La poesia è verità
Parlare di poesia
è come parlare della mia vita. Ho sempre avuto un’attenzione verso la parola e
il suono fin dall’infanzia soprattutto per ragioni linguistiche familiari.
Vengo dalla Valle d’Aosta, con un cognome straniero. Non ho avuto una lingua
materna, ma ben quattro lingue materne: la lingua valdostana di mia madre che
parlava il piemontese, essendo nata vicino ad Ivrea; la lingua
franco-provenzale di mio padre e il dialetto della Valle d’Aosta: una lingua
incomprensibile per chi non la conosce, con dei suoni che non esistono né in
italiano, né in francese. Sono nato in una regione italiana con una forte
immigrazione interna, i miei compagni di scuola erano bergamaschi, calabresi,
una tale torre di Babele che, per capirci, dovevamo fare appello alla lingua
italiana nazionale; il dialetto di mia
nonna e per finire la lingua francese, non patriottica, la lingua del nemico
che a scuola non potevamo usare. All’età di 8 anni decisi di inventare
una mia lingua, la mia quinta lingua. Con l’utilizzo del dizionario
italo-francese, sceglievo le parole e le traducevo nella mia lingua. Maturai
nel tempo una vera ossessione per la lingua e per la parola. Viviamo oggi- continua Gorret- in
un’epoca confusa, difficile. Siamo in un periodo buio, soprattutto per la
poesia: mai nella storia del mondo la richiesta di poesia sia stata così bassa,
come in quest’epoca che stiamo vivendo. Basta chiedere a una qualsiasi casa
editrice il numero delle copie dei libri di poesia che vengono venduti oggi in
Italia e si ha immediatamente la percezione di quanto disinteresse ci sia per
la poesia. Si vendono centinaia di
milioni di copie di libri di narrativa, ma nessuna richiesta per i libri di poesia.
Come mai?
Poeti come Luzi, Sanguineti,
Zanzotto se ne sono andati senza essere
ascoltati dal popolo italiano. I poeti scrivono per il proprio popolo. Molti
poeti della mia generazione stanno rischiando la stessa sorte, quella di non
essere letti e ascoltati. La nostra epoca è quella che insegue il
benessere materiale, fisico, psicologico, sessuale. Un ideale che accomuna
tutti, dal novantenne al quindicenne. Tutto questo provoca tragedie in termini
di disagio, di sofferenza tra docenti e discenti, tra genitori e figli. Sembra
che il motto di oggi sia STARE BENE DURANTE LA VITA. E poi la politica, la politica di oggi. Se gli italiani avessero
una classe dirigente in grado prendersi l’onere e l’onore di guidare il nostro
Paese, anche la poesia sarebbe inserita nelle loro agende, esattamente come per
il pil. L’Italia di oggi, purtroppo,
non ha classi dirigenti, ma classi di approfittatori. Nel mondo alto della
politica di oggi, nella finanza alta, fra gli intellettuali alti si condivide
solo un’idea. La poesia non produce PIL, non rende ricchi, non importa. Oggi
c’è il disprezzo per tutto quello che non rende in termini di profitto. Io
credo, invece, che sia questo il momento per fare poesia, proprio oggi che la
poesia è snobbata dal potere, proprio oggi che è umiliata. Durante la campagna per le ultime
elezioni presidenziali francesi un politico, invece di parlare di pil durante un comizio, recitò una
poesia. Fu subito scandalo. Il giorno dopo la stampa francese l’attaccò: aveva
soltanto la colpa di aver recitato dei versi di un grande poeta francese. Io penso che la
poesia italiana di oggi abbia tutti i numeri per contare. Di solito quando si
tocca il fondo si ha la forza di rimbalzo; durante una crisi, una volta toccato
il fondo, si può rimbalzare. E allora tocca a noi, a tutti noi che amiamo la
poesia fare in modo di coltivarla, di narrarla, perché mai come in questo
periodo la poesia è libera. Oggi che al potere non interessa la poesia è
totalmente libera e potente di fronte ai poteri economici e politici. La poesia è verità, la poesia racconta
la verità al mondo. In un mondo in cui tutto è relativo, se non coltivi questa
relatività sei un brontosauro. Il poeta, a differenza degli altri, non ha paura
di essere fuori moda, di essere contro la moda del potere.
Non esiste, oggi, un linguaggio che
abbia la forza della poesia: non ce l’ha il linguaggio politico falso, non ce
l’ha il linguaggio della scienza, arrogante, non ce l’ha il linguaggio della
finanza, ingannatore. La poesia invece ce l’ha perché non può sopportare
l’ingiustizia del mondo. Il mondo è nelle nostre mani, ogni atto di ribellione
è già poesia, un semplice NO è un verso di poesia. Io non ci sto che tutto il
mondo sia solo risorsa, acqua, beni artistici. La poesia mi fa venire in mente una
strana lingua- prosegue Gorret- che non è più prosa e non è ancora musica: in
mezzo alla musica e alla prosa c’è una potenza
terribile. Il poeta sente la poesia ovunque nel
mondo: nella filastrocca di un bambino c’è poesia, nell’urlo del condannato
ingiustamente c’è poesia, nella bellezza della lingua morta come il latino c’è
poesia, nella canzone popolare c’è poesia, anche in una canzonetta ci può
essere poesia. Scrivete poesia, ma prima di scriverla
fate un’operazione di declassage: togliete quella patina di sporco, di unto
appiccicato alla parola e ridatele la pulizia, la trasparenza non inquinata
dall’uso. Studiate l’etimologia della
parola e combattete il linguaggio fisso dei politici, dei giornalisti.
Combattete il loro linguaggio stereotipato che non fa di loro degli uomini
liberi. Fatela risorgere, dategli luce, andate verso le cose, lasciatevi
ospitare dalle cose che il mondo di oggi rifiuta. Se lo farete, sarete dei
rivoluzionari.
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