Romeo e Giulietta al tempo degli Ayatollah


La storia d’amore di Behnam e Nahal perseguitati dal regime iraniano
  
Non mangia che colombe l’amore e ciò genera sangue caldo,
e il sangue caldo genera caldi pensieri
e i caldi pensieri generano calde azioni,
e le calde azioni sono l’amore.
W. Shakespeare
Si sono suicidati, diventando un simbolo per l’umanità. Lui torturato e violentato con l’unica colpa di essere amico di un oppositore. Lei, dopo la morte del suo amato Behnam, beve una dose di veleno e dà l'addio su facebook. Forse, se tu sapessi quanto qualcuno ti ama, potresti tornare dalla morte. È di nuovo giovedì. Vieni Behnam. Balliamo insieme ancora una volta, di giovedì. E’ il 28 settembre 2011. E’ l'ultimo messaggio di Nahal, amaro come il veleno, lasciato sul blog da quell'ultimo straziante addio. Si toglie la vita a 28 anni con un'overdose di farmaci per aver perso Benham, il fidanzato 22enne, studente di Scienze applicate all’Università di Teheran, torturato e spinto alla morte dal regime. Ventotto giorni dopo la morte del suo amato Benham, Nahal Sahabi, la maestra d'asilo, lo raggiunge. E’ancora giovedì. Una storia d’amore che ricorda quella di Giulietta e Romeo. Una storia triste e drammaticamente vera. Nahal e Benham si conobbero di giovedì, si incontravano ogni giovedì, il giorno libero di lei dal lavoro, per ballare ed amarsi. Si tolgono la vita entrambi, sempre di giovedì. Quei volti belli e disperati diventano un atto d'accusa al regime, il simbolo della protesta, della rabbia, di quel disperato senso d'impotenza che si trasforma in odio e risentimento.


La vicenda
Behnam Ganij, 22 anni, viene arrestato il 31 luglio 2011 insieme all’amico Kouhyar Goudarzi, 25enne attivista per i diritti umani, noto alle autorità iraniane, coinvolto nelle proteste contro la rielezione del presidente. E’ l'Iran di Mahmoud Ahmadinejad un paese dove le vite degli altri sono strumenti nelle mani dei carnefici. Vite da piegare. E’ fine luglio, gli agenti del ministero dell’Intelligence bussano all’appartamento di Kouhyar. Ammanettano anche Benham perché testimonescomodo. Li sbattono entrambi nel carcere di Evin, a Teheran: luogo simbolo della repressione dell’opposizione definito in un rapporto ONU del 2003 “una prigione nella prigione” dove restano per otto giorni. Benham è tenuto in isolamento, interrogato, torturato.Hanno cercato di strappargli una confessione contro Kouhyar, una prova del suo collegamento con il Mek, il partito dell’opposizione del Mujahedin. Secondo il The Times, quotidiano britannico, i due amici sarebbero stati violentati a turno e minacciati con i bastoni. Benham cede. E’ ormai un uomo senza più anima, distrutto dalla vergogna per quello che ha subito, in preda ai sensi di colpa per quello che forse ha confessato. Quando esce è un uomo finito. Non esce più di casa, non parla, rifiuta di vedere persino Nahal. Si lascia devastare dalla depressione. Il primo settembre prepara il cocktail letale e muore. Anche Nahal ha paura. Molta paura. Paura di essere rapita, violentata, torturata. Nahal è sola. Chiunque l'aiuti rischia lo stesso girone infernale. Sul suo blog scrive: «Hey Benham disgraziato cosa devo fare senza di te, magari se riuscissi a farti capire quanto ti voglio potresti rinunciare alla morte». Quattro settimane. Solo quattro settimane la separano da Benham .

