EMILY DICKINSON "un mare su uno stelo".
«Io ho vissuto soltanto di vita interiore, sogni, libri e la vita di famiglia… quasi tutte quelle che si chiamano emozioni io le ho vissute attraverso la poesia…se leggo un libro che mi geli tutta così che nessun fuoco possa scaldarmi, so che è poesia. Se mi sento fisicamente, come se mi tagliassero la testa, so che è poesia. Questi sono gli unici modi che ho di conoscerla… Ve ne sono degli altri?»
Nessuno del suo tempo capì i suoi versi
particolarissimi nel metro, nel ritmo, nella rima così stravaganti rispetto
alla lingua e alla tradizione. I critici, nel tempo, li definirono metaforici,
impressionisti, futuristi. Emily non volle mai pubblicare nulla «Mette all’asta la mente/Chi dà alla
stamperia» diceva e si arrabbiò quando, senza il suo permesso, fu inviata
ad un giornale una sua poesia. Scriveva a lapis alla rinfusa, su pezzi di carta
qualunque, su vecchie lettere, su buste, su ricevute. Fa delle sue poesie tanti
pacchetti. È la seconda metà
dell’ottocento. E lei in poesia fa la rivoluzionaria. Ma in silenzio, al di là
della sua porta chiusa dove trascorse, per
scelta, gran parte della sua vita. Scrisse circa 1800 poesie compiute, 2357 in
bozza e almeno 1150 lettere e altra prosa. In tutto 3507 scritti che mai volle
pubblicare. Le lunghe lettere e i carteggi riempivano la sua vita e
sollecitavano la presenza lontana e sfuggente del mondo. Carteggi che vennero
poi in parte distrutti, dietro richiesta della stessa poetessa, dalla sorella
Lavinia.
“Sono piccola come uno scricciolo, i capelli
ribelli come un riccio di una castagna, gli occhi come lo sherry che l’ospite
lascia nel bicchiere.” dirà di sé, in una lettera a T.W. Higginson, il critico letterario. Di lei esistono
solo due immagini, un quadro a olio in cui è ritratta con i fratelli Lavinia e
Austin e un dagherrotipo più volte ritoccato. Emily si screditava, diceva di
essere “l’unico canguro” in mezzo a
tante bellezze. Eppure, dalle immagini che restano di lei, vediamo che aveva un
collo armonioso, un viso delicato, occhi vivaci e osservatori, capelli rossi raccolti dentro una reticella nera,
lentiggini, una bellezza contenuta. «Mio padre mi
compra molti libri ma mi scongiura di non leggerli, perché teme mi confondano
le idee -scriveva- la mia vita è
stata troppo semplice e severa per mettere a disagio chicchessia» Vivevano
in una grande casa con un giardino pieno di fiori. «È il ranuncolo tra i fiori – scriverà Emilyn - proprio il capriccio mio/ Siam nati nel frutteto, lui ed io… Poi
c’era un pollaio, una stalla, un granaio, un orto. L’orto confinava con il
cimitero. La casa aveva grandi stanze, un’ampia cucina, dai muri verde pallido,
le porte e le finestre erano di un colore giallo cupo. Fuori i rami appesi
luccicavano quando il sole li toccava.
«Presso la mia finestra ho io per scena/Un mare su uno stelo/ Se all’uccello e
al villano sembra un pino, / Quanto a me non ho nulla di ridire»
«Stanno facendo le grandi pulizie, preferisco
la peste»
- ripeteva. Emily era inquieta. Di lei nel villaggio la gente andava ripetendo: “è stramba, è forastica. Figurarsi, se ne sta
sempre chiusa in una stanza a far poesie sgrammaticate. Dov’è la punteggiatura?
