La poesia e il suo centro


 ...celebrerò la gloria della terra/quando si accende nei mattini/ Celebrerò la bellezza di ciò che è trasparente/ di ciò che è traslucido/ di ciò che è scintillante/ di ciò che è chiaro.
Donatella Bisutti, milanese, narratrice, saggista. È giornalista professionista, ma è soprattutto una delle voci poetiche più significative della letteratura italiana contemporanea. La sua poesia è fatta di silenzi che diventano intensità dove la mente respira e incontra la bellezza come puro esercizio di sopravvivenza entrando nella vertigine del vero e dell’arte.

…nasce dentro di me un diverso canto/il canto dell’anima rimasta senza guscio/non vedo il buio fuori dalla finestra/ è lui che vede me nella sua cecità…(Donatella Bisutti)

Eugenio Montale nel discorso tenuto all’Accademia di Svezia nel 1975, in occasione del conferimento del Premio Nobel, disse: sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo, e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Il poeta ha la capacità di modificare il mondo con la sua libertà, con la sua verità; la poesia è un grido d’amore generalizzato per la vita, non ha tempo. È un canto corale, è la sorgente di ogni musica.

In occasione della Giornata Mondiale della Poesia, su invito della Casa della Poesia del Marocco, Donatella Bisutti ha scritto un messaggio diffuso nelle scuole, istituzioni e TV in tutto il mondo arabo, secondo una tradizione annuale a cui in passato hanno già aderito tra glia altri, i poeti Giuseppe Conte e Yves Bonnefoy.

Un giorno senza pane, ma non un giorno senza poesia (Baudelaire)


 
La poesia può salvarci la vita?

Questa domanda fa eco al titolo di un mio libro fortunato, che si intitola appunto La poesia salva la vita. Titolo che vuole affermare una verità in cui io credo fermamente: e cioè il carattere taumaturgico della poesia. A patto però di avere ben presente che la poesia, intesa in questo senso, non è qualcosa al di fuori di noi bensì qualcosa che è dentro di noi, che fa già in certo modo parte di noi dall’inizio, fin dalla nostra nascita, in quanto possibilità innata di un approccio alla realtà profondamente diverso da quello che ci viene poi appreso nel corso di una spesso fuorviante educazione (da e-ducere latino, trarre fuori, e quindi anche “fuori strada”). Perché la poesia ci mette davanti all’esistenza di quel mistero di cui ha tanto scritto il filosofo rumeno Lucian Blaga. Ci mette davanti al significato profondo della realtà, dando un senso al continuo intrecciarsi incomprensibile della vita e della morte. La poesia è la parte “magica” di noi, che dobbiamo scoprire, o riscoprire. Con particolare urgenza oggi, quando sembra per lo più giacere sepolta sotto cumuli di detriti. E così il più delle volte non emana nemmeno un debolissimo raggio della sua luce e noi le viviamo accanto del tutto inconsapevoli.

Il mondo sembra infatti aver perso la sua chiave magica, scambiandola con una card che apre centri commerciali, negozi di lusso, centri di fitness, realtà virtuali, su fino alle stanze dei bottoni: la card del benessere, del lusso, del potere. Non bisogna però pensare alla poesia con ad una panacea per spiriti afflitti, o un tranquillante. E nemmeno con una droga. La poesia non è lì per acquietarci, o per trasportarci in mondi virtuali. La poesia non è un’evasione, un sogno. Se quello che vogliamo è evadere, stordirci, possiamo trovare intorno a noi mille proposte diverse, ma tutte ingannevoli. La poesia invece ci vuole consapevoli. Più consapevoli. È qualcosa che ci stimola, che ci dice che non dobbiamo fermarci alla superficie delle cose, alle loro apparenze. Perché quello che veramente conta, per l’essere umano, si trova al di là di esse.Quante persone oggi cercano vanamente surrogati di una felicità irraggiungibile e per questo soccombono?

Quanti vivono in modo disarmonico, pericolosamente dissociati da quei ritmi profondi ed eterni che dovrebbero scandire la vita dell’uomo?

Quanti si fanno prendere dal panico perché la vita e il mondo sembrano essere privi di centro, non avere un senso? I valori etici, e anche i valori sociali, umani, familiari sono sempre più sbiaditi. La poesia invece ci riporta verso un centro, perché ci mette in contatto con la parte più profonda di noi, ed è lì che possiamo trovare quel cordone ombelicale che unisce l’uomo all’universo che lo circonda. Solo scendendo a questa profondità possiamo scoprire e attivare tutte le nostre potenzialità, che vanno ben al di là del nostro intelletto razionale e hanno a che vedere con l’immaginazione e con l’intuizione creatrice. L’esistenza di un centro interiore, in cui il piccolissimo si può coniugare con l’immenso, è quella per cui Omero definiva Eumeo “divino”, benché fosse solo un umile guardiano di porci. Quella in cui anche noi possiamo ritrovarci “divini”.

