Ho scritto in versi aulici questa storia antica che il maestro Marco Mencoboni ha sapientemente scritto in prosa, letta poi magistralmente da Toni Servillo.

E LUCEAN A ME LE STELLE


E ogni notte lucean a me le stelle sulla conca del mar

in quell’acque chete

ov’io sentìa passar l’anima mia che più gradìa

nel mentre movea l’ali nell’universo con infinito eccesso  

e a rimembrar sì bella image

il cor ancor mi si smarrìa.

In sì  miracol loco m’allumai

e al dolce suon de la viola d’arco

 sì subito fui tratto.  

Così manifesta mi fu cotal’ondeggiar d’armonia che spazia

che il pensier ancor mi triema

e nesun cibo sazia.

 
Oh meraviglia in terra!

 Il mio disir dipinto e le sue stelle!

E il sangue mio si fece cielo al suono de le sfere ch’e venìa 

sì che de li miei occhi ancor’io il traggi

quell’eterno spiro

che di foco vivo

s’accendea più in viso. 

Maraviglia!

D’ogni parte uscian faville vive come schiera d’ape

e risalìan per l’alto co’ le penne sparte di mille angeli festanti

dritti nel lume de la Madonna

volta ver’me sì lieta come bella

ne l’eterna luce che infiorava

al trasvolar di tutti li altri santi.

Quand’ecco che una sera

all’ombra di Castel dell’Ovo che parea più vaga  

vegg’io dal punto certo ch’avea scoverto

disteso un tale

che da sì subita distanza trascolorava all’incendio de le stelle

e ardea d’un riso d’amor

che più assai sonò ne le sue guance .

Sùbito sì com’io m’accorsi la spada gli mostrai

sì che costui all’atto mio distinto

fu subito sbandito

mi si dirizzò diparte senza alcuna giunta 

e trasmutò sembiante 

pria che la milizia mi s’appunta.

La vittima si scosse sì tanto

che il cor l’addiventò vivo topazio

e pria ch’io parlassi

si fece in vista senza indugio          

mi parlò di lei

che ‘nfiora il ciel di stelle col suo canto

e di ogni cor che ancor germoglia

pieno d’amor di quella gloria santa.

<<De l’essenza di cotal bellezza

da lei l’occhio non parte

chè ogni cosa ella raggia e più ‘nsapora.>> il sognator dicea.

Il suo nome è Camilla Esposito.

<<Oh, il cor ha lunghe l’ali

e tutto si dischiara al suo cantar !

Il gaudio va per l’universo

di bianco in bianco

e di cotanta moltitudine volante

l’ugola sua sì lieta porte non serra 

ma di quel dentro accende raggi d’amor

tra l’omo e ‘l fonte 

simil a sempiterne rose

che di nettare per li occhi ognun ne è già infuso.>> 

<< Messo t’ho io dinanzi a tal disciolta maraviglia

a la grazia e al foco vivo di colei

che col suo canto

continua così il processo santo.  

S’esser vuoi lieto assai,

vai con atto e con parola a sentir la creatura

che d’ogni umana virtute

ogni animo ancor trasmuta.>>

Tra il turbo e il chiaro

 il sognator di stelle qui si tacette

e le parole sue mi s’impigliaron sì tanto

che come sementa

entraron a maggior bando nel ragionamento

sì che il mio piacer fu discoverto

più pregno di quell’adornamento .

Dietro pensando a ciò che si preliba

l’animo mio s’accese

e il pensier mi fiammeggiò

sì assai che li credetti.

Feci crescer l’ali al voler mio

e andai col vespro de la sera

a l’Annunziata per sentir messa.

E come rivo

che dall’alto monte scorre come limo

il Deus in Auditorium scese leggero

nel beato regno

ove moevasi nel tornear la sua mira nota

come in un ritondo vaso

tant’è che la mia mente

vi fè subito caso.

Oh, d’oro distinto

parea la melodia di lei che uscìa con la sua voce!

Mi volsi intorno

e il petto mi s’impregnò d’innumerevoli faville

eran mille e più mille luci

ingigliate in su la cima

sulle bianche e vermiglie guance di Maria

che di più grazia fia.

Di quanto lume

l’aere de la Santa Chiesa splendea sì lieta

in gran misura!

Tempeste di musica squarciaron il cielo

e sonaron forte sul mio viso

eran voci a cappella

era il Gloria Cantori per misericordia di Dio.

Oh la voce di soprano,

parev’a me un canto d’amor che a Dio s’unia!

     
Fisso co’gli occhi stavo

nell’ascoltar l’anima mia tornar a la sua stella 

quand’ecco che, dallo scanno ov’ancor stavo seduto,

venn’io sì ratto

fui ‘nghiottito e cinto da li bruti                                                       

che mi tiraron fore a guisa come lupi.  

Quel dolce canto mi s’arrestò nel bugio

sì simile al mormorar di fiume.

Oh, povero me e vetusto,

mal feci a seguir la stretta via!

