Vi presento Ambrosia e Poesia, il mio blog
L’universo non è forse in noi? (Novalis)
E’ forse lo struggimento per una pienezza impossibile che
tende verso l’età dell’oro …che spiga in
me da un punto / s’avventa col suo tizzo contro il petto / nelle fenditure dei
silenzi / e i suoi trasudamenti…. E penso a tutte le cose troppo grandi per
la nostra comprensione, a qualunque cosa abbia anche solo l’ombra e l’apparenza
dell’infinito. Siedo spesso alla fonte di questa grande scrittura cifrata di
cui possediamo la chiave …nell’estremo
punto…/ dove l’aria s’incendia di quel baluginìo / di aromi di tiglio e
gelsomino…/ e il verso si sbocciola di antica melagrana / nel tripudio della
sua unicità….E in questo mio viaggio del senso, la realtà che incontro
è sempre segno che rimanda ad altro, a un punto di fuga verso l’insopprimibile
esigenza di qualcos’altro. …che vuol dir
questa / solitudine immensa? Ed io che sono? ( G.Leopardi).
Sono inclusa in questa
mia necessità di elegia e di indecifrabile che non cercano compimento, nel
bisogno di movimento che attinge al principio del verbo. Mi ritrovo lì, nella
ricerca della nominazione, nell’ansia della riconciliazione dove la mia
frammentarietà aspira a ricomporsi nell’interezza dell’armonia. Il grande
codice della natura la include, questo sicuramente. E l’amore, quella impotentia amandi che ancora mi sospinge
oltre la mia inadeguatezza. Il desiderio di una nuova scaturigine che non può
guarire ma che diventa recherce nel
colloquio con il mondo attraverso i limiti della vita che mi appartengono. E’
il mio canto di insufficienza e ancora di limite rispetto alla verità
dell’universo. La figura di Orlando che perde il senno e diventa metafora
straordinaria di colui che, stando al di fuori, vede quello che gli altri non
vedono. Sono immersa in questa
corrente, nel grande fiume che rompe di continuo la sua cristallizzazione e non
riesco ad uccidere i significati
appellandomi esclusivamente all’evocazione dei sentimenti. Lo so, tutto diventa
metafisico con concetti molto complessi, molto sottili, inafferrabili. Nel
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi, il pastore è poco
più che le sue pecore, ma carico di un’umanità primitiva, non coltivata. Il
pastore guarda le stelle, riflette e capisce di non esserci. Il suo essere è il
nulla. Il mio essere è il nulla, l’enigma
del mio tormentato procedere nel mondo. Come ogni Ulisse che si sente rivolgere e rivolge a se
stesso, attraversando il mondo e l’esistenza, la domanda se possa tornare a
casa, io rispondo che, perdendomi per strada e diventando sempre un’altra, sono
sempre diretta verso casa. Ritrovo e riaffermo il mio mondo e me stessa, nei
miei affetti e nei miei valori, cercando di riportare a casa l’universo intero delle mie
esperienze. In quella casa che Block crede di vedere nell’infanzia e
che invece si trova nel futuro, nella meta finale del viaggio. I miei versi si
caricano di attesa sempre inappagata, di un’aspirazione a un assoluto
inattingibile, a un desiderio che si tormenta e forse si compiace della sua
stessa inquietudine.
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