Emanuele Severino e il senso della pena
La mia intervista al filosofo Emanuele Severino
Da Epicureo a Bernardo di Chartres, passando per l'uccisione
di Saddam Hussein. Una chiacchierata con Emanuele Severino, ospite venerdì
scorso al teatro Manzoni in occasione della prima serata de "Abitatori
del tempo" «Il più terribile dei mali, la morte, non è dunque nulla per
noi; poiché quando noi siamo, la morte non c'è, e quando la morte c'è, allora
noi non siamo più», scrive Epicureo nelle "Lettere sulla felicità".
Cos'è la morte e fin dove legittima la
soppressione dell'uomo come persona?
"Cominciamo a dire che il ragionamento di Epicuro non sta
in piedi. Lui dice che quando noi ci siamo la morte non c'è e quando noi non ci
siamo più la morte c'è; ma quando noi non ci siamo più non ci importa niente
che la morte ci sia. È quel non esserci più che è il tragico. La morte è
il non esserci più quindi, quando lui dice che non ci riguarda, altro che,
che ci riguarda. Lui stesso confessa il momento in cui noi non siamo più. E,
detto da Epicuro, vuol dire quando noi siamo nulla, noi non abbiamo a che
fare con la morte, ma la morte è proprio il diventar nulla".
È stato vantaggioso, per la pace in Medio
Oriente, sopprimere Saddam Hussein?
"Anche lì, durante la conferenza, ho ripetuto quello che
avevo già detto in una trasmissione tv. Replico, dicendo che questo ancora
non possiamo affermarlo perché non si può escludere che se lo si fosse
lasciato in vita, se ne sarebbe fatto riferimento per coloro che attualmente
intendono contrapporsi al mondo occidentale, al mondo democratico e quello
statunitense".
Ai posteri l'ardua sentenza?
"Per risolvere questo problema bisogna attendere il
futuro. Chi ci dice che è più pericoloso averne fatto un martire che non
averlo tolto di mezzo? È una prova, un esperimento. Dicevo anche a Giuliano
Ferrara che non so quale sarebbe stata la mossa migliore".
Quando la comprensione giuridica della
pena capitale è determinata dal contesto politico?
"Questa faccenda della discussione sulla pena di morte
inflitta a Saddam deve essere considerata all'interno di uno stato di guerra.
È indubbio che c'è uno scontro tra il fondamentalismo islamico e il mondo
occidentale. In guerra il profilo che acquista la pena di morte è quello di
un atto militare che è stato certamente anche questo condotto male come tante
altre operazioni militari fatte dagli Americani".
Un aspetto che l'ha colpita
particolarmente?
"Ciò che più ha scandalizzato è stata la dignità con cui Saddam
è andato al patibolo. Io stesso sono rimasto colpito dalla dignità di
quest'uomo che era completamente lucido. E questo è stato terribilmente
controproducente. È anche vero che è stato un errore da parte del personale,
a cui gli Americani hanno affidato Saddam, non preoccuparsi che uno di loro,
col cellulare, fotografasse la scena e la diffondesse".
Scatti che hanno girato il mondo.
"Quello è stato l'aspetto peggiore perché se noi avessimo
sentito parlare della morte di Saddam senza quell'immagine, sarebbe stata
tutta un'altra cosa. Quell'immagine ha mostrato un uomo di grande dignità che
va alla morte in quel modo. Tanto di cappello, se è quello, per il modo in
cui ci è andato. Questo lo dicevo per dire che la pena di morte va vista nel
contesto di un quadro militare, anche se mal condotto come altri atti
militari e quindi all'interno di un conflitto, nel quale non si possono tirar
fuori le motivazioni che di solito si tirano fuori normalmente".
Un'affermazione di Bernardo di Chartres
dice: «Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più
cose di loro e più lontano (...) perché siamo sollevati e portati in alto
dalla statura dei giganti». Esprime questo l'antica idea dell'accumulo della
conoscenza?
"Il concetto della tecnica viene spesso equivocato perché
si crede che io faccia vedere l'inevitabilità del dominio della tecnica.
Punto stop, no! Punto a capo! Nella nostra situazione storica la tecnica è
destinata al dominio, alla vittoria ed è vano criticarla con gli strumenti della
nostra tradizione culturale. E questa vittoria, e lo vado dicendo ahimè da
decenni, questa situazione storica è il processo in cui si ha la follia
dell'inizio dell'Occidente più rigorosa. Prima la follia è incoerente, per
cui diventa coerente". Comunemente la follia è sinonimo di
pazzia..."Uso la parola follia nel senso in cui per esempio Marx dice
che il capitalismo è una follia. E, no, la follia è ben più ampia. Per avere
un punto di riferimento potremmo parlare della follia di chi vuole essere come
Dio. Anche quella è ridotta rispetto alla follia di cui parlo io quindi non è
che mi limito ad esaltare la tecnica punto e basta, ma esalto la coerenza che
la tecnica ha rispetto alla tradizione culturale e, parlando di follia, dico
che i mortali non sono i nani ma i giganti, ma anche le pietre. Quando
l'altro giorno parlavo della teoria della relatività, quando Heinstein dice
il passato e il futuro non sono meno reali del presente, vuol dire sono reali
come il presente".
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