Le "Signore" di Monza - Giornata internazionale della donna

                                        
 
La Regina Teodolinda e il Duomo di Monza
La Regina Teodolinda è identificata la più affascinante e eminente tra le regine dei Longobardi, Teodolinda ci appare come un esempio insuperato di sovrana saggia e pia, capace, nonostante la propria condizione femminile e la complessa situazione in cui si trovò a operare, di svolgere un ruolo di rilievo nelle vicende politiche e religiose della sua epoca, affiancando entrambi i mariti nel difficile tentativo, che giungerà a compimento solo un secolo dopo con Liutprando, di dare vita a un regno di portata nazionale, frutto del superamento delle divisioni religiose e della pacifica unione dell’etnia longobarda e di quella romana, nonché fondamento di quel Regnum Italiae che tanta parte avrà nella storia dell’Europa medievale.
 
La complessa storia conservativa delle Storie di Teodolinda registra, oltre a numerosi interventi sulle pitture, anche un tentativo di radicale distruzione agli inizi del Settecento, fortunatamente sventato dal cardinale Erba Odescalchi, che ne promosse la copia a disegno da parte di un pittore locale. Purtroppo un sedicente restauratore Valentini Napoletano grattò via tutto l’oro, impiegato a profusione dagli Zavattari. Un importante momento è segnato dai lavori eseguiti in cappella da Luca Beltrami alla fine dell’Ottocento, che comportarono anche la pulitura dei dipinti e la realizzazione di una prima sistematica campagna fotografica, opera di Carlo Fumagalli. Una seconda campagna, questa volta a colori, fu realizzata a seguito del restauro diretto da Ottemi Della Rotta nel 196061. Studi sistematici, in funzione di un nuovo intervento complessivo, furono condotti nel 1989-91.
 
La cappella degli Zavattari è un prezioso esempio di opificio del quattrocento. La sua decorazione pittorica, risalente alla metà del XV secolo e dedicata alle Storie di Teodolinda, distribuite in 45 scene, si presenta come un sentito omaggio alla sovrana longobarda che aveva fondato la chiesa e nello stesso tempo come una testimonianza del delicato passaggio dinastico che si stava allora profilando nel ducato di Milano tra la famiglia dei Visconti e quella degli Sforza, cui rimandano i simboli araldici dipinti nelle incorniciature e le allusioni metaforiche al matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza presenti nelle immagini. Con le opere superstiti di Michelino da Besozzo, di Pisanello e di Bonifacio Bembo, alle quali è intimamente legato sotto il profilo stilistico, il ciclo di affreschi della cappella è considerato uno dei capolavori della pittura del gotico internazionale in Italia, nonché il più importante esito dell’attività degli Zavattari: una famiglia di pittori milanesi attivi in Lombardia per tutto il Quattrocento, che ci viene presentata dai documenti come una vera e propria dinastia di artisti, composta dal capostipite Cristoforo, responsabile tra il 1404 e il 1409 di alcuni lavori nel Duomo a Milano, da suo figlio Franceschino, anch’egli operoso nel Duomo di Milano dal 1417 al 1453, e dai tre figli di quest’ultimo, Giovanni, Gregorio e Ambrogio, con i quali Franceschino lavorò probabilmente a Monza e, solo con gli ultimi due, alla Certosa di Pavia. La serie è conclusa da Franceschino II, figlio di Giovanni e fratello di Vincenzo, Gian Giacomo e Guidone.

ETIAM  
Andava la regina Teodolinda con il mantello rosso e i suoi pensieri fra i fiori e i cieli silenziosi con la veste di broccato e d’oro nel vento e nelle nuvole ubriache di luce.
Andava nell'aria, al luminar del sole che faceva brillare anche la corona.

Al suo passaggio il fiume si gonfiava fino all’orlo e lavava le radici degli alberi gli uccelli, gli insetti e i cespugli danzavano sulle onde delle acque i rami del mirtillo tremavano inquieti e la luna della sera lottava tra le foglie per baciarle l’orlo della veste d’oro.
Quel giorno le nuvole erano basse sulla linea azzurra i fiori di senape erano sbocciati nel gorgheggiare degli uccelli e la vita era una goccia di rugiada su una foglia di loto.

