per un attimo
nell’esile brusìo della voce. Negli occhi un’energia sconosciuta che si accese
come quando il sole fa rilucere i grappoli maturi nel varco di una siepe. Udii
ad un tratto un richiamo dapprima estremamente sottile, poi via, via più distinto. Si scandiva con lo stesso ritmo
con cui lui si avvolgeva nei silenzi. Mi accorsi che chiuse lentamente gli
occhi, uno dopo l’altro, ad intervalli regolari come in certi crepuscoli d’inverno.
Cercai di distogliere lo sguardo soffermandomi nella profondità dello spazio
della stanza, fin sull’angolo della vetrata che avevo davanti dove si era appollaiato
un ragno con la sua ragnatela. Al di là del vetro si intravedevano i molli
contorni della montagna con le sue frange e protuberanze. Sull’estremità
avanzava una nube gigantesca che si distendeva orizzontalmente, tremolando sulla valle. Trascorsero pochi
minuti, ricordo che non avemmo la possibilità di proseguire il dialogo.
<< In nomine Patris et
Filii et….>> fece Don Carlos congedandosi, mentre il diacono lo
seguiva nei suoi passi felpati. Lo vedemmo scomparire dietro la grande porta. Ebbi l’impressione che fosse
stata risucchiata dal buio della stanza. Una volta fuori, ci dirigemmo subito
alla chiesa di Bet Giorgis. Durante il tragitto incontrammo le altre chiese,
veri capolavori di conoscenze, abilità, pazienza e arte. Oggi patrimonio dell’umanità. Una leggenda narra che furono realizzate ben 800 anni addietro su ordine del
re Lalibela, da cui prendono il nome, dopo che Dio gli ordinò di tornare a Roha
per edificarle. Dio stesso gli indicò come disegnarle e come decorarle. Quando
le chiese furono ultimate, al re apparve San Giorgio che lo rimproverò di non
averne costruita una a lui dedicata. Nacque così la chiesa di Bet Giorgis che
fu eretta in un ambito appartato, lontana dalle altre. Ci arrivammo dopo un
breve tragitto e ricordo che la sua visione ci sembrò ”superumana” non soltanto
per le dimensioni, ma soprattutto per le tecniche di costruzione che l’avevano
concepita. Si ispirava alle chiese copte egiziane con elementi bizantini ed
arabi. La forma a croce risaltava nella
spaccatura della roccia. Le sue pareti erano molto spesse al fondo e più esili
verso il soffitto. Guardata dall’alto era veramente spettacolare, di una
possanza impressionante. Restammo inchiodati ad osservarla per alcuni minuti.
<< Mi sembra ci sia una leggenda intorno alla figura di San
Giorgio>> esclamò Andrea. Nella città libica di Silene vi era uno stagno abitato da un essere
mostruoso che uccideva col fiato ogni creatura vivente. Per placarlo i poveri
pastori del luogo gli offrivano due pecore al giorno e quando cominciarono a
scarseggiare le pecore, una pecora e un giovane, estratto a sorte. Quando fu
estratta la figlia del re, passò di lì San Giorgio, che ferì con la sua lancia
il mostro e poi disse alla principessa di legarlo con la sua cintura,
portandoselo in città al guinzaglio, come un cagnolino. Giunto in città San
Giorgio ottenne la conversione del re e di tutta la popolazione, poi uccise il
drago.>> Gli elementi leggendari che si mescolavano intorno alla figura
di questo santo resero ancora più emozionante la nostra missione. Quel luogo misterioso
assumeva sembianze ultraterrene. A completare lo scenario le luci. Riflettevano
sulle vecchie pareti dando risalto al colore rosato delle pietre. Sembravano
ammorbidirsi e respirare allo sfiorare dei raggi del sole. Un sole dai contorni
decisi che si colorava al di là
della valle imbrunita. In quel preciso momento avvertii come una presenza
intorno a me. Era come se un occhio vigile mi seguisse a distanza, in
silenzio. Ebbi l’istinto di guardare verso quella
direzione che mi procurava turbamento ma rinunciai all’idea cancellando quella
fantasia. L’attribuii all’irrazionalità della mente, al sesto senso, alla mia
inquietudine. Incominciammo a scendere nella galleria sottostante alla chiesa dove erano
custodite le ossa di chi aveva voluto essere sepolto lì.