E quelle parole in latino che significano mai?” Il severo critico americano Harold
Bloom nel suo “Canone Occidentale” scriverà “Ad eccezione di Shakespeare, la
Dickinson dimostra più originalità cognitiva di qualsiasi altro poeta
occidentale dopo Dante”. Emily non scrisse tragedie o poemi epici, ma
meditazioni liriche di incredibile complessità intellettuale. In una lettera all’amico Thomas Wentworth Higginson
scrive: “Se la fama mi appartenesse, non riuscirei a
sfuggirle – in caso contrario il giorno più lungo mi sorpasserebbe mentre ne
vado a caccia – e l’approvazione del mio cane mi abbandonerebbe – dunque –
preferisco la mia Condizione Scalza” Si
entusiasma per le idee del filosofo Ralph Waldo Emerson. Scrive: «Io sono viva, credo». Sì, è viva e
appassionata, intelligente e ruvida. E’ affezionatissima al cane Carlo che
resterà sedici anni con lei. E’ turbata da travolgimenti sentimentali per
alcune compagne di scuola che, una volta diventate mogli e madri, smettono di
rispondere alle sue lettere ardite e inquietanti. Con uguale trasporto Emily
sceglie corrispondenti maschi a cui invia lettere, biglietti di San Valentino,
poesie. Sono giornalisti o avvocati che conosce presso lo studio del padre,
sono sposati, ma a lei non importa. A lei bastava accendere la fiamma, non
vuole per sé il destino delle altre donne. Scrive centinaia
di versi e lettere intrise di passione a Sue, sua cognata, moglie di suo
fratello Austin. “Oh, miele di un’ora! La
tua virtù io non conobbi mai” C’è una lettera in particolare che scrisse
nel giugno del 1852 alla giovane cognata. I toni sono molto appassionati. Secondo
alcuni illustri critici, ci rivelano un amore profondo, che andava ben oltre il
semplice legame d'affetto e di parentela tra due cognate.
Che l’Amore è tutto
È tutto ciò che sappiamo
dell’Amore.
Senza cercare quindi di stabilirne limiti e confini, le lettere di Emily
Dickinson a Susie traboccano di questo tutto."A Susan Gilbert, 11 giugno 1852
In
questo pomeriggio di giugno, Susie, ho un solo pensiero, e quel pensiero
riguarda te, e una sola preghiera: cara Susie, anche quella riguarda te. Che tu
e io, mano nella mano, come facciamo dentro di noi, possiamo vagabondare
lontano, nei boschi e nei campi, come fanno i bambini, possiamo dimenticare
tutti questi anni, dimenticare affanni, e tutte e due ridiventare bambine – ci
riuscirei, se fosse così, Susie, e quando mi guardo intorno e mi ritrovo sola,
di nuovo sospiro per te; sospiri brevi, sospiri inutili, che non ti
riporteranno a casa. Ho bisogno di te ogni giorno di più, il mondo che è già grande diventa
sempre più vasto, il numero di coloro che amo sempre più piccolo, ogni giorno
che passa e che tu sei lontana – mi manchi, tu cuore mio grande: il mio cuore
se ne va in giro a vuoto e chiama Susie – gli amici sono troppo preziosi perché
ce ne si separi, sono troppo pochi, e quanto presto se ne andranno là dove tu
ed io non riusciremo a trovarli, non dimentichiamolo tutto questo, perché il
loro ricordo, ora, ci risparmierà molte angosce, per quando sarà troppo tardi
per amarli! Mia dolce Susie perdonami, tutto quello che ti dico – ho il cuore
pieno di te, nessun altro all’infuori di te nei miei pensieri, eppure quando
cerco di dire parole che non riguardano il mondo, il mondo mi viene meno. Se tu
fossi qui – oh se solo lo fossi, Susie mia, non avremmo assolutamente bisogno
di parlare, perché i nostri occhi bisbiglierebbero per noi, e la tua mano
stretta nella mia, non avremmo bisogno della parola – cerco di avvicinarti
sempre di più, scaccio le settimane fino al punto in cui sembrano del tutto
dissolte, poi mi immagino che tu sia arrivata, e mi immagino mentre cammino
lungo il sentiero verde per venirti incontro e il cuore mi scappa di mano e ho
un gran da fare a riportarlo al passo e a insegnargli ad essere paziente, fino
al momento in cui arriverà la dolce Susie. Tre settimane – non possono durare
per sempre (……) Diventerò
impaziente ogni giorno di più fino al momento in cui quel giorno arriverà,
perché fino ad ora non ho fatto altro che piangere e lamentarmi in attesa di
te: adesso comincio a sperare. Cara Susie, ho cercato in tutti i modi di farmi venire in mente che cosa
ti avrebbe dato piacere, una qualche cosa da spedirti – poi alla fine ho visto
le mie piccole Viole, mi supplicavano di lasciarle andare, così eccole qui – e
con loro, quale Guida, un briciolo di erba che gli farà da cavaliere, che
parimenti mi chiese il favore di accompagnarle – sono solo piccole, Susie, e
temo non più profumate, ma ti parleranno degli affetti di casa, di quel
qualcosa fedele che “mai si assopisce nè dorme”. Tienile sotto il cuscino,
Susie, ti faranno sognare cieli azzurri, casa, il “paese benedetto”!
