La Via Aurelia di Ponente - Genova
"La Via Aurelia di Ponente, itinerari di fine ottocento"
Pubblicato nel 2017 per l'amore che custodisco per la terra ligure di Ponente, questo libro racconta, attraverso la testimonianza dei poeti e scrittori di fine ottocento, la bellezza e lo struggimento di queste terre che custodiscono ancora oggi un fascino irresistibile. Si percorre la Via Aurelia di Ponente, partendo da Genova, con attracchi lungo le coste di Arenzano, Varazze, Celle Ligure, Albisola, Savona, Bergeggi, Spotorno, Noli, Finale Ligure, Finalborgo, Borgio Verezzi, Albenga, Cervo, Sanremo, Bordighera - Dolce Acqua, Ventimiglia.
Pubblicato nel 2017 per l'amore che custodisco per la terra ligure di Ponente, questo libro racconta, attraverso la testimonianza dei poeti e scrittori di fine ottocento, la bellezza e lo struggimento di queste terre che custodiscono ancora oggi un fascino irresistibile. Si percorre la Via Aurelia di Ponente, partendo da Genova, con attracchi lungo le coste di Arenzano, Varazze, Celle Ligure, Albisola, Savona, Bergeggi, Spotorno, Noli, Finale Ligure, Finalborgo, Borgio Verezzi, Albenga, Cervo, Sanremo, Bordighera - Dolce Acqua, Ventimiglia.
A ovest di Genova, a pochi
chilometri dalla Costa Azzurra, si estende la cosiddetta Riviera
di Ponente, orlata in più punti da spiagge strette e sabbiose, con i suoi colori
pastello, i poggi, i profumi della natura, con le ville liberty e
i giardini mozzafiato a picco sul mare. Il clima è mite tutto l'anno. Sul
finire dell'Ottocento la Riviera di Ponente fu meta di tanti intellettuali,
inglesi e tedeschi, che vi passavano l'inverno. Ancora oggi il Ponente ligure conserva
il suo fascino antico con le sue spiagge, i parchi, i terrazzamenti e i
giardini pensili. La via Aurelia di Ponente rivive nel racconto dei viaggiatori
di tutti i tempi, di coloro che l’hanno percorsa in tempi remoti e ne hanno
raccontato la Bellezza attraverso i loro stralci letterari di prosa e poesia di
fine ottocento. La descrizione dei paesaggi è colore, è lontananza, è raggio di
sole che tracima dalle fronde ma è anche la semplicità delle cose di natura,
della loro morbidezza, del sensuale abbandono, del fascino misterioso e pieno
delle forme della terra, dei luoghi dell’anima ligure che l’occhio sa cogliere.
Un itinerario che narra la presenza di un’umanità attraverso i costumi, le
abitudini e anche le antiche tradizioni culinarie liguri, custodite da Miranda,
che fanno di questi luoghi e di queste genti la loro carta d’identità nel
mondo. ….Nell’ottocento il cavallo, la carrozza e anche il camminare a piedi
possedevano una sottile malìa che il lento cammino generava. La sosta dava la
possibilità al viaggiatore di analizzare le forme, la leggerezza trasparente
delle atmosfere. GENOVA Ze: na Una
bellezza che strazia l’anima (G. Flaubert) GENOVA,
superba per gli uomini e per le mura. (Francesco Petrarca)
La città è una Ianua (porta) tra la terra e il mare. E’ un crocevia di culture e
popoli, fin dall’antichità. Coi suoi carruggi
e gli splendidi palazzi, le sue chiese, le tante facciate decorate da stucchi e
affreschi. Ogni muro, ogni casa ogni palazzo, ogni villa conserva tutto il
fascino dell’antica Repubblica marinara. I paesaggi si susseguono, diversi. La
natura è selvaggia. Dalla costa rocciosa il territorio si trasforma
d’improvviso in dolci colline. Si intravedono ampi terrazzamenti ricoperti da
ulivi e vigneti e la fitta vegetazione dell’entroterra, con le sue distese di
castagno fino al bordo delle valli verdeggianti e dei tanti prati
fioriti. Arrivando da la Spezia si incontra il Golfo del Tigullio racchiuso tra