Per istinto, mi voltai
nella direzione temuta. Sulla piccola altura si ergeva il vecchio monastero del
Myeo che si legava alle mura quasi come se stesse sprofondando verso la valle. Cresceva
dalle falde del monte e si ergeva verso il cielo in un ordine kosmos. La
regolarità del terreno aveva permesso quella costruzione in un luogo che si
innervava a strapiombo, favorendo la perfetta visione dello spazio circostante
in ogni suo punto inaccessibile. Lungo le mura meridionali si intravedeva il
campanile, un po’ di sghimbescio e più in là le grandi finestre, quasi all’altezza del tetto della torre centrale. E’ difficile dire cosa provassi.
Scrutai quelle finestre come se nell’angolo di una di esse fossero nascosti
quegli occhi che sentivo su di me. Una condizione indecifrabile che mi balzò
alla mente sovreccitata dagli occhi dell’anima non ancora stanchi e distratti.
In quel momento, lo confesso, disperai dei miei pensieri e, con queste
colpevoli disposizioni di spirito, raggiunsi il mio gruppo all’interno della
galleria dove ci attendeva Anubi, la nostra guida. Via, via che ci addentravamo
nei cunicoli stretti, la luce diventava sempre più fioca, l’aria più fresca. Le
pareti di roccia, sistemate una sull’altra , trasudavano di umido e di tempo in
quel luogo che sembrava un riparo naturale, così ben isolato, quasi un
nascondiglio utilizzato dall’uomo per qualche scopo. Ma quale scopo? Ci
muovevamo sul pavimento di terra seguendo la guida che procedeva nel buio con
agilità felina. Era evidente che conosceva molto bene quei luoghi sommersi. Avrebbe
potuto percorrerli ad occhi chiusi.
Ad un tratto Anubi- colui che vede nel buio- si girò verso di noi e, poggiando la mano
destra sulla parete che aveva davanti, ci disse: <<L’anima katharòs (pura) di Horus riposa e vaga in questi luoghi
libera da secoli, fra i suoi riti sacri , le cerimonie e le preghiere. Ed è qui
che il dio Horus, protegge i morti
purificandoli lungo il difficile viaggio attraverso le dodici regioni della
Duat-n-Ba, in quel cielo notturno che è l’oltretomba. >>. Poi, dopo aver notato un certo interesse da parte nostra, continuò: <<I testi delle Piramidi raccontano il conflitto tra il dio Horus,
dalla testa di falco, e Seth, la
personificazione del male che assassinò Osiride, marito e fratello di Iside,
che come Horus, proteggeva i morti ed era il simbolo di tutto ciò che era
vivo. Seth voleva per sé la bella Iside e per eliminare il rivale ordinò che
Osiride fosse ucciso e smembrato in tredici pezzi. Iside, appena saputo della
morte di Osiride, si mise a cercare i suoi resti disseminati, aiutata dalla
moglie di Seth, Nepthys, che disapprovava le azioni del marito. Le due divinità
trovarono tutto tranne il fallo del dio sventurato, ma Iside ricostruì il suo
corpo utilizzando un membro artificiale, e in questo modo potè concepire il
figlio Horus. Si narra che ebbe una relazione con Seth che mandò Horus su tutte
le furie, spingendolo a dar battaglia al dio dell’Oltretomba, il quale assunse
le sembianze di un maiale nero. Questo conflitto portò alla perdita dell’occhio
da parte di Horus, strappatogli dalla zanna di Seth. L’occhio di Horus – sottolineò Anubi-
è un simbolo che gli egiziani venerano per le sue proprietà talismatiche. Di
certo saprete che Horus è rispettato dai morti perché diede la caccia al
maligno e, per molte sue gesta e affermazioni viene identificato da tutti noi