(…) Ora, Susie, addio, Vinnie* ti
manda saluti affettuosi, la mamma i suoi, e io ci aggiungo un bacio,
timidamente, per paura che ci sia lì qualcuno! Non lasciare che guardino, lo
farai Susie? Emilie –”
Probabilmente
la poesia accompagnava dei fiori. Ma "Questi" potrebbero anche essere
il vero dono inviato all'amico: i versi stessi. Molto bella l'immagine finale:
ci accorgeremmo veramente del familiare splendore delle stelle soltanto se
sparissero e ci lasciassero al buio, incapaci anche di trovare la strada di
casa.
Elogio del
diverso, di colui che sta fuori dal mucchio, simboleggiato dal leopardo: fiero,
prezioso, e con la consapevolezza di esserlo. Il mondo però non ama coloro che
ambiscono a troppa libertà. Sono quelli che non vogliono essere imprigionati in
gabbie metaforiche sorvegliate da guardiani. E allora non guardate con
disprezzo il povero leopardo: è stato costretto a lasciare la sua terra, ad
abbandonare le fiere regioni del dubbio e della ragione; compatitelo e sappiate
che niente potrà lenire o sostituire quel ricordo di palma che si porta dentro.
Una simbolica ribellione di Emilye contro il perbenismo e la noia che la
circondava, tutto il contrario di Asia, Etiopi, palme, ori, raso, leopardi. Ma
in fin dei conti lei si era rinchiusa volontariamente nella sua gabbia,
lasciando aperta la porta interiore a tutto il mondo che voleva.
La civiltà -
disprezza - il Leopardo!
È stato il Leopardo - sfrontato?
I deserti - non frenarono mai il suo Raso -
Etiope - il suo Oro -
Fulvi - i suoi Costumi -
Ne era Consapevole -
Maculata - la sua Bruna Veste -
Questa era la natura del Leopardo - Signori -
Occorre - un guardiano - arcigno?
Compatite -
il Leopardo - che lasciò la sua Asia!È stato il Leopardo - sfrontato?
I deserti - non frenarono mai il suo Raso -
Etiope - il suo Oro -
Fulvi - i suoi Costumi -
Ne era Consapevole -
Maculata - la sua Bruna Veste -
Questa era la natura del Leopardo - Signori -
Occorre - un guardiano - arcigno?
Memorie - di Palma -
Non possono essere soffocate - con Narcotico -
Né soppresse - con Balsam
L'amore che la vita ci concede è solo una fibra di un
qualcosa di cosmico, panteistico, o anche di quell'amore perfetto che sogniamo
sapendo di non poterlo mai raggiungere; un qualcosa che è parte integrante
della creazione, che ha reso possibile il mistero del giorno, dell'eterna luce
del sole, che ritarda il giorno del giudizio per farci godere le gioie della
vita. Ma si manifesta anche nella bellezza sfuggente e inafferrabile della
musica, nella pena struggente e indeterminata che proviamo alla fine di un
giorno; nel nostro ammirato sgomento di fronte ai ciclici miracoli dell'alba e
del tramonto. È un qualcosa che ha in sé il tutto. E sappiamo che il suo fine
ultimo non può essere altro che il paradiso. È una poesia che apparentemente
non pone dubbi interpretativi è come se volesse trasmettere l'impossibilità di
cogliere l'essenza del mistero dell'amore.
L'Amore
che una Vita può mostrare Quaggiù
È solo un una fibra, lo so, Di quella cosa più divina Che svanisce nel volto del Mezzogiorno - E percuote lo Stoppino nel Sole - E ritarda l'Ala di Gabriele -
È ciò -
che nella Musica - allude e ondeggia -
E all'estremo dei giorni d'Estate - Distilla un'incerta pena - È ciò che innamora a Oriente - E tinge il Transito a Occidente Di straziante Violetto -
È ciò -
che invita - sgomenta - concede -
Volteggia - balugina - prova - dissolve - Ritorna - suggerisce - condanna - incanta - Poi - si getta nel Paradiso –
EMILY DICKINSON Amherst 10 dicembre 1830 - Amherst 15 maggio 1886
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