Claudio Magris, un eroe moderno
A Claudio Magris per la sua forza etica, l’amore per la verità, la singolare Bellezza delle sue opere intrise di idealismo e di umanità, nell’attesa dell’arrivo del Nobel per la letteratura.
“Sugli alti cieli che la divinità vostra vanno divinamente fortificando coi loro influssi, vi fanno meritevole del merito che meritatamente attribuito viene alla vostra grandezza. (da Don Chisciotte di Miguel Certvantes di Saavedra)
Scrittore e germanista. E' uno dei più
autorevoli saggisti contemporanei, geniale studioso di letteratura
mitteleuropea, erede della grande tradizione culturale triestina. L’humus vitale in cui è cresciuto e
fortemente radicato è Trieste. Una città in cui tutto è presente, tutto
coesiste ed è contiguo: l’impero asburgico, il fascismo e il nazionalismo, la
sapienza della mitteleuropea ebraica e l’intelligenza slovena e quella tranquilla
del Friuli. Una città di frontiera intessuta
di frontiere, così come la descrive lo scrittore nel suo discorso tenuto a
Oviedo nell’ottobre del 2004,
in occasione del prestigioso premio Principe de Asturias a lui
conferito: “.. sono nato e vissuto in una città di frontiera che, specie in certi
anni, era essa stessa una frontiera, anzi era costituita e intessuta di
frontiere che la tagliavano spiritualmente separandola da se stessa, la
attraversavano come cicatrici sul corpo di un individuo…L’amore per l’Europa
non presuppone alcuna miope superbia eurocentrica: il centro del mondo oggi è
ovunque e non tollera alcuna iniqua dominanza di una sola parte del
mondo…Europa non significa livellamento delle differenze, bensì un coro
armonioso, in cui Oviedo non sarà meno spagnola né meno asturiana. Trieste meno
triestina o italiana. L’unità non esiste senza diversità e viceversa. Dante
diceva di aver imparato ad amare Firenze a furia di bere l’acqua dell’Arno, ma
aggiungeva che la nostra patria è il mondo, come per i pesci il mare…”
Leggere autori come Magris è anche
amare la nostra letteratura e il nostro Paese, è sentire il valore
irrinunciabile di una tradizione. La storia letteraria di un popolo è
la rappresentazione della vita spirituale dei suoi uomini che, attraverso la
letteratura, riflettono le vicende della civiltà del proprio Paese e delle
opere dei suoi uomini. La scrittura è il vivere intenso come viaggio continuo,
come quello intrapreso nell’Ulisse di James Joyce. Un viaggio alla ricerca di se
stessi per poi fare ritorno a casa, ma anche viaggio come fuga: l’essere
qualcosa e poi diventarne un’altra. Un continuo viaggio fuori dalla vita vera, un viaggio in esilio tra due verità: quella della fuga e
quella della battaglia in cui la verità, secondo lo scrittore, è esilio; dove l’individuo
è una pluralità centrifuga, un arcipelago sparpagliato e si muove nella realtà
come Don Chisciotte nella Mancha. Uno scrittore finisce sempre per
svelarsi attraverso i suoi libri quando riflette e racconta le proprie letture
di una vita, quelle che lo hanno aperto al mondo, cresciuto e formato. La
letteratura diventa per Magris un continuo viaggio fra scrittura diurna e
notturna, in cui egli si batte per i propri valori e i propri Dei, e quella notturna,
una discesa agli inferi, anche a quello che Flaubert chiamava la latrina del
cuore dove ascolta e ripete ciò che dicono i suoi demoni, i sosia che abitano
nel fondo del suo cuore, anche quando dicono cose che smentiscono i suoi
valori. Qual è la dimora di questo grande scrittore? Quale la sua Odissea
letteraria?
“Nella letteratura ci sono molte dimore,
talvolta mi chiedo da che parte sto, se la mia storia è quella raccontata da
Guerra e Pace oppure dalla Metamorfosi di Kafka. Forse la mia odissea
letteraria è quella che racconta il viaggio al nulla e il ritorno; forse per
questo gli scrittori che mi hanno insegnato di più sono quelli che danno voce
imparziale alle corde più diverse e alle passioni più anfitetiche, alla fede e
al niente. come Singer, senza il quale non sarei quel che sono”
Commenti
Posta un commento