con la figura di Gesù che, sebbene fosse cresciuto in Galilea, aveva vissuto
anche in Egitto. Noi pensiamo che perfino la croce, il simbolo per eccellenza
del cristianesimo, deriva dagli egiziani.>>
Il racconto di Anubi sulle credenze religiose dell’antico Egitto destarono
in me una forte attenzione. Mi ricordai di aver letto anni addietro alcuni
capitoli del Libro dei morti dedicati interamente ai grandi maestri. Uno di
questi, intitolato “Il libro della dama della casa nascosta” diceva di
contenere segreti importanti ed ordinava al celebrante di non svelarli a nessuno in
modo che alcun profano potesse venirne a conoscenza. Non avrebbero dovuto
essere divulgati in quanto le formule magiche contenute nel testo erano in
grado di evocare forze molto potenti, quindi richiedevano la presenza di un
sacerdote. Queste versioni fortemente simboliche della storia cristiana si
infarcivano riccamente del mistero di quelle gallerie. Ma forse non era questo il punto. Fui
turbata dalle parole di Anubi e, come me, anche i miei compagni, in particolare
Robert che, nel sistemare la pila che aveva sull’elmetto, inciampò e cadde
supino come un involucro vuoto. Con uno scatto fulmineo si alzò da terra si aggiustò
gli occhiali che gli erano scivolati e si ripulì accuratamente i pantaloni imbrattati di terriccio umido. L’episodio
alleggerì l’atmosfera e divertì non poco Anubi che, sghignazzando, si portò
sulla testa il cappuccio della veste, incurvandosi su se stesso. Quel mondo
sotterraneo era freddo e coperto di muschio, ombroso e umido. Non sentivamo
altro che un’eco indistinta di passi lontani. Erano i passi dei sacerdoti e dei
diaconi. Quelle gallerie rappresentavano veri e propri labirinti, si rischiava
di perdersi. Più avanzavamo e più il cunicolo si stringeva verso il fondo dove intravedevo
il soffitto che si incrinava minaccioso. Anubi ci indicò il luogo da
raggiungere. Dopo un breve tratto, arrivammo in uno spazio abbastanza ampio che
favorì il nostro movimento, permettendoci di spostarci con maggiore respiro.
Posammo
per terra gli zaini. C’era stata
segnalata un’infiltrazione dovuta forse ad una falla. Avremmo dovuto prelevare
dei campioni di roccia per poterli poi analizzare. In quel mentre fui attratta
dalle nostre ombre che lievitavano sulle pareti della roccia. Erano
gigantesche, belligeranti. Apparivano come veri e propri guerrieri pronti a combattere.
Quella realtà assumeva contorni grotteschi e di dubbia natura. Erano scenari
oscuri che si animavano misteriosamente, lasciando lo spettatore libero
all’immaginazione. Ebbi la consapevolezza che il racconto di Anubi mi avesse turbata.
Avvertii una tensione dentro di me che mi fece accapponare la pelle. Avrei
preferito scappare come una faina per raggiungere la luce. Via, lontana da
quell’aria gelida, a tratti maleodorante che respiravo nelle narici. Come era
possibile tutto questo? D’altronde non era la prima volta che mi spingevo in
grotte ed anfratti spesso addirittura resi inaccessibili? Cercai con lo sguardo
Anubi e lo vidi raggomitolato in un angolo, la testa che pendeva sulle
gambe portate al petto, le braccia
chiuse quasi a formare un unico ammasso di materia. Quel corpo si confondeva
col nero delle pareti. Non riuscii a vedere
il suo volto seminascosto dal cappuccio….
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