ELOISA e ABELARDO
Non
basterebbe l’acqua degli oceani a spegnere
l’incendio dell’amore
«Tutti si precipitavano a vederti quando
apparivi in pubblico e le donne ti seguivano con gli occhi voltando indietro il
capo quando ti incrociavano per la via [...] Quale regina, quale donna potente
non invidiava le mie gioie e il mio letto? Avevi due cose in particolare che ti
rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue
canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri [...] Eri giovane,
bello, intelligente» Eloisa, Lettera ad Abelardo. Lei bella e colta fanciulla di Parigi del
XII secolo; lui tra i più illustri studiosi della sua epoca. Tra di loro scoppiò
un’ardente passione, in cui si intrecciarono ragione e religione. Abelardo si
innamora perdutamente della sua allieva. «Eloisa aveva tutto ciò che più
seduce gli amanti» - scrive Abelardo- «era bella, ma più ancora,
era colta. Se nell’aspetto non era tra le ultime, per la profonda conoscenza
delle lettere era la prima» che per starle più vicino chiede addirittura
di andare a pensione da Fulberto, suo zio.
Abelardo compone per Eloisa struggenti
poesie d’amore che giungono all’orecchio dei suoi studenti e si
diffondono in tutta Parigi, diventando popolarissime grazie “alla
dolcezza delle parole e alla bellezza del ritmo musicale”. Fulberto,
aperti finalmente gli occhi, caccia subito di casa Abelardo. Ma Eloisa rimane
incinta. Quando lo comunica, per lettera, ad Abelardo, questi decide di portarla
via con sé. Approfittando di un’assenza di Fulberto, Abelardo rapisce Eloisa e
la conduce al paese natale di Pallet, in Bretagna, ospitandola nella casa di
famiglia. Qui, alla fine dell’anno 1116 partorisce
un figlio, al quale viene dato il nome di Astrolabio (rapitore delle
stelle). Abelardo, sentendosi in colpa, decide di riparare il male che
pensa di aver fatto a Fulberto. Si dichiara disposto a sposare Eloisa, a
condizione che il matrimonio rimanga segreto per non danneggiare la sua
carriera. Egli infatti non è solo docente, ma è anche chierico, perciò non può
sposarsi.
Eloisa è contraria al matrimonio perché avrebbe danneggiato Abelardo: «quante
lacrime verserebbero coloro che amano la filosofia a causa del matrimonio...
cos’hanno in comune le lezioni dei maestri con le serve, gli scrittoi con le
culle, i libri e le tavolette con i mestoli, le penne con i fusi? Come
può chi medita testi sacri e filosofici sopportare il pianto dei
bambini, le ninne nanne delle nutrici, la folla rumorosa dei servi? I
ricchi possono sopportare queste cose perché hanno palazzi e case con
ampie stanze appartate, perché la loro ricchezza non risente delle spese e non
è afflitta dai problemi quotidiani».
Tuttavia, tornati a Parigi, Eloisa e
Abelardo si sposano in presenza di Fulberto e di pochi amici, senza rivelare
pubblicamente il matrimonio, ma presto la famiglia di Eloisa divulga la
notizia. I due negano subito il fatto, ma per evitare scandali Abelardo manda
Eloisa nel monastero di Argenteuil dove era stata educata. I parenti pensano
che Abelardo abbia costretto Eloisa a farsi monaca per liberarsi di lei e
decidono di vendicarsi: una notte, mentre Abelardo dorme nella sua casa, tre
uomini lo aggrediscono e lo castrano. Da questo momento le loro strade si
separeranno e i due amanti non si rivedranno mai più. Due drammi paralleli si
svolgeranno insieme: Eloisa prende i voti e trascorre il resto della sua vita in convento; Abelardo, diventato
eunuco, ritorna alla sua vita accademica ed ecclesiale. La notizia della sua
morte, avvenuta il 21 aprile 1142, è data a Eloisa da Pietro il Venerabile. La
loro storia d’amore non finirà mai, nemmeno la morte riuscirà a cancellare il loro grande amore.
Quella notte fu presto piena.
La solitudine degli astri si infrangeva
sulle linee dei fulmini aculei luminosi che infuriavano inattesi
nella lenta consumanza della notte
in tutto il lungo tratto.
Nel vento sottile del mattino
il profumo di cedro e oleandro
si perdeva oltre le azzurre cave
fino ai grembi verdi dei fiori di Sainte Geneviève
sui suoi colli
lungo i filari di vite piene di grappoli.
La terra di Parigi pulsava dei suoi
incanti
lungo i morbidi prati fioriti di viola e
di prezzemolo anche un Dio avrebbe gioito nel suo cuore.
Eloisa accoglie così Abelardo
nel suo bulbo
lo nutre d’amore e di armonia compiuta
palpitante, come un uccello fra le chiome umide degli alberi.
E sono granuli di fuoco fertili
incendiati d’amore sono algebre distillate di primavera
sul focolare che arde ancora
oltre i secoli del fuoco della loro passione
….incancellabile.