Come ferro bogliente ch’esce del foco

gli altri gridavan appresso pe’ la via

e Dio sa, quant’io che son mortal,

sentia la mia ragion in alte grida.

Ah, genti crudeli!

Per maggior fatto,

fecer ingiustamente sospirar l’anima mia

e per sentenza

mi negaron l’antica provedenza

sì che quel dì mentr’io desiava

 largita la mia grazia

col viso ritornai per le spere

al suon di quel <<Regina celi>>.  

Allor in quella profonda condizion divina

riudì sanza disìo

lo canto e poi lo riso di quella villanella

che pria di dolce melodia

m’avea scaldato il cielo e il paradiso.


“Empio cor, cruda voglia, sola soletta me ne vo’ cantando..”

Levai più erto il capo

e la donna allor m’apparve

ora a destra, or più vicino al mio parlare

e mentre girando venia col viso

a me sì tanto stretto

il canto e il riso ella mi buttò in faccia lesta.

Allor ‘io che da lei pria non fui compreso

le dimandai di poter pregar

sonando il piacer santo   

chè ultima volontate

non s’ha mai da dispensare

pria che l’incendio de la pena

a la memoria fia più danno. 

Oh, a maraviglia

fino all’alba il mio veder fu maggio! 

Come il sol ch’accende le faville 

peregrino

 sonai il Salve Regina co li miei occhi chini

e presi a transumar

nell’aere come uccel fossi di Dio.

Quella notte

Camilla Esposito vide più a dentro il sogno

il volto d’una donna

che stringea in man la metà d’una antica medaglietta

l’altra metà l’avea lei legata al polso

da quando fu ascosa ne lo straccio verde

e abbandonata ne la secreta rota

de l’Annunziata de la sera.

O ben creato spirito

o lumero mio destino!

Segno fu ch’a sana voglia

al mattin grazia mi fia

ché dentro all’error ella avea scoverto

 la mia ingiusta sorte

sì che gli occhi io torsi a veder più facce

a parlar pronte.

Co’ li abiti tersi e il volto di riso

a palazzo Reale fui sì subito in cammino

ma com’un uom cui troppa voglia smaga

per mio voler

tornai a li cantori co’ l  Musices Liber Primus in dono

a sostener la dottrina

di quell’amor ch’accende amor

e come stella in ciel scintilla .

Veder voleva come si convenne.

E la cappella reale dentro a sé lucea

più assai di quel ch’ell’era.

Quell’11 novembre del 1567

la Certosa di S. Martino s’incendiò 

di un suon sì fatto profondo al Dixit Dominus

che la mente mia

de la pace e de l’ardore dei cantori

ancor m’è smossa  .

Oh, l’alta letizia

fu prato di fior al sonar di quella circulata melodia

fu l’onda sì lucida e sì tonda

che in qualunque mare s’abbandona

tanto che in ogni cerchio

infino al più remoto

fore uscìa un raggio di lume in forma di lumera

che tutto il mondo ognor ne gola di saper novella.

Miracol fu!

Uno Dio solo ed eterno,

che tutto ‘l ciel move con disìo

avea congiunto Napoli e la Spagna

per sapienza divina

così benedicea lo canto dei signori

e dei cantori

sì che da quella spera fia più lunga festa in paradiso.

Come il colombo si pone al suo compagno

al suon de la parola Mater

la mezza medaglietta scivolò

e quella Pia guidò le penne di quell’ali

sì che ai piedi de la suora

di retro a quell’altare senz’altra vista

si posò.


Camilla la raccolse

e sotto la bianca stole vide la signora

che pria nel sogno s’era a lei più manifesta

sì che, dentro a quell’incendio, un lampo

tremolò e l’avvampò di tal rivelazione

ch’ella ascose a tal modo sì subito il suo canto.


In quella primavera di cotante sfere

l’amor movea le stelle

e Venere splendea al Salve Regina

Orione e Sirio allentavan la fiamma

d’ogni parte

e a immaginar sì tanto

ved’io seder ancor li santi e la regina.


Diego Ortiz (Toledo, 1510Napoli, 1570)
è stato un compositore, musicologo e gambista spagnolo del XVI secolo. Si conosce molto poco della sua vita e si ignorano le data ed il luogo preciso della sua morte. Sappiamo comunque che nacque a Toledo intorno al 1510 e probabilmente morì a Napoli circa nel 1570. Nel 1553 visse nel Viceregno di Napoli e cinque anni più tardi, nel 1558, assume le funzioni di maestro di cappella nella cappella napoletana del Viceré. Il 10 dicembre 1553 pubblicò a Roma il Tractado de Glosas che contiene vari brani per viola da gamba con accompagnamento di clavicembalo; si tratta di elaborazioni su alcune melodie e composizioni note all'epoca; questa opera ha grande importanza per lo sviluppo della musica strumentale. Pubblicò successivamente, sempre in Italia, questa volta a Venezia, una raccolta di brani polifonici sacri.






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