Mario Luzi, l'uomo e il poeta


..e in tutto il mio tempo parlerò di Te
Padre di sapienza, di virtude
e poi nobilitade
perché più nessuno m’insegnò cotanto ragionar
di gentil cose.




Siena. Ho intervistato lo scrittore Mario Specchio qualche anno prima della sua scomparsa. Abbiamo parlato a lungo di Mario Luzi, grande poeta e amico comune.
 
Professore, Lei che ha frequentato da vicino il grande poeta, potrebbe raccontarci l’uomo?
 
E’ difficile raccontare l’uomo. Luzi era l’uomo che viveva contemporaneamente nel qui e nell’altrove. In sua presenza si entrava in questo cerchio magico. Quello che colpiva maggiormente di Lui era la miscelazione di dolcezza e forza. Luzi era un uomo dolce, ma spesso la dolcezza è l’altro volto della debolezza, in lui la dolcezza era l’altro volto della forza. L’assoluta libertà di pensiero gli permetteva di accogliere in sé il mondo e la vita in tutte le sue manifestazioni in maniera anche indifesa. Era talmente forte che poteva permettersi anche di non difendersi. Sapeva coniugare il sentimento morale, il senso del sacro, del giusto, della giustizia, delle cose, della verità. Aveva la capacità di osservare la vita e la storia come in un’ottica doppia. Ora era l’occhio dell’aquila che portava in alto le cose e le illuminava, ora era l’altro occhio, quello che aderiva realisticamente alla dinamica dei fatti, della vita, delle persone, della vita civile. Era uno di quegli uomini che sembrava camminare un po’ per caso sulla Terra, ma che in realtà era figlio della Terra, del tempo e della storia.


Mario Luzi era un aristocratico?
Si, Luzi era un aristocratico. Non era un uomo da tutte le stagioni e, a prima vista, metteva anche soggezione. Dietro quella sua nobiltà dello spirito, avrebbe detto Thomas Mann, si nascondeva un’enorme generosità. Era una persona dal garbo straordinario, dotata di una gentilezza particolare che nasceva dalla sua timidezza. Affabile, senza alcun atteggiamento superbo o scioccamente altero, con quel suo modo di essere taciturno, ma attento a tutto.


Qualche mese prima della sua morte, intorno a Luzi ci fu una vera e propria tempesta, non poetica ma politica per alcune dichiarazioni rilasciate al Messaggero in seguito al lancio del famoso treppiede contro Berlusconi. Quali furono le reazioni di Luzi?

Luzi era arrivato alla carica di senatore a vita in un momento particolarmente lacerato e confuso della vita del Paese, che probabilmente non è ancora passato, in cui le idee sembravano impazzite e fuori controllo. Da un lato egli aveva creduto giustamente di poter e dover portare una parola di verità, risvegliare le coscienze. L’artista in politica non deve dare risposte, deve cercare di innalzare il livello di coscienza morale. Le risposte le devono dare i politici. L’artista deve spingere in questa direzione ed è quello che mancava all’Italia e che manca tutt’ora. Le sue parole sono state parole nel deserto, nel vento perché richiamava ad una presa di coscienza superiore, di cui la classe politica era talmente al di sotto, da non essere riuscita ad intuirne il senso. Forse aveva detto qualche parola di troppo perché l’uso della parola in un contesto così degenerato, ha bisogno di essere oculata proprio perché non venga risucchiata dal gorgo della strumentalizzazione e dell’indifferenza. Ha avuto troppo tempo e troppo poco tempo. E’ giunto in un brutto momento della storia politica italiana, ma lui non è approdato alla landa del silenzio come è accaduto ad altri grandi che hanno osservato quello che accadeva restando nel loro ambito. Luzi si è giocato, questo dobbiamo riconoscerglielo, forse con una partecipazione anche un po’ eccessiva. E’ stato facilmente strumentalizzato, le sue parole sono state sentite come un richiamo di parte e questo è ingiusto. Credo che abbia sofferto molto ed è comprensibile.


Mario Luzi: il poeta

 La poesia di Luzi parla la lingua degli uomini
Insieme a Sereni e Caproni, con Luzi la poesia si rinnova, restando dentro la tradizione. Luzi ha dimostrato la capacità che ha la lingua poetica di rigenerarsi dall’interno della tradizione. La sua poesia è sempre stata ricca di pensiero, come tutta la poesia novecentesca, si è sempre arricchita di valenze interpretative e anche speculative. L’ultimo Luzi fa pensare a quella poesia nella quale il pensiero diventa lingua e poi torna a diventare natura. Questo sentimento dell’unitarietà della natura del grande codice come lui lo chiamava: la natura offre le parole e le parole tornano ad essere natura. Luzi ha difeso la speranza, tutta la sua poesia deve essere letta in maniera diversa, plurima. La poesia deve parlare per la vita e deve parlare la lingua degli uomini, deve parlare nella lingua degli uomini.