«Al
mio signore, anzi padre, al mio sposo anzi fratello, la sua serva o piuttosto
figlia, la sua sposa o meglio sorella... ti ho amato di un amore sconfinato...
mi è sempre stato più dolce il nome di amica e quello di amante o prostituta,
il mio cuore non era con me ma con te... Sospiro
per ciò che non ho potuto avere, invece di dolermi per ciò che ho commesso. Ciò che facemmo, i luoghi e i momenti in cui lo facemmo,
tutto questo è così infisso nel mio animo, insieme alla tua immagine, che
ancora adesso mi comporto come se fossi con te. Nemmeno dormendo questi ricordi
mi danno tregua. A volte un movimento del mio corpo, o una parola inaspettata,
che non riesco a trattenere, rivelano i pensieri del mio animo. Quei piaceri d’amor che abbiamo gustato insieme
sono stati così dolci per me, che non posso pentirmene e nemmeno cancellarne il
ricordo. Da qualunque parte mi volga mi sono sempre davanti agli occhi con
tutta la forza della loro attrazione. Anche
quando dormo mi perseguitano le loro illusioni; perfino nei momenti solenni
della messa, quando la preghiera deve essere più pura, le immagini oscene di
questi piaceri si impadroniscono talmente della mia povera anima che mi
abbandono più a queste turpitudini che alla preghiera. Io, che dovrei piangere su quello che ho fatto,
sospiro invece per ciò che ho perduto, e non solo quello che abbiamo fatto
insieme, ma i luoghi, i momenti in cui l’abbiamo fatto sono talmente impressi
nel mio cuore che li rivedo con te in tutti i particolari e non me ne libero
nemmeno durante il sonno. Talvolta anche i movimenti del corpo rivelano i
pensieri dell’anima ed esse si tradiscono con parole involontarie. Come sono
infelice e come ho diritto di ripetere quel lamento di un’anima gemente: ”Me
sventurata chi mi libererà da questo corpo di morte?>> Eloisa
mentre la notte divora l’ultimo azzurro esacerbato
delle acque rimarginate dalla sera.
Sgusciata…
trovo riparo addossata ai muri
nel silenzio percettibile di quest’ora sparsa al vento.
La valle da quassù si getta in mare con le sue rivierasche
tra gli ulivi e le erbe abbuiate che mormorano di grilli
mentre nell’aria l’odore del fiorire degli alberi
è già un liquido bisbiglio.
E tutto il resto brucia
sulla linea dei miei fianchi e il singhiozzare dei platani
appena abbuiati dal brusìo impastato
dei rami di questo vento leggero di fine estate
di siepe in siepe, al canto del grillo
e come zenzero mi conduce oltre il colle stordito di pace.
Oh anima mia! Oh, mia Eloisa!
Nell’aria un sussurro…
Brucio e ti guardo perdutamente
non un segno
soltanto una squilla d’armonia si torce sui miei passi
e arruffa nel silenzio
appena soffocato dal trepidare dei suoni e delle luci
che si spengono sull’erba bagnata.
intimamente….
e mi avvolgo nella notte, oltre il velo sottile
nel nulla che si fonde di profondità
per nutrirlo dell’immensità del mare.
E sento l’aria quando gioca sulla collina
nel silenzio della via che avanza
dispiumato dai suoni e dalla mia sostanza.
Oscillo nel tuo ricordo, mio Abelardo!
Ascolto le antiche nenie e attendo l’alba
dispersa nell’universo
fin dentro l’ultima goccia dischiusa
dell’immenso delirio di te
che scorre dentro il mare come un fiume.
In un colpo penetri col tuo sciame
nella fresca penombra di ogni mio
giorno nuovo sull’onda più dolce
il tuo nome udito all’improvviso sulla mia bocca
ed è un gorgoglìo nei miei occhi umidi
Messaggero di luna germogliato nella notte!
Abelardo: è una cascata silenziosa
la presenza del tuo cielo da cui ti guardo
è una schiuma di rose al chiaro di luna
all’ombra del rintocco della campana della chiesa.
Incendiami delle tue parole
nei mattini, nelle sere d’ombra
fin dentro le fenditure dei silenzi
scompigliati dal chiaro della luna.
La durata dei ricordi mi giunge in
pieno tracimando…
e il verso si sbocciola di antica melagrana
nel tripudio della sua unicità
Scivola nel senso
fino in fondo al seme sepolto alle radici
in quel primo battito in qualsiasi parte
Ti sento…..
Sei soffio nel vento
germoglio trepidante lungo il fiorire degli alberi.
Eloisa: L’ottobre è tornato
in questo pallido filo di sole
là dove la strada di Parigi giunge
sugli orli del tuo viso.
È il giorno nuovo nel volo lento
della luna oltre il più dolce di tutti i suoi canti
e il senso di questo cielo disteso
all’ombra azzurra dei monti.
In questo battito lontano che si leva
io intreccerò ghirlande nel vento
e ti porterò doni di porpora
leggeri come petali di ciclamini.
Domani adagerò i tuoi rami
nei flutti intessuti di primavera
in ogni fiore vivo nella brezza dell’erba tenera al tramonto di collina.
