Un grumo di amaritudine
La morte di mio padre
Lunedi 4
maggio 2009 ore 19,00
Oh, luce, luce che mi manchi!
Nell’essere, sei stato ramo luminoso da cui pende il fruttonell’essere, sei stato al pari del respiro degli alberi
di ogni erba, di ogni risorgiva fonte.
Prendo tempo nel brulichio di questo tuo silenzio
che occupa il sole, ’acqua, la terra.
Un grumo di amaritudine
la trafittura che brucia e cuoce
e il crepuscolo di questo gorgo che si attarda.
Una porta bianca
dietro i vetri il tuo fiato nelle membra sgonfie
e poi il culmine raggiunto.
Si apre l’infinito spazio
ma quiete ci sarebbe stata?
Và, Padre
non turbinare in altra necessità
segui il movimento delle sfere
le crociere degli stormi
In alto
ancora un pocoper trasmissione del cuore
nel limbo del sole di maggio.
Mi piaceva di vederlo felice
nella sua illusione di essere tanto forte quando, invece, era debolissimo. Ho
cercato di mettere nelle mie mani tutta la dolcezza cha ha invaso il mio cuore,
ho cercato di toccare quel corpo con le mie parole che egli non poteva sentire. Come avrei fatto a fargli sapere
che l’amavo tanto? Là, in quel corridoio che si
strozzava sulla destra, oh, quante volte il mio sguardo si è posato nella
speranza di ascoltare il respiro di mio padre, al di là del rumore degli zoccoli degli infermieri che si
acceleravano e finivano in una sosta! Nel mio cuore di quei giorni i
suoi occhi: ancora un po’ foschi, non ancora aperti alla luce. Il mio silenzio! Il mio silenzio
è l’ultimo ricordo di quella giornata. Poi sono seguiti altri giorni in cui
ogni ora somigliava all’altra. In quella stanza, io, spettatore passivo e
regolare nell’assaporare il mio dolore per mio padre e per me. Nel tuo sonno non dimenticarmi.
In queste notti di maggio, finchè il mio cuore è ancora sul tuo ramo, le stelle
mischiate alla pioggia fine mi guarderanno coi tuoi occhi, nudi e fragili come
gli occhi di un bimbo. Una scala di note infinite, sfumature per chi ti ha
conosciuto a fondo, da cui traspare tutta l’intensità della tua vita, della semplicità
dei tuoi gesti semplici che custodivano l’essenza e il valore della
quotidianità. Era la tua essenza dell’esistenza, la tua poesia per la vita
senza l’obbligatorietà di doverne capire ogni emozione. Entro nei tuoi occhi come in un
bosco pieno di sole per dirti ciò che di più bello non ti ho ancora detto.
Starei davanti a te che mi guardi ancora coi tuoi frutti carichi di miele e
farei echeggiare il mondo del tuo amore. Saresti inaccessibile nel momento
stesso in cui ti afferro, ma dammi un po’ della tua infinità affinchè io possa piantarla
con gli ulivi, fra le montagne, verso la piana. Fa che la tua assenza non corra
nelle mie notti ma possa posarsi in una cesta colma di frutti illuminata da noi
due. Lancio la corsa alle tue braccia
per trovare quel varco dove la luce ancora in me s’arrosa e stringo le tue radici
nel futuro che apre la mattina, quando il vento tace e tu spieghi di luce le
mie vele. E poi straripo in te, fino all’albeggiare di ogni tuo sorriso.
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