GABRIELE DEL GRANDE incontra i detenuti di Sanquirico

 
Abbiamo incontrato Gabriel Del Grande che ci ha presentato Dawla (che significa Stato Islamico) il suo ultimo libro.  L’associazione Zeroconfini Onlus e, nello specifico, Antonetta Carrabs ha contattato su nostra richiesta lo scrittore. Avevamo avuto modo di leggere due dei suoi precedenti libri che si occupavano di migranti: “Mamadou va a morire” e “Il mare di mezzo”. Abbiamo incontrato Gabriele in biblioteca alla presenza di qualche volontario e del giornalista della rivista Vita Daniele Biella. L’incontro è durato all’incirca tre ore in cui Del Grande ha spiegato che Dawla nasce da un’esperienza sul campo durata 18 mesi e sostenuta attraverso un’azione di crowdfunding: 1342 i sostenitori. Alle domande sulla sua prigionia in Turchia dove ha potuto incontrare alcuni affiliati dell’Isis, lo scrittore non ha negato la paura della prigionia che è stata facilitata grazie alla sua conoscenza dell’arabo. Ha descritto i suoi terribili giorni in isolamento che lo hanno portato a fare lo sciopero della fame fino all’arrivo del suo avvocato e del console italiano. Gli abbiamo chiesto anche di descrivere lo storytelling e del perché la scelta di una narrazione così “asciutta” della narrazione geopolitica. “Solo per raccontare – ci ha risposto - non per umanizzare, né per giustificare.” Sulla copertina del libro si nasconde un significato metaforico dove si vuole porre l’attenzione sulla protesta che poi porta alla rivoluzione siriana del 2011 con l’esercito libero, i terroristi dell’Isis e l’esercito ufficiale di Al Asad. E’ difficile scrivere senza lasciarsi trasportare dagli eventi soprattutto quando si parla di persone che si sono resi responsabili di crimini efferati. Gabriele ci ha tratteggiato una realtà complessa, raccontandoci dei meccanismi di potere e di assoggettamento che spingono qualunque persona a commettere crudeltà di ogni genere: lo stato islamico ha attratto migliaia di persone da tutto il mondo. Il libro racconta la banalità del male e il viaggio del reporter tra Iraq, Turchia ed Europa durato 6 mesi con una raccolta di testimonianze della durata di 200 ore di registrazioni, 2 mila pagine di battitura. I personaggi del libro, dall’attivista politico siriano, all’hacker giordano e l’avventuriero iracheno entrano nelle gerarchie più alte dell’organizzazione. Abbiamo percepito in Gabriele una grande umanità e umiltà ma soprattutto abbiamo apprezzato la sua onestà intellettuale. Ha risposto alle nostre domande, anche a quelle più scomode come quelle sulla spartizione della Siria, sul ruolo delle potenze internazionali, degli Stati Uniti della Russia e dell’Iran dove sono emersi interessi economici dovuti al controllo di alcune zone sensibili. E’ triste il bilancio finale di questi conflitti che hanno provocato la morte di oltre  500.000 vittime civili, confinando e destabilizzando interi territori che vivono nell’odio e nel risentimento di chi ha perso tutto, dei tanti bambini indottrinati e condotti al fanatismo.
 
“Dawla” recensione di Andrea

In quest’ultimo libro lo scrittore narra la sua storia dal punto di vista dei carnefici. Nei suoi libri precedenti: Mamadou va a morire e Il mare di mezzo il racconto volge sulle storie dei migranti che trasmigrano dall’Africa in Italia. Il libro è di scorrevole lettura e racchiude le storie di 3/4 protagonisti che si intrecciano e poi convergono tutte nello stato Islamico. Si parla di religione, con le diverse interpretazioni coraniche, la divisione fra sunniti e sciiti, la rivoluzione siriana del 2011, gli ottomila combattenti stranieri arrivati da tutto il mondo, valichi di frontiera, le tecniche di addestramento dei terroristi, il trafugamento dei reperti archeologici, l’attenzione verso le minoranze curde ed ezide, il carcere. Il racconto delle battaglie, dei corpi speciali, degli attentati suicidi, dell’albero genealogico dell’Isis che risale molto più in alto di Al Baghdadi, scomodando gli ex generali iracheni di Saddam Hussein, la sicurezza segreta, interna ed esterna. Un viaggio estenuante ma appassionato che ha portato Gabriele ad intervistare ex affiliati dell’organizzazione fino ad essere recluso a Reyhanli in Turchia, lungo la frontiera siriana, nell’aprile del 2017. La storia del siriano che partecipa alla rivoluzione del 2011 e che, deluso dall’evolversi del conflitto per la corruzione dell’esercito libero contro Assad, approda nell’organizzazione e diventa importante sia all’interno della Hisba, la polizia religiosa, sia nella sicurezza interna. La sua diserzione alla fine è dovuta alla disillusione, poi il matrimonio con una sopravvissuta alla prigionia lager di Saydnaya, la moglie che non lo riconosce più.
 
L’incontro tra l’esoterismo, la collusione tra la fine del mondo  con alcune interpretazioni islamiche e la carcerazione nello stadio nero, l’elité degli Inghimasiydin, gli incursori, i martiri e poi nuovamente la diserzione. L’avventuriero iracheno spinto da un ex colonnello dell’Isis fino ai viaggi in Italia, le cellule dormienti e gli attentati in Europa. L’eroismo dei curdi a Kobane e d Afrin, prima sostenuti e poi abbandonati dall’occidente, amore e morte, rabbia e sentimenti e concezioni opposte sulla visione del mondo. Comunicazioni criptate, la resa in schiavitù degli Ezidi, l’inquietante analogia tra la ritirata strategica nel deserto iracheno nella guerra in Iraq e a distanza di anni prima Al Qaeda e poi l’Isis in attesa di riorganizzarsi forti della consistente disponibilità economica e di armi. E ancora killer professionisti, la squadra omicidi, il punto 7, le indagini interne, il capo dei falsari, la missione a Dusseldorf ci si lascia piacevolmente trasportare dagli avvenimenti, nonostante le digressioni, la sete di sapere che sospinge alla lettura. La domanda che ricorre è quella sulla banalità del male, sul binomio inscindibile fra giustizia/ingiustizia e anche quello sulla devastazione identitaria religiosa e nazionale.

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