L'autunno delle donne del carcere Sanquirico di Monza
Quando ti portano qui dentro tremi come una foglia nell’acqua.
(Ahsnia,
giovane zingara di Serajevo)
Il viaggio circolare Il trecento tra Oriente e
Occidente
“O isola maculata di spuma che per me non eri niente, persino un dolore come il mio in questa notte di meravigliosa bellezza tu hai il potere di guarire.
(Akashi, l’isola di Awaji)
Questo nostro primo incontro richiama il
viaggio. Il viaggio circolare affidato alla recherce delle possibilità e delle
alternative piuttosto che al principio di realtà. Il viaggio che permette di
entrare nella propria esistenza per estrarne il senso, dipanando quel filo del
tempo ritrovato che contiene l’essenza della vita vera, anche se esiliata.
Riconoscere le intermittenze del cuore per percepire frammenti luminosi di una
vita che, anche se straziata e dispersa nell’ombra, può magicamente costruire. Una sfumatura di luce che possa prendere forza e
brillare attraverso la parola, il movimento e la leggerezza della musica e del
canto che risuonano e fanno cerchio con le note del Tempus transit gelidum,
da Carmina veri set amoris, anonimo XI, El Rey de Francia e la Dance en ronde
“Quella cetra era intonata in chiave d’autunno, e lei la sonava con sentimento così tenero che sebbene la musica venisse di dietro le persiane chiuse, sonava moderna e appassionata, e del tutto in accordo con la mite bellezza del chiaro di luna”. (Genji Monogatari)
Raggiungo ognuna di loro con “ Il giardino di
Lu” di Vinicius de Moraes: <<…nel mio giardino crescono fiori con i colori
dell’Amore: alcuni li nascondo perché sono troppo preziosi per
essere colti altri li curo più di tutti perché delicati e fragili. Nel mio giardino c’è un fiore cresciuto tra le pietre…Qualcuno gli ha detto di vivere luminoso e chiaro nel
buio della vita…di offrire il suo profumo ai cuori desolati e stanchi
e di spargere il suo polline al richiamo del vento.>>
Si, il fluire di un silenzio indeterminato si
carica fino a trasferirsi negli oggetti e a confondersi con qualsiasi altro
palpito di vita. La parola stessa si intride di sensualità e vibra nell’eco
della stanza, illuminando per un attimo quella parzialità di vite negate.
Intanto le note del violino diventano libera correlazione associativa, si
accavallano in un fluttuare di richiami, in una sorta di incanto dove
confluiscono le minime vibrazioni e le trasformazioni dei microelementi. Cerco
di dare ancora più slancio alla mia ispirazione in una tensione appassionata
della Notte di Sine di Léopold Sédar Senghor
<..donna, posa sulla mia fronte le tue mani
balsamiche, le tue mani più morbide della pelliccia. In alto le
palme oscillano stormiscono appena nell’alta brezza notturna. Non s’ode neppure il canto della nutrice. Ci culli il silenzio ritmato. Ascoltiamo il suo canto, ascoltiamo battere il polso profondo dell’Africa nella bruma dei villaggi perduti. Ecco, declina la luna stanca verso il suo letto di
mare disteso, ecco si assopiscono gli scoppi di riso, che gli stessi narratori ciondolano il capo come il
bimbo sul dorso della madre, ecco che i piedi dei danzatori si appesantiscono si fa pesante la lingua dei cori alternati. E’ l’ora delle stelle e della notte che sogna, si appoggia a questa collina di nubi, drappeggiata nel
suo lungo perizoma di latte I tetti delle case luccicano teneramente. Che dicono così confidenziali alle stelle? Dentro, nel focolare si spegne nell’intimità di odori
acri e dolci. Donna, accendi la lampada dell’olio chiaro perché parlino intorno gli antenati come i genitori, i
bambini nel letto. Ascoltiamo la voce degli Antichi d’Elissa. Come noi esiliati non hanno voluto morire, che si perdesse nella sabbia il loro torrente
seminale. Che io senta, nella casa fumosa visitata da un
riflesso di anime amiche la mia testa sul tuo seme caldo come un dang tratto
fumante dal fuoco che respiri l’odore dei nostri morti, che raccolga e ripeta la loro viva voce,che apprenda a vivere prima di discernere, più in là del tuffatore, nelle alte profondità del
sonno>>
Uno stato di
sospensione coinvolge tutte le donne che fissano in una sorta di incantata
sincronia il volto delicato di Davide che trascolora al ritmo delle note e al
loro accrescimento. Siamo riusciti a fondere quella frantumazione della loro
esistenza in una ricomposizione di incantamento su un vuoto, sul punto zero fra
realtà e possibilità? Forse. Intanto Chiara dona ad ognuna di loro nastrini
di velluto su cui una sarta di Adonai ha cucito pazientemente fiori di stoffa
dai colori più vivaci. Una dolce e tenera aria primaverile palpita tiepida
nell’aria nuova. Tutte le donne hanno fra i capelli ghirlande di fiori:
sembrano turgide gemme fiammanti. C’è allegria nella stanza, fiducia in quel gioco
che vale la pena di giocare e di cui si può essere lieti.