E’ il 28 settembre, sulla tastiera l'ultimo addio: “È di nuovo giovedì. Vieni Behnam. Balliamo insieme ancora una volta, di giovedì”  Lascio questo messaggio sul mio blog, ma tu te ne sei già andato via con un’overdose di farmaci. Ci siamo conosciuti di giovedì e, come ogni giovedì, ci incontravamo per ballare ed amarci. Io e te come Romeo e Giulietta. Romeo e Giulietta al tempo dell’Ayatollah, Romeo e Giulietta vissuti nell’Iran plumbeo di Mahmoud Ahmadinejad dove le vite diventano strumenti nelle mani dei carnefici, dove le vite vengono piegate per strappare confessioni o imbastire ricatti. La tua colpa è stata quella di studiare Scienze Politiche, di aver conosciuto e diviso la casa con Koohyar Goudarzi, un 25enne attivista per i diritti umani, coinvolto nelle proteste contro la rielezione del presidente.

Avevi appena 22 anni, mio amato Benham, quando sei stato arrestato. Era il 31 luglio 2011. Gli agenti del ministero dell’Intelligence hanno bussato alla porta e ti hanno ammanettato perché eri un testimone scomodo; ti hanno portano via insieme a Koohyar Goudarzi. Vi sbattono nel carcere di Evin, a Teheran, in “una prigione nella prigione” dove restate per otto giorni. In quella prigione nella prigione sei rimasto per lunghi otto giorni, in isolamento. Sei stato interrogato, sei stato torturato. Hanno cercato di strapparti una confessione contro Kouhyar. Volevano da te una prova del suo collegamento con il Mek, il partito dell’opposizione del Mujahedin. Oh mio Dio! Siete stati violentati a turno, minacciati e violentati con i bastoni. Gli otto giorni ad Evin sono stati una discesa nell’inferno del dolore, dell’umiliazione, del senso di colpa. E tu amore hai ceduto, non ce l’hai fatta. Quando sei tornato a casa eri ormai un uomo finito. Ti avevano portato via anche l’anima quei maledetti. Eri un uomo distrutto dalla vergogna per quello che avevi subito, eri in preda ai sensi di colpa per quello che forse avevi confessato. Da quel giorno non sei uscito più di casa, ti sei rifugiato nel silenzio. Ti sei rifiutato di vedere anche me. Ti sei lasciato devastare dalla depressione. Anche io ho avuto paura. Molta paura. Paura di essere rapita, violentata, torturata. Hanno arrestato anche me e la mamma di Kouhyar. Sono rimasta in prigione per tre lunghi giorni sotto la minaccia costante di essere stuprata dalle guardie. Una volta fuori sono rimasta sola, amore mio, chiunque avesse deciso di aiutarmi avrebbe rischiato lo stesso girone infernale.Hai deciso di andartene e lo hai fatto di giovedì, nel giorno in cui ci amavamo. E giovedì primo settembre sei andato via, insieme al tuo cocktail di farmaci. Ma solo quattro settimane. Solo quattro settimane mi hanno separata da te, mio adorato Benham. La nostra favola d’amore era rimasta un sogno, una visione, nulla più. Era ormai un anelito buttato lì che non poteva germogliare. La mia mano afferrava alle volte questa lampada per cercare il tuo volto nella stanza, eri sulla parete che mi guardavi, mi sorridevi stranamente. E allora io ti baciavo le mani e i capelli e sussurravo nella notte il tuo nome.


Il cielo è rosso di fronte all’ansia di questa sera, vado incontro al tramonto e alla morte. Sono stanca. Il mondo mi appariva felice quando la mia vita era ancora chiara, adesso che è caduta la notte, vivere è solitudine. Non ho più la voce. Cerco solo la notte, fuggo davanti al sole. Voglio soltanto esserti accanto, morire in un gioco di nuvole, nell’aria nuova che risuona di canti. Giaccio da sola nella casa silenziosa. La lampada si è spenta. Le mie mani protese per afferrare le tue, spingo lentamente la mia bocca sulla tua. Ti bacio fino a stancarmi e ferirmi. Bevo la mia sofferenza. Il nostro amore apparteneva al mondo, all’umanità. Ogni volta che si distrugge un amore è un po' come spegnere una stella. E’ il 28 settembre 2011. E’ giovedì 28 settembre. Lascio il mio ultimo messaggio, amaro come il veleno che ho ingerito, sul mio blog prima di raggiungerti. E allora vieni Behnam, è di nuovo giovedì, balliamo di nuovo in questo giovedì.
 

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