La semplicità del grande mondo fremeva sul prato di corolla in corolla alla pigra armonia del vento e cantava il ritmo dei suoi passi da un ramo solitario vibrando attraverso i campi fino al fiore rotondo e piccolo e dolce. La luce d’oro danzava sulle foglie sulla terra molle e sui ruscelli delle colline accarezzati dalla brezza lieve. La bianca colomba volava nell’aria leggera qui è il luogo, disse l’uccello alla regina.

Congiunse le mani Teodolinda nel volgere lo sguardo. Il suo cuore in silenzio come un fiore quasi una cosa sola con gli alberi e le viole.
si  le rispose e si commosse alla rivelazione della bianca colomba che aveva indicato il tempio alla regina. Alzò le braccia al cielo Teodolinda a quella melodia d’azzurro a tutte le cose sante e a tutte quelle belle.( A. Carrabs) 

Marianna de Leyva, la monaca di Monza
 
Marianna de Leyva, divenuta Suor Virginia Maria meglio nota come la Monaca di Monza (Milano, 4 dicembre 1575 – Milano, 17 gennaio 1650), è stata una religiosa italiana, protagonista di un famoso scandalo che sconvolse Monza agli inizi del XVII secolo.Figlia primogenita di un nobile spagnolo, il conte di Monza Martino de Leyva y de la Cueva-Cabrera, a tredici anni fu costretta dal padre a entrare come novizia nell’Ordine di San Benedetto; a sedici anni pronunciò i voti e diventò la monaca suor Virginia Maria, dal nome della defunta madre.
A fare scalpore fu la sua relazione (durata dal 1598 al 1608) con un uomo, il conte Gian Paolo Osio, dalla quale nacquero almeno due figli, un maschio nato morto o deceduto durante il parto e una bambina, che Osio riconobbe come propria figlia, Alma Francesca Margherita (8 agosto 1604), affidata alla nonna paterna, ma vista sovente dalla madre. L’amante di suor Virginia, che già in precedenza era stato condannato per omicidio, uccise tre persone per nascondere la tresca, ma fu scoperto, condannato a morte in contumacia e poi assassinato il giorno prima della sua condanna da un uomo ritenuto suo amico.
L’arcivescovo Federico Borromeo, messo al corrente della vicenda, ordinò un processo canonico nei confronti della monaca di Monza: al termine del procedimento suor Virginia fu condannata a essere “murata viva” nel Ritiro di Santa Valeria, dove trascorse quasi quattordici anni chiusa in una stanzetta (2,50 x 3,50) priva quasi completamente di comunicazione con l’esterno, ad eccezione di una feritoia che permetteva il ricambio di aria e la consegna dei viveri indispensabili.
Sopravvissuta alla pena, rimase a Santa Valeria fino alla morte. La sua notorietà è dovuta soprattutto al romanzo I promessi sposi, nel quale Alessandro Manzoni si ispirò alla storia di questa imbarazzante vicenda, enfatizzando però gli eventi, cambiando ad esempio la composizione della famiglia, la cronologia, particolari biografici e il nome stesso degli amanti che diventano Egidio e suor Gertrude.
 
Maria Teresa D’Austria e la Villa Reale di Monza
 
Nel 1777 l'imperatrice d'Austria Maria Teresa, madre di Ferdinando, ordinò la costruzione della Villa Reale di Monza quale residenza estiva per la coppia arciducale, che inizialmente si era stabilita nella Villa Alari di Cernusco sul Naviglio. La scelta ricadde su Monza per la " salubrità dell'aria e l'amenità del paese", ma anche e soprattutto per la sua strategica posizione, nella direttrice tra Milano e Vienna: la capitale imperiale.
 
