Bombalooo- La nascita dell'agnellino
Sull’albero più grande, quello vicino al fiume, si posavano sempre stormi di uccelli che becchettavano, svolazzando di foglia, in foglia senza stancarsi mai. Spesso mi divertivo a camminare nei solchi induriti lasciati dai carri, oppure saltellavo nelle impronte che i cavalli della fattoria della signora Bruna avevano lasciato sul terreno morbido del sentiero. I signori Pierotto avevano una fattoria molto grande, con tante mucche al pascolo. Qualche volta, quando il nonno era stanco del lavoro dei campi, andavo da solo alla fattoria a prendere il latte. Mi piaceva molto percorrere quell’antico sentiero di ulivi. I tronchi degli alberi erano irregolari, con qualche protuberanza. Tornavo a casa stringendo fra le braccia la bottiglia ricolma di latte bianco, cremoso, ancora caldo di mungitura.
- Che buon profumo aveva il latte di fattoria! Un profumo di panna…
- Le mucche di Luigi fanno un buon latte, Attilio - mi diceva il nonno- Ti fa bene berlo, perchè è latte genuino. Le nostre mucche mangiano solo fieno o erba fresca di collina.
La fattoria dei signori Pierotto era molto grande, con un’aia infinita, tutta calda di sole. Nell’aria c’era sempre un buon odore di pane fresco appena sfornato e di terra di campagna. L’ingresso della fattoria era delimitato da un recinto, fin lungo il porticato, dove i polli dormivano qua e là, mentre le galline chiocciavano al fresco di un grande albero di fichi bianchi. Erano così tanti che, alcuni fichi più maturi, si erano lasciati cadere dai rami spiaccicandosi a terra. Dovevo fare attenzione a dove mettevo i piedi se non volevo ritrovarmi con qualche bel fico bianco fra le dita dei piedi. Pallino non abbaiava più quando mi vedeva. Col tempo aveva imparato ad annusarmi. Mi rincorreva scodinzolando fra le gambe e saltellandomi intorno come una pallina.
Quante volte mi aveva mostrato i denti! Si trascinava dietro la grossa catena e non la smetteva più di abbaiare fino a quando non usciva qualcuno a farlo smettere.
-Pallino, vai a cuccia! Vieni Attilio stai attento a non inciampare. –
La signora Bruna ripeteva sempre la stessa frase. La signora Bruna portava sempre un foulard in testa. Era rosso con dei fiori bianchi. Ai piedi aveva due grossi scarponi di cuoio. Due scarponi enormi, troppo grandi. Forse erano del signor Pierotto. Lui sì che aveva due piedoni giganteschi. Un giorno si accorse che ridevo mentre la guardavo camminare. Era goffa, davvero buffa. Per evitare che gli scarponi le sfuggissero dai piedi, dava dei colpi di assestamento sbattendo i piedi sul terreno. Ora con il piede destro, ora con quello sinistro. Oh, quel giorno non riuscii davvero a trattenermi! Ridevo di gusto coprendomi la bocca, ma ahimè, la signora Bruna se ne accorse.
- Cosa c’è che ti fa tanto ridere patata? – mi disse guardandomi un po’ seccata-
Avvampai di colpo e farfugliai qualcosa. Non ricordo cosa. La signora Bruna sembrò non dare peso alle mie parole. Meno male! La fattoria della signora Bruna aveva animali di tutte le specie. Quella fattoria era un piccolo mondo racchiuso ai piedi della valle. Il porcile era in fondo alla stalla con il grunc, grunc, grunc dei maiali che si rotolavano in una specie di fango melmoso. Erano sporchi e grassi. Tutte le volte che passavo di lì davo una sbirciatina veloce e mi tappavo il naso. C’era una puzza insopportabile nell’aria, davvero sgradevole. Mi entrava nelle narici e mi dava un senso di nausea. Il signor Pierotto mi prendeva sempre in giro per questo.
- Ehi Attilio, va là che ti fa bene respirare la puzza dei miei maiali. E’ sempre meglio che respirare l’aria cattiva della città. Ah, ah, ah!
Rideva con la bocca aperta e metteva in mostra quei denti sottili ingialliti e anneriti dal fumo. Mamma mia quanto fumava! Dovevo accelerare il passo cercando di stare attento a non imbattermi in qualche gallina che starnazzava libera nell’aia. Una volta ho visto il gallo inseguire minaccioso una gallina. Quel suo pennacchio rosso in testa si muoveva ondulando di qua e di là. Nell’inseguimento le sue zampe saltellavano veloci sulla legna, sul muretto vicino al cancello di ferro, sullo sgabello del signor Pierotto fino a rovesciarlo, mentre la gallina correva zampettando veloce, come ubriaca, in cerca di un rifugio.
- Coooocco- coooocco –coooccodè….- povera gallina! Oh, quanto avrei voluto prendere quel gallo dispettoso per la coda e scuoterlo come un tappeto.
-Oggi è nato un agnellino, Attilio. Vuoi vederlo?- mi chiese d’un tratto la signora Bruna.
- Si, mi piacerebbe molto, signora Bruna- risposi immediatamente.
Un agnellino! Non avevo mai visto un agnellino appena nato. Era rannicchiato sotto la pancia della mamma. Aveva la pelle rosea come quella di un bambino. Che tenerezza! Tutt’intorno c’era della paglia fresca che odorava di fieno maturo.
-Lo abbiamo chiamato Luna perché è nato alle prime luci del mattino. Nel cielo c’era ancora la luna - racconta commossa la signora Bruna.
Luna! Si, davvero un bel nome per un agnellino, pensai divertito. Ricordo che fu la prima cosa che raccontai al mio amico Filippo quando ritornai a casa. Avevo visto un agnellino appena nato, che emozione! In città non capita mai. In città non ci sono né galline, né conigli, né agnellini, né mucche. Insomma niente di tutto quello che vedevo in campagna. Ricordo che Irene, in prima elementare, aveva chiesto alla maestra se la gallina avesse le corna come la mucca. La maestra Rossana all’inizio aveva riso, poi le aveva mostrato l’immagine di una gallina sull’alfabetiere. Quel giorno la maestra Rossana ci raccontò la storia degli animali della vecchia fattoria. Io conoscevo molto bene gli animali della storia della vecchia fattoria e pensai che i miei compagni non erano poi così tanto fortunati come lo ero io. Io avevo la fortuna di andare ogni estate dal nonno Parmenide e di galline ne vedevo tante, tutti i giorni. Oh, quanto mi piaceva esplorare la campagna! Spesso facevo un piccolo tratto di strada sterrata, fino al fiume. Mi fermavo a guardare le acque che riflettevano il colore degli alberi con i loro rami carichi di frutti e di foglie verdi. Se ero fortunato mi capitava di vedere qualche anatra che nuotava indisturbata. Nuotavano a fior d’acqua senza fare rumore. Le vedevo venire avanti starnazzando mentre lasciavano una lunga scia nell’acqua che si incurvava se cambiavano direzione. Riprendevo il mio cammino quando si allontanavano così tanto da non riuscire più a seguirle con lo sguardo. Mi incamminavo lungo la strada in salita, verso un piccolo ponticello di legno. Da lassù si apriva ai miei occhi una grande distesa di prato spruzzato di fiori che fremevano se tirava un venticello sottile. Quella campagna odorava di frutta, di bosco, di latte, di fieno maturo. Era la campagna del nonno Parmenide. Ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo: un piccolo sentiero, una pianta, il trillo di un uccellino, un nido fra i rami, un nascondiglio. La natura, che cosa meravigliosa!
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