Il Tempus transit gelidum infrange
l’atmosfera con la sua melodia e accompagna le donne di ADA (Associazione danze
antiche) nei loro movimenti. Chiara guida le danze mentre si lascia scivolare
fra il fruscio delle vesti di fine damasco mentre i suoi capelli accarezzano
l’aria e i piedi la terra. Sembra uscita da un ritratto di Tiziano che, dopo
averla vista, non vuole che dipingere questa donna e solo lei. Leggera e altera
nello stile di una soggettività che si modella nell’oggettività del mondo col
suo linguaggio, nell’interezza di una luce sempre più propria. L’alternanza e la mescolanza di questi
sentimenti hanno un seguito ininterrotto e creano una sorte di colloquio con il
convincimento del valore di prova riposto nella sofferenza di quel luogo. Tutto
sembra ricomporsi nel gran fiume, nello splendore della sua cristallizzazione.
Sono immersa anch’io, inghiottita completamente da quella corrente di armonia
di suoni e movimenti che brucia sottile negli azzurri della danza Sefardita.
Accade, accade inverosimilmente. Una possibilità di fuga dal luogo
dell’alienazione, dal luogo della sofferenza e il ritorno alla felicità con
l’idillio della Dance en ronde che permette alle donne di cogliere
l’essenza della costruzione, dipanando quel filo del tempo ritrovato con la leggerezza
della musica e del canto che risuonano e fanno cerchio nella farandola.
Le donne di Sanquirico diventano
protagoniste in un’action painting fatta col corpo in un recupero
dell’espressività, nella naturalezza del gesto come corrispondenza e continuazione
di un’emozione interiore. L’immagine che ho di quei momenti è ancora
nitidissima, carica di una vitalità con tutta l’assolutezza e
l’irragionevolezza di una passione unilaterale che ritaglia e dilata una parte
ampollosa della vita. A Sanquirico il tempo punge, morde, trafigge
ogni ora. L’arrivo di un forestiero può allietare la coscienza del disagio e la
nostalgia di provare a sanarlo, così la Carmina veri set amoris, Anonimo XI diventa
Uno Tutto e l’approssimazione asintotica dell’irraggiungibile infinito.
Tutte le cose raccontano, dice Stifter, con
l’infinito presente del verbo, movimento e permanenza. Il tempo dell’esistenza
è un viaggio che ritrova i luoghi e gli istanti della propria odissea.La
luce della sala muta di colpo. La luce ombrosa che filtra dalle sbarre viene
assalita dai colori delle ghirlande di fiori delle donne e getta i suoi
riflessi sugli abiti fruscianti delle dame. Le guardie carcerarie sembrano
divertirsi in questo fervore che prolifica di una vivace varietà di note. I
suoni sono così freschi e brillanti che stringono tutto il cielo, fin dove il
sole ha dimenticato il Levante.
(Opere in bianco e nero di Maria Micozzi)
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