Moneglia ad est ed il promontorio di Portofino ad ovest: una gemma
incastonata all’estremità di uno dei posti più belli che la natura e l’uomo
potesse creare. Gran parte del centro storico di Genova è stata
dichiarata Patrimonio Unesco. Sulle
cinque del pomeriggio costeggiammo i bei sobborghi di Sampierdarena e
finalmente ci apparve Genova, la quale, vista dal mare, sorgente dalle acque in
forma di anfiteatro, fa un effetto stupendo. A nord, la città si stende per
lungo tratto sui monti, circondata da un doppio ordine di mura, il più esterno
dei quali si vuole che copra 15 miglia di circuito. Il primo oggetto che
colpisce il viaggiatore ancora lontano è un elegantissimo faro innalzato sulla
punta più elevata di una rupe ad ovest del porto; è tanto alto che in un giorno
sereno si scorge alla distanza di 30 miglia. Volgendo le spalle al faro si vede
il molo che costituisce il porto di Genova. Fu costruito con gran spesa ai due
lati della baia, così da formare due magnifiche gettate sul mare. Entrambe,
alla loro estremità, sono provviste di un altro faro più piccolo e sono difese
da cannoni di bronzo. Nel mezzo c’è il porto, tanto ampio e tanto avanzato nel
mare che quando il vento di sud o sud-ovest è forte, riesce molto dannoso alla
navigazione ed al caricamento delle navi. Entro il molo vi è anche
un porto più piccolo, chiamato Darsena, per le galee della Repubblica. La
nostra gondola entrò nel porto e, scivolando rapida tra un gran numero di
vascelli grandi e piccoli ivi ancorati, ci condusse all’approdo. (Tobias George Smollet, 1765)
I dintorni di Genova,
verso Ponente, anche se meno romantici che a Levante, erano ricchi di ville,
chiese, monasteri che suggerivano l’idea di grande opulenza e di lusso. La strada
era così in buono stato e ben livellata che raggiungemmo senza fermarci Savona,
distante nove poste, all’una, e qui pranzammo. Poche miglia dopo Savona, vicino
a Noli, incontrammo un bel tratto della nuova strada, scavata, per più
di un miglio, di fronte ad un precipizio, alto due o trecento piedi, a picco
sul mare. Le ondate si infrangevano un centinaio di piedi sotto di noi, le
rocce sporgenti si elevavano per un altro centinaio a perpendicolo sopra le
nostre teste. La strada era larga
dodici-quattordici piedi e raramente munita di un parapetto. Il giovane
nizzardo spinse spesso le ruote della carrozza a un passo dallo spaventoso
precipizio, per farmi onore, come i Turchi salutano gli stranieri puntando i
cannoni caricati quasi sulle lor teste! (James Johnson, 1831) La poesia piange bene,
canta bene, descrive male. Il più breve tratto di matita di un disegnatore o il
colpo di pennello di un pittore, valgono tutto Omero, tutto Virgilio. Preferisco il fremito di
una vela sulle onde orlate di schiuma di questo bel golfo, preferisco l’ombra
di un pino trafitto da una cascata di raggi di luna su questa spiaggia;
preferisco i grandi rami di un castagno di queste montagne curve sotto il vento
tiepido, sonoro e profumato dell’Appennino, che i due o trecento versi i cui ho
cercato di fermare quella notte. Impotenza dell’arte, impotenza soprattutto
dell’artista, davanti alla potenza della natura.. (Alphonse de Lamartine, Al paesaggio nel golfo di Genova, 1826)
All’alba tuonar di
cannoni. Dinnanzi alla prua un porto gigantesco e una città che poggia, con
edifici di sette piani, su tre o quattro colline. Lungo i pendii di queste
ondeggia il verde dei giardini che nascondono misteriosamente tra le loro
fronde il bianco marmo delle ville dall’architettura elegantemente voluttuosa.