Per te
per me
la poesia disfoglia ancora i silenzi
e si sgrana sulla valle in un colpo di vento.
dopo la mareggiata di vento
e la sua prima schiarita!
Nella profondità del luogo mi entra
il mondo m’invade
e qualche foglia si aggiunge al fiore aperto.
È il tempo giusto
stretto addosso alla nube di montagna
che la luce plasma e poi percuote nel suo tacitamento.
Il ricordo di te riprende a cielo aperto
fra l’aroma dei campi e la trasparenza del primo mattino.
È colpita di piatto l’aria di quest’autunno
rincorso e risucchiato dal giorno che fugge.
Sei tumido flutto che cola dall’anfora
e cade sul mio fondo là dove verdeggia il miglio.
Ti adagi nella casa di Enea
sopra i miei steli oltre l’incontro dei pensieri
e scruti il cielo sul filo dei tetti nell’esatto punto
all’origine della mia e della tua profondità.
Nulla si è spento
brilli ancora di infinitudine nel limbo del sole
nel bianco dell’aria nell’imminenza
che si accumula per poi scoppiarmi dentro.
E’ il tempo molle della tua lontananza
racchiuso nel bulbo della notte
e nella profondità dell’aria che imbruna.
T’innalzi nel canto del vento
lentissimamente…
nel lungo dormiveglia mi si disorienta il cuore.
E mi vibra fra le mani il profilo dei tuoi occhi
seminato lungo questo fogliame umido di pioggia.
E poi …..mi viene la malinconia!
Abelardo: rimani prigioniera nei miei sogni
tempo nel tempo in questa fiamma fine
nei miei deserti d’erba
in questo subitaneo struggimento
che trasmigra negli enigmi inselvati della mente.
Ho il volto impastato della tua dimenticanza interminabile…
e oscillo tra obelischi e gorghi lontani.
Sono…sono nello scoscendimento delle tue acque
nel silenzio dei tuoi azzurri
nel vuoto che vi corre sopra
impietosamente senza limite…….
O, mia Eloisa!
Giammai nessun dolore più mi riscosse.
Eloisa: sussulto e mi distacco dal tuo nido
nell’annuncio al mondo di un solo amore
E’ la notte dei fondali
siedo sui miei occhi accoccolati
e in me discende un drappo di tempo
il ricordo di te riprende a cielo aperto
fra l’aroma dei campi e la trasparenza del mattino
Ti cerco…
Questo mio tormento è fra le braccia lente del giorno
nel taglio di luce appena sbocciata
nel giunco sottile che avanza controsole.
Ti cerco e mi perdo dentro i tuoi tornanti.
Vivo o sopravvivo?
Sono…perdutamente sono………
nell’assedio di tutte le mie parti
e non ancora abbastanza.
Abelardo: questo è il giorno estremo,
mia Eloisa il tuo viso sporge più intenso mentre
mi appari e poi riaffiori dai tralci del passato.
Ah, sei un soffio sulla fronte!
E intanto non c’è luogo alla mia sorte.
Mi rifrango….ma dove?
L’ondata delle tue schiarite
rifrante all’infinito
calano fino al fiume nella sua più piena incarnazione
Nel mio fuoco il tuo richiamo diventa cielo
e l’incantesimo sconfina nei tuoi occhi.
Non senti i flutti spumati al canto degli astri?
guardo la balza di campagna
fra le foglie soffiate di questo cielo
che si rapprende nello spazio
dove il vento vibra sui campi di senape
fra il verde della terra….
termina sulle muffe che lacerano i grovigli dei rami.
brucia fin dentro l’ultima goccia dischiusa
dell’immenso delirio di te.
Nel lungo dormiveglia mi si disorienta il cuore.
Abelardo: pesanti sono i cieli…
Penetri col tuo fuoco rosso di grani nelle mie arterie
scavi nel mio sangue la tua anima.
E’ scritto nel sole nel colore di questo luogo d’erba
sui sipari d’aria
tra i salici che si velano di brina
Ed è lì che io mi perdo…
nei rigoglii indefettibili sparsi sui rialti del mio cuore.
Nel tuo stesso soffio
in quella stiva della mente
protesa nella parola che mi parla
Ti adagi sopra i miei steli
oltre l’incanto dei pensieri
e il cuore mi trabocca prima di spegnermi.
e colgo la misura delle cose che amo
lontana da te, nella terra di Pallet e del mio Astrolabio.
In lei, fuori di lei? Fin dove?
In questo battito lontano che si leva
io intreccerò ghirlande nel vento
e ti porterò doni di porpora
leggeri come petali di gelsomino.
Domani…..
Domani adagerò i tuoi rami nei flutti intessuti di primavera
in ogni fiore vivo nella brezza dell’erba tenera
al tramonto di collina
s’impiglia sulla valle
inciampa e poi riprende nella
prossimità del tempo
nel dubbio che si tarda
lungo il filare che raduna i monti.
Questo mio mal superbo è necessario?
Tace il vento
tace nel silenzio intimorito di Argenteuil
dalle tenebre il brillìo della luna sale
sale oltre i suoi flamenti
e discende….
e poi oscilla….
………..lentissimamente.
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