Ed è proprio di entrare in contatto con questa nostra qualità “divina” che abbiamo soprattutto bisogno. Non dobbiamo lasciarci allettare da un pensiero utilitaristico, teso all’unico scopo di arrivare, attraverso la scienza e la tecnologia, a dominare il mondo. A possedere dei beni. Il benessere materiale ha certo importanza, ma se diventa l’unico scopo, o lo scopo predominante, rischia anche di proiettarci nell’assurdo, nell’aridità spirituale, nell’aggressività e in definitiva nella distruzione, in una dimensione, appunto, simile a quella fittizia ed esaltante della droga. Il linguaggio della poesia non vuole catalogare, separare, definire, e non procede per schemi e contrapposizioni. Questo tipo di linguaggio produce fratture permanenti e insuperabili. Questo linguaggio, legato alla materialità dell’Avere, rischia oggi di distruggere non solo noi stessi ma anche il nostro pianeta. La poesia invece, attingendo alle qualità originarie e ancestrali di un linguaggio fatto di parole che sono insieme significato ed emozione, non separa, ma ricompone la nostra totalità psichica, ci riconduce a una unità, ricordandoci che l’uomo è una creatura insieme di gioia e di dolore, di pensiero e di sentimento, di intelletto ma anche di cuore, e il cuore vive di misteriose corrispondenze. E ci insegna, queste corrispondenze, a farle – a rifarle nostre. Al posto della scienza, mette la Sapienza.

Questa è l’indicazione preziosa e insostituibile che il suo linguaggio “magico”, a cui nessun altro assomiglia, l’unico capace di coniugare la nostra mente raziocinante con il nostro inconscio profondo, quello in cui la nostra anima si congiunge all’“anima del mondo”, quella di cui parlava il filosofo greco Platone e in tempi più vicini a noi il grande poeta irlandese Yeats. In questo senso penso che la poesia può aiutarci a salvare la nostra vita, arrestando il cieco e disperato istinto di fuga che nasce in noi come frutto della separazione e dell’estraniamento, del non saper accordare armonicamente le esigenze del nostro corpo con quelle del nostro spirito. L’approccio alla realtà di cui la poesia ci dà la chiave ci permette di riscoprire nell’uomo una dimensione di grandezza, quella che ben conoscevano gli antichi, ma che troppo spesso e in troppi luoghi del mondo la nostra contemporaneità minimizza e svilisce, con gli esiti disastrosi che sono ogni giorno di più sotto i nostri occhi. (Donatella Bisutti)

La poesia può davvero salvarci la vita?

Per il poeta si, è possibile. La poesia può aiutarci ad arrestare il disperato istinto di fuga che nasce dentro di noi come frutto della separatezza e dall’incapacità di non riuscire con armonia a fondere le esigenze del nostro corpo con quelle dello spirito. Leggete la Poesia, scoprirete la chiave per accedere a quel centro interiore, in cui il piccolissimo si può coniugare con l’immenso.


La seconda Lectio è dedicata alla poesia di un altro poeta italiano: Guido Oldani.

Questo nostro tempo è il tempo della censura: è vietato implicitamente pensare. Mai come in questa era gli oggetti sono così tanto amati, così come i mistici fanno con Dio. Ci siamo ormai identificati con gli oggetti, definitivamente. Tutto diviene a immagine e somiglianza dei prodotti che rappresentano il termine di paragone e addirittura l’origine della parola. Ne deriva che la figura retorica della similitudine si è rovesciata, così il gabbiano somiglierà ad un aeroplano e non più viceversa. Il nuovo linguaggio si caratterizza, quindi, attraverso, una semantica mutata. Oggi è la natura che fa riferimento all’oggetto e non più viceversa. Eppure, se pensiamo solo per un istante a Leonardo da Vinci, alla sua grande creatività che attingeva dalla natura, alle numerose scoperte che questo processo aveva determinato, non possiamo fare a meno di diventare orsi. Viviamo la grande rivoluzione estetica e di linguaggio, viviamo l’epoca della similitudine rovesciata, della figura retorica. Quando ho capito che stavo vivendo in un altro mondo, sono diventato un orso, un orso più di quanto lo sia stato prima. Un orso che ama il falco, perché, come me, anche lui ama la solitudine; quando mi capita di incrociarlo, appollaiato sui fili della luce, provo sempre un senso di invidia per questo rapace in grado di vivere in solitudine, mentre guarda il mondo dal suo osservatorio privilegiato. Ho scelto di frequentare meno i miei amici poeti perché ho avvertito la sensazione che stessimo perdendo tempo. (Guido Oldani)

 

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