La città è Genova. Nel grande porto sventolano bandiere di tutti i paesi e
trovano rifugio sia i grandi transatlantici, che fanno rotta per le Americhe,
sia i velieri e i piccoli vapori che, attraverso il Mediterraneo, vanno in
Grecia e nel mar Nero. In un porto come quello di Genova, vasto e
frequentatissimo, si ammira la grandezza della civiltà presente che può
sembrare prosaica alle menti offuscate dall’amore per l’antico e che non sanno
apprezzare la poesia delle sue grandiosi proporzioni. Nel centro del porto, in
quel lago quasi infinito d’acqua verdastra e tranquilla, sulla quale sembra
trascinarsi la foschia del mattino, passano rimorchiatori che sciamano come
ronzanti mosche e corrono a trascinare le fregate lente e boccheggianti, che
entrano con la velatura ammainata e come ciechi si lasciano guidare da piccoli
cagnolini. Sullo sfondo si eleva la città italiana dal carattere
inconfondibile, sporca ed allegra come un gaio ragazzo che non si lavi mai la
faccia. Genova ostenta case bellissime di sette piani con persiane verdi. Le
finestre sono pavesate con la biancheria appena lavata che viene impudicamente
esibita a gocciolare sul passante. Genova è la città dei contrasti, dei grandi
palazzi e dei miseri caruggi. In alto, sulla cima delle colline, giardini
lussureggianti, ville marmoree, veri nidi d’amore che fanno ricordare i
voluttuosi alberghetti francesi del tempo della Reggenza; in basso, vicino al
porto, quartieri che sono veri ghetti con viuzze strette e sotterranee, dove le
grondaie si toccano e tre persone non possono camminare fianco a fianco per la
ripida discesa dell’acciottolato. (Blasco
Vicente Ibànez, 1896)
Ecco come si presentava Genova al viaggiatore dalle colline di S. Benigno, confine naturale della città, con la sua veduta concentrata attorno al porto e scarsamente edificata sulle colline, con la ferrovia che passava davanti a Villa Rosazza, con i giardini del Principe Doria a Fassolo, la Basilica di Carignano, il Molo Vecchio e quello Nuovo, la Lanterna.
….pioveva a dirotto quando passammo per i sobborghi di Genova e anche andammo molto piano dietro ai tram e ai camion, il fango schizzava sul marciapiede così che la gente si affrettava a rifugiarsi nelle porte della casa quando ci vedeva arrivare. A san Pier d’Arena, il sobborgo industriale di Genova, c’era una larga strada con delle rotaie da una parte e dall’altra, e ci tenemmo nel mezzo per evitare d’infangare gli uomini che ornavano a casa dal lavoro. Alla nostra sinistra avevamo il Mediterraneo. C’era mare grosso, le onde si rompevano e il vento ne portava gli spruzzi fino all’automobile. Il letto di un fiume che quando eravamo passati venendo in Italia era largo, asciutto e pieno di pietre, adesso scorreva in piena e l’acqua arrivava fino agli argini. Quest’acqua fangosa scolorava quella del mare e quando le onde rompendosi si assottigliavano e diventavano bianche, anche l’acqua gialla si schiariva e fiocchi di spuma, portati dal vento, volavano attraverso la strada…(Ernest Hemingway)
Ecco come si presentava Genova al viaggiatore dalle colline di S. Benigno, confine naturale della città, con la sua veduta concentrata attorno al porto e scarsamente edificata sulle colline, con la ferrovia che passava davanti a Villa Rosazza, con i giardini del Principe Doria a Fassolo, la Basilica di Carignano, il Molo Vecchio e quello Nuovo, la Lanterna.
….pioveva a dirotto quando passammo per i sobborghi di Genova e anche andammo molto piano dietro ai tram e ai camion, il fango schizzava sul marciapiede così che la gente si affrettava a rifugiarsi nelle porte della casa quando ci vedeva arrivare. A san Pier d’Arena, il sobborgo industriale di Genova, c’era una larga strada con delle rotaie da una parte e dall’altra, e ci tenemmo nel mezzo per evitare d’infangare gli uomini che ornavano a casa dal lavoro. Alla nostra sinistra avevamo il Mediterraneo. C’era mare grosso, le onde si rompevano e il vento ne portava gli spruzzi fino all’automobile. Il letto di un fiume che quando eravamo passati venendo in Italia era largo, asciutto e pieno di pietre, adesso scorreva in piena e l’acqua arrivava fino agli argini. Quest’acqua fangosa scolorava quella del mare e quando le onde rompendosi si assottigliavano e diventavano bianche, anche l’acqua gialla si schiariva e fiocchi di spuma, portati dal vento, volavano attraverso la strada…(Ernest Hemingway)
da La
Via Aurelia di Ponente di Antonetta Carrabs Bonaccorso ediz. 2017
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