 
L'incarico della costruzione, ultimata in soli tre anni, fu affidato all'architetto imperiale Giuseppe Piermarini, che in seguito progettò anche i Giardini Reali annessi alla villa,creando un sistema di spazi a verde che prevedevano l'unione di un giardino formale, di un giardino all'inglese e di un grande parco venatorio esteso fino alle rive del Lambro.Ferdinando utilizzò la Villa come propria residenza di campagna fino all'arrivo delle armate napoleoniche nel 1796, che lo costrinsero a ritirarsi a Modena, presso la corte del duca Ercole III d'Este, abbandonando la città di Milano. Nel 1803, alla morte dello suocero, Ferdinando ottenne il Ducato di Brisgovia e Ortenau, ereditando il titolo anche per Modena e Reggio. Dopo aver ceduto, nel 1805, il Ducato di Brisgovia e Ortenau al Granducato di Baden, morì l'anno successivo alla corte diVienna. 
Dopo la morte di Ferdinando, Eugenio di Beauharnais, nominato viceré del nuovo Regno d'Italia nel 1805, fissò la sua residenza principale presso la Villa di Monza, che assunse il titolo Reale. Tra il 1806 e il 1808 per suo volere, al complesso della Villa e dei Giardini fu annesso il vasto Parco recintato, destinato a tenuta agricola e riserva di caccia.
 
Margherita di Savoia e la Villa Reale di Monza


Donna incantevole e dal grande fascino, la Regina Margherita viene ricordata soprattutto per la sua spiccata personalità. Il suo matrimonio con Umberto I non fu certo tra i più felici, eppure Margherita riuscì sempre ad esercitare una forte influenza sulle scelte di Umberto. Le sue grandi doti di intuito politico e la spiccata capacità di accattivarsi l’entusiasmo popolare ne fecero una figura amata in tutta Italia. La Regina amava molto la città di Monza ed era molto legata alla Villa Reale.La Villa fu il dono di nozze di Vittorio Emanuele II al principe Umberto, erede al trono del Regno d’Italia, e a Margherita di Savoia, uniti in matrimonio nel 1868. Margherita amò da subito questo luogo, nonostante fosse anche legato ai momenti dolorosi e tristi del rapporto travagliato con il marito Umberto.

Con la reggia monzese la principessa stabilì da subito un legame profondo: le stanze del primo piano recano l'impronta personale di lei, impegnata nella scelta degli arredi e delle suppellettili. Umberto e Margherita, divenuti sovrani nel 1878, soggiornarono sempre volentieri a Monza ogni anno tra il giugno e l'ottobre sino all'infausto 1900. Margherita rinnovò profondamente la vita della corte sabauda a Roma come a Monza, aprendola alla mondanità e alla cultura.


Alla corte di Margherita in una specie di circolo o salotto intellettuale della regina, si ritrovarono filosofi, scrittori, uomini pubblici Era la giovane regina un'apparizione di bellezza e gentilezza che esercitava un profondo fascino.
Lettera di Albina Magi Puccini a Sua Maestà la Regina Margherita di Savoia
Albina Magi Puccini, rimasta vedova, con più figli, non riuscendo a garantire al figlio Giacomo il proseguimento degli studi musicali, rivolse alla Regina Margherita una richiesta di aiuto economico. Attraverso la marchesa Pallavicini riuscì a inoltrare una domanda di borsa di studio di lire 100 mensili che venne benevolmente accolta dalla sovrana. Dal 1880 al 1883 Puccini, infatti, beneficiò di questo sussidio che gli permise la frequenza al Conservatorio di Milano. Albina scrisse una lettera di ringraziamento alla Regina per la sua munificenza.
Lucca, 27 aprile 1880
Altezza Reale, Tutti noi sudditi conosciamo ed apprezziamo le vostre rari doti di mente e di cuore che possedete. Siete animata da quello spirito di carità che in Voi è sempre acceso ed è divenuto modello di pietà, come modello di squisita cortesia sia nelle parole che negli atti. 
Voi siete vicina al popolo, per meglio conoscerne i bisogni e poter beneficarlo con intelligenza. Serbo ancora religiosamente la lettera di Vostra Maestà in cui annunziaste il Vostro benefico interessamento all’apprendimento musicale di mio figlio Giacomo. La Vostra prodigalità ha schiuso a mio figlio un orizzonte più ampio. Voi siete una mirifica fata del bene, incline ai più nobili sentimenti. La gratitudine dell’intera mia famiglia e mia per la Vostra generosità d’animo sarà eterna.
La Vostra devota
 Albina Puccini

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