Wisława Szymborska "Ascolta come mi batte forte il tuo cuore"


 
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
E’accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?

Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.


Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012)
Siamo in Polonia. Wislawa Szymborska cresce in una famiglia con tradizioni patriottiche e insurrezionali, frequenta la scuola elementare delle migliori famiglie di Cracovia. Intorno ai dieci anni comincia ad andare al cinema e racconta la sua prima esperienza sentimentale in una poesia. E’ il 1931 Wislawa ha otto anni e si prepara a cambiare casa e città. Da Kornik si trasferisce a Cracovia.  Di lì a poco scoppia la guerra e la Polonia diviene tragico terreno di antisemitismo e di olocausto.
Nel 1935 si iscrive al liceo delle Orsoline; cominciano i primi dubbi. «Per un periodo sono stata molto credente. Adesso si sente dire che la perdita della fede ha aperto la strada al comunismo. Nel mio caso le due cose non hanno avuto niente in comune. La mia crisi religiosa non nasce dal sapere che il parroco va a letto con la perpetua. I miei dubbi sono di natura razionale. Non sono assolutamente d’accordo con l’opinione di Dostoevskij che se Dio non esistesse tutto sarebbe ammesso. E’ un pensiero ripugnante. Esiste un’etica laica, che è nata attraverso lunghi secoli e grandi sofferenze e che naturalmente deve molto al decalogo. La fede non dovrebbe essere concepita in modo dogmatico. Nessuno può dirsi completamente non credente».
 
Fu costretta a portare avanti gli studi clandestinamente; il suo nome era nella lista di persone da deportare in Germania per essere sbattute a marcire in un campo di lavoro. Le cose per lei andarono diversamente: il posto di lavoro nelle ferrovie fu il suo lasciapassare per la libertà. Superato lo stallo della guerra e lasciato alle spalle il pericolo della deportazione, la poetessa incominciò a disegnare. Illustrava libri e le storie tra le sue dita ci misero poco a tramutarsi da immagini a parole. «Mi sono resa conto di quanto la mia vita sia priva di elementi drammatici. Come se avessi vissuto la vita di una farfalla, come se la vita mi avesse semplicemente accarezzato la testa. Questo è il mio ritratto. Ma sono veramente io? Effettivamente nella vita sono stata fortunata, anche se non sono mancati morti e numerose disillusioni. Ma dei fatti personali non voglio parlare. Allo stesso modo non amo che lo facciano altri. Dopo la mia morte sarà tutta un’altra cosa».
«Ho sempre guardato a tutta la sfera terrestre con la sensazione che ancora in altre parti del mondo si svolgono fatti terribili. Ma dopo una crisi profonda negli anni ’50 ho capito che la politica non è il mio elemento. Ho conosciuto gente molto intelligente per la quale tutta la vita intellettuale consisteva nel mediare su quello che aveva detto Gomulka ieri e oggi Gierek. Un’intera vita chiusa in un orizzonte così terribilmente ristretto. Così mi sono sforzata a scrivere versi che potessero superare questo orizzonte. Non mancano in essi le esperienze polacche. Se ad esempio fossi una poetessa olandese, la maggior parte dei miei versi non sarebbero stati scritti. Ma alcuni sarebbero stati scritti ugualmente, indipendentemente dal luogo dove sarei vissuta. Questa è una cosa importante secondo me». «Ho sempre amato tanto la prosa. Sembra strano lo so, ma è così. Ho sempre letto più prosa e quando ho iniziato a voler scrivere, quando pensavo che avrei scritto, all’età di dodici, tredici anni, era per me inconcepibile la scrittura poetica. Dio ci scampi dalle poesie! – dicevo, scriverò enormi romanzi, in più volumi, grassi, voluminosi, intere biblioteche di romanzi!» E’ tradotta e letta in decine di lingue nel mondo. Ha ricevuto importanti premi: il Goethe in Germania (1991), il Premio Herder in Austria (1995) ed infine Premio Nobel (1996) per la Letteratura. Non se l’aspettava nessuno. Pochi la conoscevano e la reputavano così importante per il mondo letterario. Ma il premio è stata una sorpresa soprattutto per lei. Durante la premiazione tenne un discorso mirabile per la forma ed il contenuto. Sottile, delicato, conciso. Affrontò il tema del poeta e del suo rapporto col mondo. Le motivazioni degli accademici svedesi: «è autrice di una poesia che, con una precisione ironica, permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di verità umana. Si rivolge al lettore combinando in modo sorprendente lo spirito, la ricchezza inventiva e l’empatia, ciò che fa pensare talvolta al secolo dei Lumi, talvolta al Barocco»
….Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e forse soprattutto - nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta - quasi se ne vergognasse un po'. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo... In questionari o in conversazioni occasionali, quando il poeta deve necessariamente definire la propria occupazione, egli indica un genere “letterato” o nomina l'altro lavoro da lui svolto…. La notizia di avere a che fare con un poeta viene accolta dagli impiegati o dai passeggeri che sono con lui sull'autobus con una leggera incredulità e inquietudine, Suppongo che anche un filosofo susciti un eguale imbarazzo. Egli si trova tuttavia in una situazione migliore, perché per lo più ha la possibilità di abbellire il proprio mestiere con un qualche titolo scientifico, Professore di filosofia – suona molto più serio. Ma non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro. …Fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.…


…. apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca.
Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”. Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d'una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. … nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c'è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue.
E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo. A quanto pare i poeti avranno sempre molto da fare. - 7 dicembre 1996

La dittatura socialista imponeva scelte precise ed ogni scrittore in Polonia dovette farci presto i conti. La censura bollava come sovversive tutte le manifestazioni di idee che sembrassero anche solo lontanamente non in linea con l’ideologia che il governo tentava di instillare nel popolo. Trovare una mediazione divenne questione di sopravvivenza artistica. Rinunciare a un pezzetto di libertà per continuare liberamente a fare quello per cui si è nati. Un diritto trasformato in privilegio. La libertà mutilata è sempre libertà? O, perso un pezzetto, è persa del tutto?
La poesia Addio a una vista è stata scritta dalla poetessa dopo la morte dell’uomo con il quale condivise ventitré anni della sua vita, lo scrittore Kornel Filipowicz. Appartiene alla raccolta La fine e l’inizio del 1993. I due si amarono moltissimo, non vivevano insieme per non darsi fastidio ma spesso giocavano a Scarabeo, andavano a pesca, raccoglievano funghi, e la loro storia potete trovarla in Cianfrusaglie del passato. La vita Wisława Szymborska (Adelphi) insieme a tante, tantissime notizie sulla poetessa, sul suo ambiente familiare, sulle letture e i giochi e le paure dell’infanzia, sulla vita nel «kolchoz dei letterati» di Cracovia, la giovanile adesione all’idea comunista e la rapida disillusione.

Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.


Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.
Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sulle acque
abbiano di nuovo con che stormire.
Prendo atto
che la riva di un certo lago
è rimasta – come se tu vivessi ancora –
bella come era.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.
Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.
Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.
Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.
Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.
Non esigo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.
Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.
Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza –
ci rinuncio.
Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano
La sua prima poesia, Szukam słowa Cerco una parola fu pubblicata nel marzo 1945 sul quotidiano «Dziennik Polski».

Cerco la parola
Voglio con una parola
Descriverli -
Prendo le parole quotidiane, dai dizionari le rubo
Misuro, peso e scruto –
Nessuna
Corrisponde.
Le più ardite – sanno di codardia,
le più sdegnose – ancora sante.
Le più crudeli – troppo compassionevoli,
Le più odiose – tropo poco violente
Questa parola deve essere come un vulcano,
che erutta, scorre, abbatte
come terribile ira di Dio,
come odio bollente.
Voglio, che questa unica parola,
sia impregnata di sangue,
che come le mura tra cui si uccideva
contenga in sé tutte le fosse comuni.
Che descriva precisamente e con chiarezza
chi erano loro – tutto ciò che è successo.
Perché questo che ascolto,
perché questo che si scrive
è ancora tropo poco.
La nostra lingua è impotente,
i suoi suoni all’improvviso – poveri.
Cerco con lo sforzo della mente
cerco questa parola 
ma non riesco a trovarla.
Non riesco.
La poetessa snocciola storie come perle diverse di un’unica collana. Il suo stile poetico, sempre più separato dalla politica, pungente a tratti e a tratti dolce, semplice, ma preciso. Versi liberi che danno estrema fluidità e scorrevolezza al testo. Ogni parola è importante, nessuna vale più delle altre. Amore, gatto, valigia, vita, morte, cipolla, corpo. Chi dice che il primo amore è più importante del rancore di un gatto che aspetta dinanzi alla porta il padrone che mai più farà ritorno? La Szymborska canta la bellezza e il dolore dei sentimenti piccoli o di quelli grandi che diventano uguali agli altri se riportati nello spazio minuscolo che contiene un uomo qualunque, nella sua limitata essenza.  Il poeta è eletto dalla sorte, attraverso lo stupore, l’ispirazione e l’ironia, trasforma il mondo ordinario in stupefacente.

La sua poesia è la naturalezza. Vedere l’infinito in una cucina. Vedere l’infinito in un corpo. L’unità di tutto il creato splende in silenzio sulla terra, fra le pietre, sulle rocce, sul melo, su di un insetto. La sua è la poesia “universale” nel senso più potente e comprensivo. Questo perché anche ciò che è umano ci rimane comunque sconosciuto: “Conosciamo noi stessi solo fin dove / siamo stati messi alla prova. / Ve lo dico / dal mio cuore sconosciuto” e ancora: “Solo ciò che è umano può essere davvero straniero. / Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento”.

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