Lei è stato suo grande amico?
Si, siamo stati amici, contatto quasi filiale, direi. Luzi aveva il dono di far sentire le persone a proprio agio, in qualsiasi situazione e contesto. Era sempre al centro della vita, il suo baricentro non si spostava. Ti trasmetteva il senso di equilibrio e questo ti costringeva a cercare di essere migliore. Viveva l’incanto delle piccole cose, di una foglia, di un albero sull’Arno. Questa meraviglia che lo accompagnava si trasformava in saggezza, una coincidenza di sapere e saggezza che ritroviamo nei “più grandi.

Grande, grandissimo poeta, grande grandissimo, immenso uomo.

“... questo era un poeta – colui
che distilla un senso stupefacente
ai significati ordinari
e nettare così immenso...”
(Emily Dickinson)

Poeta della campagna, del paesaggio e del dramma che la natura porta con sé. Eterno cantore dei “luoghi incontrati” Firenze, Pienza e la “corrispondenza d’amorosi sensi” con Siena, la città della sua infanzia. Imprevedibile e mai ripetitivo, cantore eccezionale di una Toscana vera e profonda.
Mi guarda Siena,/mi guarda sempre/dalla sua lontana altura/o da quella del ricordo-/come naufrago?-Come transfuga?/mi lancia incontro /la corsa/delle sue colline...”
Protagonista della cultura europea, della stagione dell’Ermetismo, testimone attento delle vicende che hanno attraversato il Novecento. Profondo conoscitore della letteratura francese e traduttore di grandi poeti e letterati, da Rimbaud a Verlaine. Una importante voce che con Montale, Bilenchi, Vittoriani, Bo, Contini, Macrì, Gadda, nell’Italia fascista asfittica e volgare degli anni Trenta, fece di Firenze il riferimento della più alta cultura europea. In Luzi poeta, ogni conquista, ogni risorsa di lingua, di stile, ogni acquisizione immaginativa e umana è ottenuta grazie a un prepotente senso del tempo e della storia. La bellezza è conquistata attraverso l’umanizzazione del reale, l’avventura del desiderio. Una forza della mente, la sua, sempre unita a un grande rigore morale, e alla irrinunciabile fiducia nella nobiltà e nel valore civile dell’esercizio poetico, dell’esercizio dell’arte vera.
 

Poeta cristiano
 
"Quello che è rimasto e che conta per me, è il fondamento evangelico ed è tutta la cultura e la vita spirituale che intorno a quel fenomeno è fiorita. E’ un grande aspetto dell’umano”.( M. Luzi)

Ma chi era Mario Luzi per Mario Luzi?


Sono un uomo che ha fatto una lunga strada senza sapere dove questa portasse. Ho lavorato, ho scritto, mi sono sentito spinto a scrivere per conquistare nuovi approdi di spazio e di conoscenza. Ma chi sono io potrò capire in extremis. Forse....La parola era tutto. E’ il verbo. E’ il segno primario del divino nell’uomo. Che uno sia credente o non lo sia, la parola ha qualcosa di sacro, anche per chi rifugge da questi pensieri trascendenti. Per questo la storia della poesia è storia della parola…attraverso la parola e il silenzio ci interroghiamo sulla presenza del Bene e del Male, il grande scandalo dell’universo.

In una sua bella intervista all’Unità sulla banalizzazione del linguaggio disse: Le parole hanno perso il loro corrispondente. Sembra quasi di vedere un orologio impazzito in cui le lancette non riescono più a segnare l’ora giusta. E’ la crisi di credibilità della parola…

A Mario Luzi
Rapiti da nutriti flutti
serbiamo l’eco gentile dei tuoi versi
che l’aura tua celeste l’incorona.

E se anche il vento tace
a ogni moto dell’anima
la tua semenza scava germogli fioriti
di ardori accesi levati in volo.
S’abbevera il petto del tuo fulgore
pulsante di turbini distesi

che il tempo non disfiora
e non reclina.
E il tuo universal cammino
si schiude fra felici sponde
e solenne sfavilla
con le tue vestigia
e il canto e il mondo.
(A. Carrabs da “Fuori è il sole” ed Il Leccio)

 

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